XI. Nel Limbo - prima parte

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Si risvegliò con la sensazione di essersi dimenticato qualcosa.

Gli doleva la testa. Anche il corpo, in più punti, ma la testa era quella che gli faceva più male, come se fosse immersa in una nebbia appiccicosa dove ogni tanto si scaricavano fulmini, lancinanti fitte elettriche di dolore. Per un po' non riuscì a capire dove si trovava, ma lentamente riprese coscienza di sé e dell'ambiente circostante.

Era sopra una sedia. Non ricordava come ci fosse finito. Forse non importava. Tutto quello che sapeva era che era stato picchiato così forte, sbattuto contro il muro e altre superfici solide, da perdere coscienza. In base al fuoco che gli esplodeva tra le costole, il legno del tavolo su cui era stato gettato di malagrazia non doveva essere l'unica cosa che si era incrinata.

Cercò di muoversi per verificare che fosse ancora in grado di farlo e fu così che si accorse di essere legato. Sentì il sangue prima di ogni cosa: un piccolo rivolo di sangue scivolò dai suoi polsi quando provò a muoverli. Strizzò gli occhi, intrappolò un respiro tra i denti. Provò a girare la testa e immediatamente altro sangue sgorgò, stavolta dal suo collo. Si paralizzò.

Ma che cazzo...

Era legato su una sedia posta davanti al pilone della caldaia spenta. I suoi polsi erano intrecciati strettamente dietro la schiena, non dietro lo schienale, ed erano legati a metà busto, le braccia piegate in modo da lasciare scoperta la parte inferiore dei lombi. Anche i suoi piedi erano legati, agganciati alle gambe della sedia. Avrebbe potuto muovere il torso, persino alzarsi in piedi, ma c'era qualcosa che glielo impediva: un filo sottilissimo fatto di un materiale che non conosceva, simile a nylon ma più affilato della lama di un coltello; era legato attorno al pilone e gli circondava il collo come una collana un po' allentata, che gli ricadeva all'inizio delle clavicole. Sembrava innocuo, ma sarebbe bastato un minimo movimento della testa, di lato o davanti, lui che muoveva il collo di appena due centimetri, e il filo si sarebbe teso e gli avrebbe segato la pelle. Anche i suoi polsi e le sue caviglie erano legati con lo stesso materiale, i polsi girati uno sopra l'altro in modo che il filo non toccasse le vene della parte posteriore. Per come li aveva mossi il sangue era sgorgato cadendo al suolo con un piccolo pop.

In tutto ciò si accorse di non avere più gli anfibi e neanche più parte dei vestiti: stava a petto nudo e a piedi nudi, con solo i pantaloni addosso, senza cintura, e il filo che gli toccava direttamente la pelle del collo, delle caviglie e dei polsi anteriori.

Merda, fu il suo unico pensiero coerente. Riportò la testa indietro, contro lo schienale, attento al movimento. Provò a muovere solo gli occhi per capire se c'era un modo per liberarsi, ma la situazione sembrava senza via d'uscita. Era legato come un salame e, se si fosse anche solo agitato un poco sulla sedia, il rischio era che quel filo gli avrebbe tranciato la gola a forza di tenderlo.

Non c'è che dire: è un tipo inventivo coi legamenti.

Era ancora sotto il torchio di Bezbòznij? Ilyas non era sicuro di poterlo dire, in realtà. Dopo il blackout che aveva avuto mentre veniva pestato, non ricordava più niente, aveva solo dei confusi flash, frammenti di memoria di se stesso trascinato da qualche parte nella cantina, di qualcosa che veniva posto sulle sue ferite – un medicinale? possibile? -, persino di un'iniezione a un certo punto, e doveva aver avuto modo di pisciare perché non sentiva la vescica gonfia, nonché di bere perché non era assetato, ma non aveva di certo mangiato perché il suo stomaco era vuoto e brontolante.

Abbassò gli occhi sul proprio corpo per valutare lo stato in cui si trovava. Non si poteva guardare in faccia, ma sapeva di avere un taglio sulla tempia e probabilmente degli ematomi per come era stato sbattuto con la testa contro il tavolo. La pelle al lato destro del viso gli pizzicava. Possibile che gli fossero stati applicati dei punti? Non metteva più limiti alla realtà ormai... Al resto del corpo avrebbe potuto andare peggio, constatò nell'osservare i lividi che facevano allegramente mostra sul suo petto, sui suoi fianchi e sul suo ventre: erano violacei e pulsanti, ma non aveva altre ferite, non stava sanguinando e non gli faceva neanche più male il braccio destro. Forse un paio di costole gli si erano incrinate, ma era ancora vivo, dolorante e malconcio, ma vivo.

Sotto un cielo nemicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora