XIV - Rispetto e paura

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Il sole era alto, un sole freddo che baluginava pallido e immoto nel cielo color amianto. C'era profumo di neve nell'aria: presto sarebbe caduta anche lì a valle, le montagne non sarebbero state le uniche a esserne imbiancate. Mancavano poche settimane al compleanno di Aisha.

Lei era nata d'inverno mentre Ilyas d'estate, un contrasto che la loro madre non aveva mancato di rimarcare.

«Tu sei il sole, lei è la luna» gli diceva, la voce una carezza come il bacio che gli dava prima di metterlo a dormire. «Opposti ma complementari. Nessuno dei due vive senza l'altro.»

Anche quelle parole gli erano rimaste impresse.

«Flessioni!»

Erano nel campo di addestramento, in piena sessione di allenamento incentivante. Il tipo di allenamento non era cambiato molto rispetto a quando erano reclute, anche se gli ordini dei superiori – era il sergente colonnello Vaidiskij che si stava occupando di loro quel giorno – erano più blandi, ma forse giusto perché non era Zamatij a proferirli.

«Flessioni, sissignore!»

Ilyas si piegò insieme agli altri e cominciò l'esercizio. Uno, due, tre. Vedeva la terra che si allontanava e gli veniva incontro. Quattro, cinque, sei. Sentiva il profumo della neve: quella mattina lo percepiva con strana chiarezza. Sette, otto, nove. Chissà come sarebbe stato salire in montagna e immergersi in tutto quel bianco, far perdere le proprie tracce...

«Salti e poi flessioni a raffica, avanti!»

«Vaidiskij è un cazzone principiante» disse qualche minuto più tardi Arkaša, a bassa voce, mentre correvano da una parte e l'altra del campo. Il suo fiato era regolare, controllato. «Dopo essere passati sotto Zamatij una sessione così è veramente una passeggiata.»

«In effetti...»

Furono in parecchi a concordare, mentre altri ragazzi che non avevano fatto parte del loro plotone ci tennero a dire che anche loro avevano avuto istruttori sfiancanti. Ilyas non commentò. Correva, gli occhi al terreno che scorreva sotto i piedi. Sollevava solo ogni tanto lo sguardo verso quel sole biancastro, verso le montagne alte e lontane, incorniciate dai reticolati.

Gli altri ragazzi intanto parlottavano tra loro, approfittando della scarsa guardia di Vaidiskij.

«Ma l'avete sentita l'ultima? Sembra sia stato avvistato un lupo stanotte!»

«Seee, come no, appena viene giù un po' di neve c'è sempre qualcuno che vede un lupo, poi però il giorno dopo non c'è nessuna traccia, chissà perché.»

«È tipo un'allucinazione collettiva.»

«Ma guardate che esemplari ne esistono ancora, eh. Saranno pochi, ma...»

«Ma non si spingono certo fino a qui. Cioè, se io fossi un lupo preferirei crepare di freddo e di fame che venire qua.»

«Questo è vero. Tempo dieci secondi netti e si ritroverebbe l'intera colonia alle calcagna.»

«E perché, il Comando non lo metti? Altro che perdere tempo con le flessioni: starebbero già tutti lì a inseguirlo. Beh, anch'io lo inseguirei...»

«Merda, se catturassi un lupo starei a posto per tutta la vita, me ne andrei da questa cloaca.» Arkaša scuoteva la testa. Allungò il passo e raggiunse Ilyas. «Tu cosa faresti se catturassi un lupo?»

La voce di Vaidiskij lo sollevò dal rispondere. Il sergente colonnello li richiamò per fare un'altra serie di salti a gambe divaricate e, a seguire, piegamenti sulle ginocchia. Si vedeva che non aveva voglia; aveva il suo solito atteggiamento flemmatico che adottava anche durante le lezioni di strategia militare. Dopo i piegamenti gli diede un quarto d'ora di riposo, pausa che sarebbe stata impensabile durante l'addestramento da reclute.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 23, 2023 ⏰

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