VI. La caccia - seconda parte

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Scese la notte, repentina, nel tempo di un sospiro. Le stelle si svelarono in un colpo solo e la luna si affacciò pallida e silente dal suo talamo scuro, circondata da rade nuvole. Il soffio del vento era andato scemando durante la giornata e Ilyas, le narici allargate, riusciva ora a percepire gli odori della montagna netti quanto le impronte degli uomini lasciate nei solchi della terra. Avrebbe fiutato un leopardo anche a un miglio di distanza prima ancora di sentire il raspare furtivo dei suoi artigli; non vedeva l'ora di vederlo.

Si acquattarono dietro degli arbusti per tenere sott'occhio la trappola. A lui era stato affidato il compito di accendere la luce verde progressiva quando avrebbero avvistato l'animale, se fosse stato necessario sparargli per qualunque ragione. Non era previsto che sparasse; nessuno degli attendenti ne era autorizzato anche se erano tutti armati di carabine Simonov SKS. Le prede erano riservate agli ufficiali e ai tiratori scelti, mentre il leopardo era roba solo di Bezbòznij: era stato deciso così.

«Quindi cos'hai intenzione di fare quando cadrà nella trappola?» chiese Semonov proprio a quest'ultimo.

«Tirarlo fuori.»

«Sì, questo l'ho capito, ma come? Gli sparerai dentro la fossa?»

«No.» Bezbòznij fissava le ombre della notte come se da un momento all'altro dovessero svelarsi a mostrargli la sua preda. «Non userò la polvere da sparo. Non voglio rovinarlo. Una frusta sarà sufficiente, al massimo un coltello. E questo.» Si indicò il laccio che portava al fianco, la cui estremità terminava in un cappio in ferro. Era la prima volta che Ilyas lo vedeva.

Lo prenderà per la gola, realizzò solo in quel momento e un'improvvisa sensazione di malessere gli afferrò lo stomaco. Distolse lo sguardo dal cavo e si impose di non palesare nulla. Aveva chiuso le mani a pugno, d'istinto.

Doveva ammetterlo: adesso i sonniferi non gli sembravano poi così male...

Passarono le ore e del leopardo ancora nessuna traccia. Un cinghiale selvatico si avvicinò alla trappola, attirato dall'odore del montone, ma lo mandarono via con alcuni svogliati colpi a vuoto.

«Sembra che quel bastardo voglia giocare duro» sbottò Kadyshev quando ormai l'alba cominciava a profilarsi.

«E ci manca solo un giorno» fece Semonov, affranto.

A non sembrare affranto era invece Bezbòznij, che si alzò dal suo nascondiglio, palesandosi alla luce del sole affiorante, e fissò la spianata da dove avrebbe dovuto comparire l'animale con gli occhi socchiusi, riverberanti fredda determinazione e un certo... compiacimento?

Quanto gli altri apparivano giù di morale per la notte infruttuosa, lui sembrava aver appena catturato dieci leoni. Ilyas lo avrebbe definito quasi euforico, forse eccitato, sempre se avesse potuto accostare delle emozioni tanto forti a un uomo all'apparenza così glaciale.

«Queste sono le prede migliori» dichiarò, fermo. «Quelle per cui la conquista è sempre una lotta, un onore – e un tormento.»

«Oh, per favore» borbottò Kadyshev, alzandosi a sua volta. «Io mi sto spazientendo. Ci manca solo un giorno, non lo ripigliamo più.»

«Deve aver capito della trappola.» Bezbòznij continuava a scrutare l'orizzonte pallido d'alba. «Conosce gli uomini. Bene.»

«Bene cosa?»

«Non useremo trappole.»

«E cosa facciamo, lo andiamo a prendere dritto nella forra?»

«Esatto.»

Kadyshev emise un breve fischiettio tra i denti. «Non avevi detto che non volevi rovinarlo?»

«L'ha voluto lui.»

Sotto un cielo nemicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora