II. Segreti alla luna

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Ciao, benritrovati! Nuovo capitolo, sempre un po' lunghino. Qui c'è il motivo di quel tag, boyxboy. Questa non è una storia romantica, ma si parla anche di una relazione tra due ragazzi e, pur se più a margine, spero possa piacere ^^


II.

Segreti alla luna


I turni di vedetta erano stati decisi già la prima sera. Ilyas si ritrovò selezionato sia per la prima che la terza notte e la terza notte proprio con Dragan Kushev. Era previsto infatti che a fare da guardia fossero in due per ogni postazione, uno della brigata d'assalto, uno della brigata di rinforzo.

«La cosa non piace a te come a me» aveva detto subito Dragan. «Ma vediamo di farcela andare bene. Tu non farmi incazzare.»

A quelle parole Ilyas si era prefissato di farlo incazzare già nei primi cinque minuti del loro turno.

In quei tre giorni il plotone si comportò come se fosse davvero in missione offensiva, con l'obiettivo di sgomberare immaginari nemici dalle cime delle montagne. Di solito le esercitazioni si facevano in ambiente urbano, nella città costruita dai genieri del Comando vicino al campo di addestramento, una cittadina artificiale, con edifici veri però, costruiti con blocchi di calcestruzzo e cemento, muniti di tetti e finestre. Sembrava innaturale combattere in città, ma, come non mancava mai di ripetere il colonnello Karkarov, la guerra ormai si era spostata da tempo lì. La superiore potenza di fuoco dell'esercito russo aveva costretto i paesi con cui era in conflitto a evitare le battaglie in campo aperto, a scegliere le città, in mezzo ai civili, dove in teoria era impossibile impiegare l'artiglieria, i mortai e la forza aerea. Ma l'esercito federale se ne fregava di certe quisquilie e andava con i bombardieri anche nelle città abitate. Per i nemici i civili erano, o volevano essere, misure difensive; per i russi costituivano semplicemente un altro obiettivo da abbattere.

Il primo giorno, dopo essersi esercitati a prevedere un'imboscata, il plotone lo passò a simulare una battaglia: alcune reclute vennero scelte per impersonare i guerriglieri nemici e furono sgominate come scarafaggi. Combattere in campo aperto era molto diverso dal fare pratica di conflitto armato in ambiente urbano, dove le zone di pericolo erano differenti, più subdole, a parere di Ilyas, ed era necessario allestire checkpoint di sicurezza per i civili, quelli che persino i russi dicevano di voler risparmiare di tanto in tanto: in montagna non c'era bisogno di allestire nessun posto di sicurezza, era più facile ingaggiare scontri armati quando sapevi che il tuo nemico non stava usando come base operativa una scuola e c'era meno il rischio di incappare in dispositivi esplosivi perché si potevano evitare sentieri e piste, quando invece le città limitavano gli spostamenti a vicoli e strade. E poi la conoscenza del territorio era fondamentale. Da quando avevano iniziato le esercitazioni in montagna o nei boschi attorno al Comando, Ilyas aveva scoperto che le preferiva di gran lunga a quelle nella città artificiale. Non solo perché non c'erano civili di mezzo, i cosiddetti "danni collaterali", ma perché gli sembravano più vere.

Il secondo giorno Karkarov diede ordine di abbandonare l'accampamento per prendere d'assalto un'altra cima di importanza strategica. Dovettero rimettersi in marcia e stavolta gli toccò il posto nel plotone anticarro. Arrivò a capire perché Sanja avesse vomitato bile il giorno prima. Una volta arrivati all'altra cima, Karkarov sembrò soddisfatto e orgoglioso del proprio operato. Si rivolse al plotone sfinito con rare parole di lode.

«L'ha fatto solo per farla vedere a Bezbòznij» disse qualcuno a bassa voce e Ilyas si trovò d'accordo.

Se Bezbòznij non avesse portato le reclute altrove, a farle avanzare per giorni, di avamposto in avamposto, di cima in cima, Karkarov neanche avrebbe pensato a fare la stessa cosa, convinto che bastasse una giornata di marcia in quota e qualche scaramuccia per dichiarare l'esercitazione finita. Che il terzo istruttore fosse stato più previdente dell'istruttore capo non era ammissibile. Se fosse servito a non far passare quel messaggio, Karkarov li avrebbe costretti alla marcia anche per altri dieci giorni.

Sotto un cielo nemicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora