X. Il cacciatore e la preda

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Ed eccoci qui, questo è uno dei due capitoli più crudi di cui avevo avvisato. Il prossimo, che dividerò in due pezzi, sarà il turning point, il momento della verità con la scena più violenta.

Buona lettura a chi è ancora qui e, mi raccomando, fate sempre attenzione agli avvertimenti...


X.

Il cacciatore e la preda


Ilyas si era mosso ancor prima di sentire il tintinnio metallico contro il pavimento. Afferrò il pugnale e, veloce, si ritrasse contro il muro.

Si guardò attorno.

L'ambiente era piccolo, proprio come gli era sembrato durante il giorno: piccolo e angusto, invaso di ombre. Le cisterne insieme alla caldaia costituivano le masse più scure del locale sotterraneo. Alle pareti erano appesi una serie di scaffali ingombri di roba: scatole, barattoli delle più diverse forme, aggeggi di metallo, utensili vari, lattine di liquido combustibile. C'era anche un tavolo con un paio di sedie attorno. La luce lunare proveniente dalla feritoia arrivava a sciacquare soltanto metà della cantina; illuminava a sprazzi il profilo delle cisterne e quello delle vasche piene al di sotto, dove rade gocce d'acqua cadevano singhiozzando dai serbatoi. Il lento sgocciolare era l'unico rumore nel silenzio, quello e il fiato che gli fremeva dentro la gola.

Strinse più forte il manico d'osso e scrutò l'uomo davanti a sé.

Stai calmo. Sarà l'ennesimo test, l'importante è non perdere la testa. L'hai visto combattere contro un leopardo praticamente a mani nude, ma va bene, ce la puoi fare. Devi solo stare calmo.

Bezbòznij non aveva armi, neanche una pistola, constatò, ma di questo, chissà perché, non se ne sorprese.

«Niente armi lei, signore?» domandò recuperando la voce, arrocchita come ruggine.

Non gli chiese perché fosse lì, perché lo avesse preso e trascinato in quella cantina. Sembrava irrilevante. Doveva essere una prova, sì, e come tutte le prove a cui quell'uomo lo sottoponeva era diversa da ciò che gli avrebbero propinato altri ufficiali, più ambigua, insidiosa, ma anche più paritaria. Gli stava dando la possibilità di combattere.

Forse non mi è andata così male, pensò cominciando a mettere il pollice contro la parte piatta della lama per prepararsi ad attaccare. Gli altri saranno disarmati, già ridotti a uno straccio per le botte, io invece ho un coltello, ce la posso ancora fare.

«Non chiamarmi "signore".» La voce di Bezbòznij risuonò ancora una volta tra le quattro mura, piana e profonda, come in un'eco. «Non sono il tuo istruttore qui.»

«Vero.» Ilyas sentì gli angoli delle labbra incresparsi. Era il momento più inopportuno per sorridere, ma una strana eccitazione gli riscaldò lo stomaco e si diffuse in tutto il corpo. Sentiva l'adrenalina battergli contro le tempie, più forte del rombare del sangue. «È il mio nemico.»

«Esatto.»

«Niente armi quindi?»

«No.» L'altro abbassò lo sguardo sul coltello, lo rialzò lentamente tornando al suo viso e gli piantò le pupille negli occhi. «Cosa aspetti?»

Ilyas non se lo fece ripetere.

Attaccò e andò diretto con un affondo. Non avrebbe sprecato tempo a danzargli attorno con fendenti e scarti. Conosceva l'uomo che gli stava davanti, il suo livello di addestramento; a suo parere era necessario neutralizzarlo subito, colpire un'area vitale senza tentennamenti. Si riteneva abbastanza esperto per tentare da subito un affondo al ventre e così fece: gli si avvicinò, eseguì un paio di finte e poi si avventò, veloce come un missile Exocet.

Sotto un cielo nemicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora