«Ilyas?»
Un discreto bussare alla porta a cui seguì il rumore del cigolio dei cardini che giravano. Lui non si era chiuso a chiave. Non rispose e rimase sdraiato sul fianco; non si girò per vedere sua sorella entrare e scivolare nella stanza lasciando filtrare la luce del corridoio nell'ambiente in penombra.
«Ti ho portato del tè» fece Aisha, incerta. «Posso aprire la finestra? Solo un po'.»
Ilyas annuì e si chiese se lei lo avesse visto, così nel buio. In ogni caso Aisha posò il vassoio con il tè sulla scrivania e si avvicinò all'imposta per aprirla di uno spiraglio. Un raggio di luce granulosa filtrò attraverso le tapparelle, non abbastanza forte da svelare l'intera stanza ma sufficientemente luminoso da intagliarne i contorni. Ilyas si stropicciò le palpebre e si rigirò a pancia in su per guardare il soffitto.
La voce di sua sorella tornò a riempire la camera.
«Vuoi del tè? Solo un po'.»
Era tentato di scuotere la testa, ma fece un altro cenno di assenso. Aisha sembrò tirare un sospiro di sollievo. Sistemò il vassoio vicino al letto, sul comodino, e si mise seduta sulla sponda. Gli allungò una tazzina fumante.
«È caldo, attento, l'ho appena fatto. È tè nero come piace a te. Ci sono anche dei biscotti.»
Ilyas si mise contro la spalliera e prese la tazzina che lei gli porgeva. Cominciarono a bere in silenzio. A un certo punto Aisha si alzò per sollevare ancora un po' le tapparelle. La luce arrivò a insinuarsi fin quasi alla parte anteriore del letto. Ilyas ritirò le gambe contro il petto.
«Hai dormito stanotte?»
«Un po'.» Con il sapore del tè bollente in bocca, che gli aveva scottato la lingua, prese tempo. «Va meglio.»
«L'insonnia, dici? Hai preso i sonniferi?»
«Sì.» Si strofinò le palpebre. «Hanno funzionato in effetti.»
Avevano funzionato: era caduto in un sonno senza sogni e finalmente era riuscito a recuperare parte del sonno arretrato degli ultimi giorni passati con gli occhi sbarrati nel buio della propria stanza. Ne erano già passati tre. Mancava una settimana al ritorno al Comando.
Sentì lo stomaco contrarsi. Quello non era migliorato molto invece: ogni volta che metteva qualcosa nello stomaco gli sembrava di dover vomitarlo all'istante.
Si impose di finire il tè. Lo bevve a piccoli sorsi, con Aisha che faceva lo stesso scrutandolo da sopra il bordo della tazzina.
«Ilyas» iniziò, ma non proseguì. Aprì la bocca, la richiuse, l'aprì di nuovo. Esitò ancora. Infine disse: «Non andiamo a Tjulenij.»
«Voi potete andare» rispose subito lui senza guardarla. «Io rimango qui.»
«No, no, non andiamo, non è importante. Davvero, non lo è. Ci possiamo andare un'altra volta. Io voglio restare con te.» Aisha si avvicinò impercettibilmente. «Se solo mi dicessi cosa c'è...»
Lui chiuse gli occhi per un attimo. Strinse le dita attorno alla tazzina e per un momento pensò di romperla.
«Te l'ho detto: devo solo riposare. Sono stanco.»
«Va bene. Lo capisco. Voznjak dice che è normale, che l'altro giorno hai affrontato una prova molto dura e per questo sei così stanco, e teso, che dobbiamo darti tempo, e io sono d'accordo, solo che...» Ancora quell'esitazione impalpabile. «Non mi puoi dire cosa è successo?»
«Non è successo niente» si sentì dire lui con una voce che suonò dura anche al proprio orecchio. «È come dice Voznjak: è stata una prova dura, per la fine dell'addestramento, ma niente di diverso dal solito, niente di... ora mi passa tutto.»
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Sotto un cielo nemico
ActionIlyas Hasani ha da poco compiuto diciannove anni e si sente già un uomo. È cresciuto tutto in una volta, in una notte, quando ha visto sua madre morire, la sua casa distrutta, la sua infanzia spezzata. Quella notte, a dodici anni, ha fatto una prome...