V. You're my home

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«Ilyas.»

Sua sorella gli venne incontro, calma e composta. Lo raggiunse e, in un impeto più vivace che dimostrava la sua età, lo abbracciò. Lui le passò un braccio attorno alla vita e le posò un bacio sul capo, sui capelli castani e folti, aspirando per un attimo benefico il suo odore, un misto di sudore e cenere di fascine di ginestra, di pelle calda, da persona bruna. Odore di casa.

«Eccolo qui, è arrivato» fece Magda affacciandosi nel corridoio. Il suo sorriso tratteneva una traccia di bonario rimprovero. «In ritardo, come al solito.»

«Mi spiace, mi sono dovuto trattenere dopo una lezione.»

Ilyas non disse che ora, la domenica, era costretto a restare un'ora in più dopo le lezioni di tecnica militare. Meglio tenersela per sé, quella novità.

«Pensavo non venissi più» fece Aisha, riemergendo dal suo abbraccio, i capelli un po' arruffati.

Lui ci passò una mano sopra e le sorrise. «Non l'avrei mai fatto.»

Aisha annuì e lo spinse a seguirlo in quella che ormai, almeno per lei, era a tutti gli effetti la sua casa.

Magda aveva già preparato la cena, che aveva tenuto in caldo per il suo arrivo. C'era anche il marito, Voznjak, sprofondato nella sua inseparabile poltrona. Si alzò appena lo vide entrare nel piccolo salotto, solo un po' rigido sulla gamba bionica.

«Eccoti qui, ragazzo, finalmente, ci hai fatto aspettare.»

«Scusate» ripeté lui. Loro due, Voznjak e Magda, erano tra le pochissime persone, peraltro russe, con cui si scusasse. «Mi hanno trattenuto. Ordinaria amministrazione.»

«Ah, Ilyas, hai tirato la corda, vero? Ammettilo, lo so che l'hai fatto, razza di scavezzacollo. Vieni qui, avanti, ti ho tenuto una birra. Raccontami un po' che si dice al Comando, tra soldati veri.»

Voznjak era un geniere della Legione, appartenente al corpo militare specializzato nel costruire fortificazioni da campo e provvedere alla manutenzione di infrastrutture e opere di supporto all'attività di combattimento. Era stato lui uno degli ingegneri che aveva costruito la città artificiale dove il plotone di Ilyas si addestrava ad ammazzare soldati e civili. In gioventù aveva fatto la guerra in Kosovo e lì aveva perso una gamba. Una gamba e la fede, usava dire. Non la fede in Dio, che in generale nella sua patria non attecchiva più, ma nella Federazione, almeno in parte. Questo non lo diceva a voce alta, ma una volta lo aveva confessato a Ilyas, dopo un paio di birre che condivideva sempre volentieri con lui quando veniva a trovare Aisha nei giorni di permesso.

Da quel giorno quell'uomo non molto alto, asciutto e compassato, dai capelli scuri e gli occhi gravi di chi ha visto l'inferno e ci è ritornato vivo, si era guadagnato la sua simpatia e non l'aveva persa più.

«Niente birra» fece Magda. «Venite a mangiare. Subito.»

Voznjak borbottò una mezza protesta, ma, come spesso accadeva, obbedì alla moglie. Era lei il "generale in campo" in casa, lo diceva sempre.

Ilyas prese posto a tavola accanto ad Aisha. Si guardò attorno lasciando scivolare lo sguardo sui contorni conosciuti dei mobili. La stanza era piccola ma calda, sobriamente arredata. C'era una dombra appesa alla parete di fronte e accanto una tanka rappresentante un Budda nell'atto di insegnare. Opera di Magda. Al contrario del marito era religiosa, forse una dei pochi praticanti rimasti in Russia. D'altronde proveniva dalla Calmucchia che, come non mancava mai di ripetere, costituiva uno Stato a sé, coi suoi costumi e le sue usanze così diverse, non solo per quanto riguardava la religione, dalle tante altre regioni che popolavano la sterminata Madre Russia.

Della Calmucchia, una terra che Ilyas non aveva mai visto, dove le strade hanno solchi profondi e la gente ha occhi a mandorla, profondi e fieri, Magda aveva preso proprio quegli occhi che si univano ai capelli neri, del colore dell'ossidiana lucida, il viso ovale e levigato, la figura slanciata e la bocca larga sovente increspata in un sorriso. Era un sorriso caldo, morbido, il suo, che gli ricordava quello di sua madre. Non avrebbe voluto – non voleva sovrapporle: Magda in fondo era un'estranea per lui e sua madre non sarebbe più tornata a sorridergli –, ma a volte gli capitava.

Sotto un cielo nemicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora