VIV. Sotto un cielo nemico - prima parte

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«... allora, quando il carro è andato in fiamme, gli siamo saltati addosso, io gli sono saltato addosso: ho preso Antonov per la gola e l'ho buttato a terra, gli ho sparato in mezzo alla nuca, ma prima ho voluto dire a quel bastardo di andarmi a salutare i suoi amici all'inferno, oh, sì, che avrebbe dovuto...»

«Ti sei fatto anche un tè nel frattempo?»

Erazm Mikhajev interruppe il suo discorso e gli scoccò un'occhiata cupa.

«Che vuoi, Hasani?»

«No, dico, in tutto questo tempo che hai avuto per ammazzare Antonov, hai preso pure il tè? Sarebbe verosimile, no?»

Alcuni dei ragazzi seduti lì attorno ridacchiarono e Arkaša, che stava vicino ad Erazm, scoppiò in una risata gracchiante.

«Dai, Erazm, non fare quella faccia. Chi non avrebbe voluto farsi un tè in mezzo a tutti quegli spari? Anche se io avrei preferito un bel bicchiere di vodka!»

Zaid, al suo fianco, annuì gravemente.

Erazm fissava Ilyas con gli occhi stretti. «Invece di fare il sarcastico perché non mi ringrazi di averti salvato il culo? Se non fosse stato per me Antonov ti aveva già fatto fuori.»

«Certo, come no. Gli stavo per sparare io, tu ti sei solo messo in mezzo e adesso vuoi raccontare la storiella dell'eroe impavido che ha pure avuto tempo di fare cazzuti discorsi in battaglia? Guarda che non ti crede nessuno.»

Erazm era pronto ad alzarsi e forse colpirlo, ma Zaid si mise in piedi e lo fermò con un semplice tocco al braccio. Era il più calmo dell'intera compagnia, quasi ieratico, capace di allentare l'atmosfera spesso bizzosa che vigeva tra i cadetti – in questo era l'opposto del suo grande amico Arkaša, che invece era una polveriera sempre pronta a esplodere.

«È così importante sapere cosa è successo esattamente?» chiese guardando tutti. «L'importante è essere sopravvissuti.»

«Ah, vorrei essere zen come te» ribatté Arkaša e scoppiò in un'altra risata. «Ma vorrei più un bicchiere di vodka, lo ammetto.»

Erazm ritornò seduto, non senza scoccare un'occhiataccia a Ilyas. Lui non se ne preoccupò. Era dal giorno prima, da quando erano entrati trionfanti a Batum, che gli sembrava che tutto gli scivolasse addosso.

Avevano trovato il villaggio come se l'erano aspettato: un campo di battaglia a cielo aperto. Li aveva accolti coi suoi quartieri sfigurati, immersi nel silenzio assoluto che segue gli attacchi all'alba. Edifici con i margini smozzicati, ammassi di mattone grigio frantumato, tetti sfondati, strade crivellate dalle bombe, odore di carne in scatola, fumo e vita rappresa agli angoli.

Le reclute che si erano ritrovate a Batum stavano resistendo da cinque giorni sotto l'assedio dei russi. C'erano state molte perdite, più a causa degli attacchi aerei che per altro, ma d'altronde anche il reggimento che si era ritrovato al campo base aveva subito parecchie perdite. Ad alcuni tra loro erano stati ripristinati gli avatar, altri invece erano semplicemente scomparsi; avevano fallito. Milos, che avevano incontrato insieme a Zaid una volta entrati nell'edificio scelto come quartier generale, gli aveva raccontato che Sanja era "morto" per ben tre volte in tre giorni.

«Una volta al giorno, capite? Due volte per delle bombe, una durante una sparatoria in un vicolo qui vicino. Il suo avatar scompariva e ritornava un minuto dopo nello stesso punto. Prima della terza morte mi ha detto "io comunque qua ci esco vivo" e poi, pop, è andato.»

Non avevano avuto commenti da fare.

Dopo l'attacco al fiume e la loro insperata vittoria Ilyas e gli altri erano stati accolti tra grida di giubilo ed eccitazione. Non avevano trovato molte armi nella fortificazione, quasi nulla anzi, ma in compenso avevano conquistato una posizione strategica, tagliando la via di rifornimento principale dei russi. Era stata una vittoria importante dal punto di vista tattico, come non mancava di rimarcare Dragan.

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