-10- Tradimento

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NdA:
Grazie a chi legge, se volete farmi sapere se vi piace, sono qua :D
Anche le stelline sono le benvenute!

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Seguire in città Waiti, lasciare il palazzo e addentrarsi per quelle vie perfette era stato strano.

Aronui aveva scoperto che far parte del plotone makau era come essere una specie di celebrità, rapportando la cosa al suo mondo, almeno. L'altro era riconosciuto come soldato del plotone personale dell'imperatore grazie alla divisa, e gli veniva ceduto il passo con sguardi di velata ammirazione.
Cosa significasse per i nauhea che Waiti avesse con sé un mokai di Rangatira stesso era diventato evidente, all'umano, quella sera. Quando si era svegliato dal sonno indotto dallo sfinimento il soldato era già desto e vestito, seduto sul davanzale della finestra della stanza, con lo sguardo perso nel nulla.
Non aveva detto molto, si era limitato a ricordargli che non era il caso di fare stupidaggini, per poi ordinargli di seguirlo. Era stato osservando quello che accadeva e dove andavano che Aronui aveva iniziato a mettere assieme una qualche spiegazione.
Inginocchiato accanto all'altro, seduto su una grossa sedia in una specie di auditorium, si passò le dita sul collo, tra il collare e la pelle, in preda al fastidio causato da quell'anello metallico che si collegava al suo innesto cervicale che, grazie alle decorazioni, lo segnalava come mokai personale del sovrano. A quanto aveva dedotto, Waiti era una specie di ospite d'onore a quella conferenza che parlava della politica espansionistica e delle potenzialità delle nuove colonie. L'aveva ascoltata con disinteresse, relatore dopo relatore, cogliendo solo qualche frase. Trovava auto celebrativi e ridicoli la maggior parte degli interventi, tutti impegnati a dirsi l'un l'altro quanto fossero bravi e imbattibili, migliori di qualunque altra razza. A ogni pausa o cambio, il relatore di turno trovava il modo di avvicinarsi a Waiti, complimentarsi di come fosse evidente che godesse della stime del sovrano, e cose simili, in modo molto distaccato e assolutamente, almeno all'apparenza, disinteressato. Attento a non toccare nulla, un'abitudine così radicata, in lui, da essere ormai inconscia, osservava da sotto le folte ciglia, annoiato, quello che gli accadeva attorno.
Quando finalmente se ne andarono, l'umano era perplesso.
Nel momento in cui entrarono in una piccola capsula privata, guardò con aperta curiosità Waiti.
«Sembravano tutti molto contenti della tua presenza...» Waiti fissò il volto dell'umano, per poi portare lo sguardo sulla città che si stava rapidamente allontanando. Aveva obbedito, si era fatto vedere con Aronui. Aveva deciso di presenziare a quella conferenza trovandola il modo più rapido per essere visto dal maggior numero di persone senza dover rimanere in città per molto tempo.
«Sì.»
A quella risposta secca e distratta, Aronui trattenne un sospiro. Aveva capito che qualcosa disturbava il nauhea, ma non poteva chiedergli cosa avesse; non apertamente e non lì. Fu quasi con sollievo che osservò il profilo del palazzo delinearsi e avvicinarsi rapidamente, man mano che la capsula si dirigeva alla massima velocità verso di esso.
Si fermarono in uno dei petali adibiti all'accoglienza dei mezzi e Waiti scese. Un androide biomeccanico li accolse con un messaggio, riferendo che al loro arrivo l'imperatore desiderava vederli. Waiti annuì e Aronui, in silenzio, perplesso, lo seguì: solitamente quando veniva concesso non lo richiamava mai prima del termine. Si trattenne dal sospirare mentre percorreva i famigliari corridoi del palazzo, dirigendosi a quella zona privata che l'androide aveva indicato.
Le porte istoriate degli appartamenti di Rangatira, sorvegliate da due guardie, si aprirono davanti a loro e il profumo intenso della fioritura del mashira li accolse. Intenso e inebriante, dolce fin quasi alla nausea, quel rampicante dalle foglie azzurre e dai fiori scarlatti s'intrecciava alla struttura di quelle stanze creando ombre e macchie di colore in un ambiente altrimenti immacolato.
Un silenzioso androide li guidò in quegli appartamenti che Aronui conosceva molto bene, ma per Waiti non era così. Lui non era mai entrato in quel cuore privato, era sempre stato accolto nelle stanze più esterne o negli studi.
«Matua» fu Aronui a notare l'imperatore, seduto su un divano quasi completamente circondato dalmashira, inchinandosi a lui. Immediatamente il militare si mise sull'attenti.
«Non hai perso tempo, Waiti.» Rangatira sollevò un sopracciglio davanti al saluto formale del soldato. «Comodo.»
«Ho eseguito al meglio i vostri ordini, mio signore. Ho forse sbagliato?» celando l'apprensione il militare si rilassò, abbandonando la posa rigida ma mantenendo una postura formale. Rangatira guardò Aronui e lo chiamò a sé con un gesto, il ragazzo gli si avvicinò e rispondendo al segnale si inginocchiò accanto al nauhea, sentendo la sua mano che iniziava ad accarezzargli i capelli.
«No.» Ma Rangatira non sembrava molto interessato ad approfondire l'argomento. Sotto gli occhi di Waiti iniziò a far scorrere le dita lungo la schiena dell'umano, facendogli scivolare la mano sotto la stoffa della corta tunica che indossava.
Aronui guardò il militare: fu uno sguardo rapido, solo un secondo, ma nei suoi occhi c'era qualcosa che fece stringere lo stomaco al soldato. Sembrava chiedergli scusa.
I gemiti dell'umano divennero ricchi, passionali, mentre cercava sempre di più il contatto fisico con l'imperatore, prendendo tra le labbra le dita del suo matua, leccandole con voluttà e succhiandole.
Waiti non riusciva a distogliere lo sguardo, sentendo un gelo inspiegabile afferrargli non solo lo stomaco, ma anche il cuore.
Non capiva, però, cosa fosse quello che sentiva, quel qualcosa che controllava a stento, quel qualcosa che lo portava pericolosamente vicino a strappare dalle mani del suo imperatore l'umano.
Rangatira colse una luce che si fece viva negli occhi neri del militare, ma incapace di comprenderne l'esatta natura, la scambiò per desiderio. Sorrise, osservando il soldato immobile, che non distoglieva lo sguardo dalla bocca di Aronui impegnata a succhiare e leccare.
«È un fiore immacolato, candido, leggiadro...» Waiti quasi sobbalzò al suono della voce del suo signore, poi si irrigidì. «Ma questo lo sai già, vero? Non ameresti così tanto cogliere questo frutto, se non ne capissi il vero sapore.»
«Non capisco, mio signore...» confuso, il militare fissò un punto al di sopra di quella scena, cercando di non prestare ascolto ai gemiti dell'umano.
Rangatira sorrise, spostandosi sul grande divano e sedendosi in modo che Aronui, tra le sue gambe, prendesse tra le labbra il suo sesso mentre continuava ad accarezzargli distrattamente la schiena.
«Spogliati e vieni qua.»
Waiti s'irrigidì. Un ordine era un ordine, disubbidire era impensabile, ma a quello... a quello, doveva obbedire veramente?
Il suo sguardo tornò sui due.
Lui era un soldato, non un mokai.
Ma un ordine dell'imperatore non andava discusso, mai, eppure c'era un confine che in quel momento era stato oltrepassato. A un soldato poteva chiedere di morire per lui, di essere ferito, di sacrificarsi sul campo di battaglia o in missione, ma non quello... non il compito di un mokai.
Eppure glielo stava chiedendo, perché?
Confuso e rabbioso, represse ogni emozione con violenza, seppellendole dietro un autocontrollo inumano che veniva insegnato, e imposto, a ogni membro della sua razza e reso ancora più forte in chi veniva scelto per il plotone makau.
Non poteva assolutamente far trasparire qualcosa, qualunque cosa. Con un gesto lento, incerto, iniziò a sciogliere le chiusure dell'uniforme, lasciandola a terra, sentendo lo sguardo acceso di lussuria dell'imperatore su di lui. Il disagio gli scorreva sottopelle, come un'onda gelida, mentre incontrava gli occhi scarlatti di Rangatira.
Lo vide studiarlo, interessato, annuendo e Waiti si avvicinò fino a trovarsi davanti al suo signore che lo fece sedere accanto a sé. Allontanò dal suo sesso Aronui, facendogli un cenno al quale l'umano rispose portandosi tra le gambe del militare, accarezzando l'altro fino a svegliarlo, gli occhi lucidi di desiderio e disposto a tutto per essere appagato.
L'imperatore si portò alle spalle di Waiti, in ginocchio sull'ampio divano, accarezzando delicato le spalle muscolose e la schiena definita. Passò le labbra sul collo del soldato, baciandolo e mordendo delicatamente, assaporando il profumo di quella pelle nuova, per lui. Soda, forte, quella carne era tutt'altro che cedevole sotto le sue dita e mentre, lentamente, il mokai ne risvegliava il desiderio, l'imperatore continuava ad assaporare la sensazione tattile che Waiti gli dava.
Lo sentì respirare più velocemente, abbandonando la posa rigida mentre le arti del mokai scioglievano le ritrosie del militare. Sapeva come Aronui fosse in grado di accendere il desiderio in chiunque, aveva lui stesso indirizzato in tal senso l'addestramento dell'umano ed era sempre stato contento dei risultati e, anche questa volta, non lo stava deludendo. Vedeva la postura del militare farsi sempre meno inflessibile fino a quando non si lasciò andare contro di lui, annebbiato dal piacere. A quel punto Rangatira fece scivolare le labbra lungo quel collo, salendo all'orecchio e mordicchiando il lobo, compiaciuto dal sottile gemito che uscì da quelle labbra.
Con una contrazione e un verso soffocato, Waiti si riversò tra le labbra del mokai, che alzò gli occhi pieni di desiderio sui due nauhea che lo sovrastavano, ma Rangatira non sembrava intenzionato a dargli attenzioni: aveva mani, e occhi, solo per Waiti. Non era la prima volta che succedeva qualcosa del genere, ma solitamente era con un altro mokai e trovare che l'imperatore accarezzasse a quel modo l'amico l'irritava nonostante gli innesti cancellassero quasi completamente ogni pensiero coerente, in lui.
Desiderava ardentemente essere soddisfatto, ma sapeva che non doveva intromettersi, nonostante il desiderio fosse un continuo tormento, doveva attendere e sperare Rangatira non volesse lasciarlo ardere in quel desiderio che gli bruciava ogni nervo.
Le mani dell'imperatore accompagnarono Waiti, stendendolo prono e sorridendo alla rigidità dell'altro, evidentemente a disagio.
«Mio signore...» il tono formale e deciso distrasse Rangatira, che avvicinò le labbra all'orecchio del soldato.
«Qualcosa non va?» soffiò, passando la mano lungo la schiena muscolosa e scendendo fino ai glutei.
«Signore, io non credo che sia giusto. Sono un soldato, signore.» Era la massima protesta che poteva permettersi, sperando non intendesse le sue parole come un atto di insubordinazione.
«Quello che è giusto lo decido io.»
Le labbra di Waiti si serrarono e lo sguardo si assottigliò, irato, per pochissimi istanti. Poi riprese il controllo, imponendosi il silenzio e lasciando che il suo signore agisse come voleva.
Le dita dell'imperatore scesero tra le natiche mentre Aronui, accanto a loro, li fissava con gli occhi pieni di bramosia. In risposta a qualcosa che Waiti non poté vedere a causa della posizione, il mokai gli si avvicinò, iniziando a baciarlo e, spinto su un fianco, il militare si trovò nuovamente eccitato sotto le attenzioni dell'altro.
Le dita dell'imperatore si spinsero in lui mentre la bocca di Aronui si chiudeva attorno al suo sesso, la lingua che danzava sulla lunghezza sprigionando ondate di piacere e le labbra che l'accarezzavano con delicatezza.
Con rabbia a stento trattenuta, mascherata, con una specie di rassegnazione accettò l'invasione di Rangatira in lui, dolorosa e poco attenta, accolse controvoglia quelle dita che scavavano e cercavano, graffiavano. Si concentrò sulla bocca di Aronui, su quelle labbra che lo vezzeggiavano, imponendosi di non fare resistenza quando la carne di Rangatira iniziò a premere per entrare in lui.
Non era un mokai... quel pensiero alimentò la furia, quella rossa marea che doveva contenere a ogni costo. La rabbia lo travolse spingendo contro quegli argini ma, in qualche modo, come se l'avesse percepita o prevista, sentì le mani dell'umano salire ad afferrargli i polsi con fermezza dandogli la capacità di portare solo su di lui, su Aronui, la sua concentrazione. Non avrebbe mai potuto fermarlo, non aveva la sua forza, ma quel tocco gli diede calma necessaria a non mostrare emozioni. Sembrava esortarlo alla pazienza, a non commettere sciocchezze, e nell'abbassare lo sguardo, nonostante il desiderio oscurasse quasi del tutto la ragione dell'umano, in quelle iridi viola vide la comprensione e un'oscura luce che non capì, ma che lo placò abbastanza da non reagire.
L'invasione del suo corpo fu dolorosa, sgradevole e umiliante. Non era voluta o desiderata, in quel momento era solo un corpo usato senza che gli fosse concesso nessun appello, e quella carne dentro di lui, resa scivolosa dal sangue, era tremendamente difficile da sopportare. La mano di Rangatira allontanò Aronui da Waiti, riportando prono il soldato e alzandogli i fianchi con le mani per avere un accesso migliore.
Waiti non emise un fiato, mentre sentiva il dolore nutrire la rabbia, accecarlo, fermato solo dalla consapevolezza che una qualsiasi ribellione sarebbe equivalsa alla morte e che probabilmente le conseguenze avrebbero toccato anche Aronui.
Tutto, in quella stanza, era improntato alla difesa dell'imperatore: i rampicanti rispondevano ai suoi impulsi mentali, gli androidi camuffati con le pareti erano capaci di ferire e uccidere, e se solo un pensiero del sovrano li avesse raggiunti neppure lui avrebbe potuto sperare di farcela.
Non provava vero godimento: certo, la stimolazione meccanica c'era, ma il piacere era un altra cosa e lui provava solo rabbia e umiliazione, nascoste dietro un viso impassibile e privo di ogni emozione. Ogni barriera mentale eretta per nascondere il tumulto interiore e i desideri di reazione violenta assorbiva la sua attenzione e ogni energia. L'imperatore continuò a martoriare le sue viscere, apparentemente all'infinito, fino a quando, infine, non emise un roco verso d'appagamento, riempiendolo del suo seme.
Si scostò, uscendo da lui e accarezzandogli il fianco guardò Aronui.
«Finisci.»
Il mokai si mosse, accarezzò a sua volta Waiti che, assecondando quei tocchi, si girò supino, l'erezione ancora viva e inappagata, osservando come il corpo sottile e definito del mokai si muovesse provocante e sensuale. Allungò una mano, aiutandolo a sedersi sul suo stomaco, guardando la cicatrice appena accennata nella carne dell'umano.
Aronui lo fissò, per poi chinarsi in avanti e baciarlo e Waiti dimenticò, con quell'unico tocco pieno di dolcezza, la rabbia. Sentiva solo le carezze di quelle mani delicate e bianche come petali, gentili e morbide.
Ogni carezza era un sospiro di piacere e desiderio, fino a quando non sentì la carne dell'altro avvolgerlo e accoglierlo, mentre si muoveva su di lui, lentamente. Intossicato dal piacere gemette, afferrando per i fianchi l'umano e spingendo in lui quasi con rabbia, nonostante tutto affogando in quel corpo la furia che non aveva potuto far altro che soffocare mentre Rangatira umiliava il suo essere un soldato fedele all'impero, la sua natura di combattente orgoglioso e fiero.
Affondava in Aronui, dimenticando tutto se non se stesso e il suo piacere, annegando in quel corpo la sua umiliazione e l'ira, fino a quando l'orgasmo non esplose, quasi inatteso, lasciandolo senza fiato.
Aprì gli occhi, guardò il volto immoto e controllato dell'altro mentre si scostava tornando a inginocchiarsi ai piedi di quell'immenso divano, sentendo una specie di vuoto in lui per quello che era appena successo: un inspiegabile baratro che sembrava in attesa di una sua caduta.
«Potete andare.» A quelle parole Waiti si mosse, alzandosi e guardando l'imperatore.
«Come ordinate, mio signore.» Rivestendosi in fretta, incurante di quello che c'era sulla sua pelle, uscì con un perfetto saluto da quegli appartamenti dirigendosi, seguito dal mokai, nei suoi alloggi.
Una volta lì, ignorando completamente Aronui, si spogliò entrando nel cubicolo doccia. Su Whenua non c'era carenza d'acqua e veniva normalmente usata per l'igiene personale, anche se veniva accuratamente riciclata e non c'erano sprechi di nessun genere. L'umano guardò il nauhea entrare nel cubicolo, le cosce sporche di sangue e strinse i denti. Gli si avvicinò, la porta trasparente che era stata lasciata aperta e il getto d'acqua calda che lavava i residui del sesso dalla pelle.
Odiava Rangatira, aveva visto la furia negli occhi dell'altro per un solo istante prima che tornassero immoti e privi d'emozioni. Waiti provava emozioni, lui ne era certo: non sapeva in che misura, come mai, ma ne era sicuro.
Spinto da qualcosa a cui non sapeva dare nome, contravvenendo a ogni logica, s'infilò nel cubicolo, afferrando il volto del soldato e baciandolo con decisione. Sentì l'altro immobile, ma quando spaventato dall'aver osato troppo stava per spostarsi il gesto venne ricambiato.
Fu Waiti a scostarlo con gentilezza, guardandolo attentamente prima di uscire e andare verso il letto.
«Perché?» chiese al mokai, senza espressione, sedendosi senza lasciare mai con i propri gli occhi dell'altro.
«Perché lo volevo,» Aronui scrollò le spalle, l'acqua che rimaneva nel cubicolo scivolò dalla sua pelle mentre ne usciva «mi sembrava un buon modo per farti passare l'incazzatura. Non è un tipo gentile, il mio matua.» Incrociò le braccia al petto, squadrando l'amico e la maschera inespressiva del suo volto.
«Incazzatura?»
«Stavolta tocca a me dimenticare, no?» Aronui si sedette per terra, fissando l'altro con il capo inclinato. «A volte ho augurato anche a te di essere al mio posto, ma ora che è successo mi spiace. Non è una cosa che a te possa andare giù più di tanto.»
«Io non ero al tuo posto!» Scandì con irritazione Waiti, fissando il mokai che a quelle parole scoppiò a ridere. Quella era una delle cose che più lo affascinava di Aronui, quel suono libero e spensierato che gli aveva sentito fare ben poche volte, ma però in quel momento l'irritò.
«Come vuoi tu, Waiti. Si vede che ho le allucinazioni e nel culo dal tuo signore non lo hai preso.» disse con una punta di cattiveria, pentendosene subito, però.
Il soldato si sporse in avanti, fissandolo con durezza, ma non solo. Rangatira l'aveva umiliato, tradito, ridotto a qualcosa che non era, togliendogli ogni orgoglio.
«Non dirai mai più niente di quello che è successo, neanche a me e risparmiami le tue parole sarcastiche. L'unico mokai, qua, sei tu.»
«Sì, come ordini.» disse con tono gelido, fissando il soldato senza battere ciglio.
«Voglio dormire, ora, vattene.»
«Non è finito il tempo in cui ti sono stato concesso.» Aronui si alzò, fissando l'altro che lo ignorò per lunghi minuti.
«Non mi interessa, e non sta a te obbiettare. Vattene.»
«Come matua ordina.» Atono, Aronui rispose per poi uscire, ferito e furente. Era lui stesso in parte causa di quell'allontanamento e quella colpa causava in certa misura la rabbia che provava.
Sospirò, la frittata era fatta e non poteva tornare da Waiti, quindi si diresse verso gli alloggi dei mokai desiderando una bottiglia di un qualunque alcolico. Cosa che aveva imparato ad apprezzare a casa, visto che i nauhea sembravano disprezzarli e lì non ne aveva mai visti.
Una bottiglia di distillato ben invecchiato sarebbe stato il massimo, pensò mentre entrava dalla porta d'accesso all'ala riservata ai mokai di Rangatira, trovandosi davanti, dopo pochi passi Shagit a bloccargli la strada.
«Già di ritorno? Si è stancato presto, di te.» Aronui fissò le iridi verdi e immense, quasi animali dell'altro, con irritazione.
«Anche se fosse non sono cazzi tuoi, scansati!» mise la mano sulla spalla dell'altro, spingendolo con malagrazia.
«Dove pensi di andare?» con rapidità aveva fatto scorrere le dita sull'innesto sulla schiena di Aronui, sorridendo malignamente nel vedere come si bloccava di colpo. Shagit continuò ad accarezzare il punto debole dell'altro, guardandolo appoggiarsi alla parete con il respiro affannoso. «Ho avuto un ordine, e non mi pare tu abbia supplicato perché smettessimo. Dovei ricominciare da capo...»
«Piccolo, sporco, schifoso pezzo di merda!» ansimò tra i sospiri e i gemiti, lasciandosi cadere e riuscendo a girarsi, appoggiando la schiena al muro, cercando di recuperare un minimo di lucidità. Si passò la lingua sulle labbra, furente, sentendo il desiderio riempirgli la mente e annebbiargli i pensieri. «Lasciami stare, Shagit, o stavolta te ne pentirai.»
«E cosa pensi di fare? Basta toccarti perché tu non capisca più niente, diventando una vogliosa puttana da monta... posso capire perché uno come te piaccia tanto a matua.» L'odio emerse da quelle parole e Aronui fissò il volto di Shagit con pietà.
«E tu sei invidioso di questa mia... fortuna?» sibilò, allontanando la mano dell'altro e ricominciando a respirare normalmente. «Fosse per me ti cederei il mio posto, non sono contento di essere qua, te lo giuro.»
«E lo sarai sempre meno.» Si protese per afferrare i capelli di Aronui e costringerlo così a scostarsi dal muro, ma non aveva pensato che l'altro potesse reagire, non a quel modo. Gli afferrò il polso, torcendolo e costringendolo così a terra, per poi bloccarlo al suolo.
«Sei solo un idiota! Cosa cazzo pensi di farmi ancora, eh?! Credi che basti sfiorarmi la schiena una volta perché perda completamente la testa?» torse il braccio con più forza e dalle labbra dell'altro uscì un grido strozzato di dolore. «Non sono la tua puttana, non ci provare mai più o il braccio te lo rompo, lo stacco e lo usco per pulirmi il culo! Sono stato chiaro?»
«Matua lo saprà!»
«Diglielo, Shagit!» Aronui si chinò, furente, spingendo il braccio dell'altro fuori sede. Quando l'altro urlò per la sofferenza, rise, lasciandolo andare e alzandosi. «A me possono averle tagliate, ma ho lo stesso più palle di te. Ora vai, lamentati con Rangatira di quanto ti ho maltrattato!»
Attirata dal trambusto e dalle grida, Aponea arrivò di corsa, bloccandosi davanti a quella scena. Si avvicinò a Shagit, lanciando un'occhiata agitata ad Aronui.
«L'hai fatta grossa, 'Nui.»
«Se l'è cercata.» La donna sospirò, aiutando l'altro ad alzarsi, il pallore evidente sulla pelle bronzea.
«Anche tu te la sei appena cercata... non penso di poter fare nulla, per te, stavolta.»
Con quelle parole si avviò, sostenendo l'altro, mentre un androide di servizio si avvicinava e puntellava al posto della donna Shagit.
Aronui era certo che sarebbe stato convocato presto, ma intanto poteva dormire: agitarsi non serviva a nulla e doveva ammettere che slogare il braccio a quel pomposo idiota era stato molto soddisfacente.

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