XIII - Through the broken looking glass - seconda parte

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L'atmosfera non sembrava neanche più quella dell'esercito, pensò Ilyas mentre approdava nel campo. Le ex reclute non stavano in riga, bensì sparpagliate in gruppetti a parlare tra loro come fosse l'ora d'aria dopo il rancio. C'era chi fumava, chi lanciava esclamazioni, chi accoglieva gli altri appena entravano. Lui si guardò intorno con occhi spenti. Riconobbe molti ragazzi del suo plotone e altri che aveva conosciuto nel Limbo. Erano tutti vestiti con la stessa divisa e pochi portavano il gallone d'argento sul braccio; ne contò giusto una decina tra quelli che superò. I designati tenenti si ergevano con il capo più eretto degli altri, simili a levrieri in una muta. Lui cercò di non farsi notare, di muoversi silente, invisibile nella folla, ma qualcuno si accorse del gallone e molti sguardi lo seguirono. Distinse Erazm Mikhajev, poco distante, impegnato a parlare con altri due ragazzi, la faccia pallida e tiratissima, che si irrigidì ancora di più nello scorgerlo: strinse gli occhi come strinse tra le dita la sigaretta che teneva in mano.

Ilyas lo ignorò.

«Ohi, eccolo lì! Ilyas!»

Una voce familiare si abbatté su di lui. Era Milos, a poca distanza, con Zaid e Arkaša: si mise a fare grandi gesti con le mani per attirare la sua attenzione.

Con le gambe che ancora gli sembravano impallinate, Ilyas raggiunse i tre ragazzi.

«Ve l'avevo detto che non poteva non aver superato il test! E guardate: era proprio come pensavo!»

Milos indicò il gallone sul braccio destro di Ilyas. Mentre Arkaša emise un lungo fischio ammirato tra i denti, Zaid non sembrò sorpreso. Lo fissò coi suoi occhi scuri e calmi.

«Lo pensavo anch'io. Ce l'hai fatta alla fine, Ilyas.»

«Già» si limitò a mormorare lui.

«Ah, cazzo, tu sì che sei un dritto.» Arkaša, che pareva giusto un po' più magro dall'ultima volta che lo aveva visto, gli rivolse un gran sorriso. «Però ora ci devi raccontare tutto.»

«Non c'è niente da raccontare.»

«Come niente!» protestò Milos. Anche lui sembrava sempre lo stesso, a parte le occhiaie che gli gravavano sotto gli occhi, che incastonavano invero i visi di tutti e tre i ragazzi. Gli occhi di Milos erano vispi, comunque, colmi di curiosità. «Come hai fatto a ottenere il grado? Non eri con Dragan?»

«Dragan?»

Fu come un fulmine a ciel sereno. Quel nome riemerse nell'orizzonte della sua mente per la prima volta da giorni. Si guardò attorno, ma vide solo una selva compatta di divise verdi, indistinguibili l'una dall'altra.

«Dov'è Dragan? È qui?»

«Come se è qui? Intendi se ha superato il test?» Zaid gli scoccò un'occhiata perplessa. «Certo che l'ha superato, pure lui è diventato tenente. Ma scusa, non l'hai sentito questi giorni?»

Ilyas scosse la testa. «Dov'è?» insistette.

Anche Milos gli rivolse uno sguardo confuso. «Arriverà a momenti, immagino. È tornato ieri dalla Serbia, l'ho sentito io. Quindi è vero che non eri con lui all'assalto alla mensa?»

«Eravamo insieme, ma poi siamo stati... separati.»

«Ah, allora ti sei salvato da Saganev e quegli altri.» Milos non riuscì a trattenere un brivido e li guardò tutti. «No, vabbè, io ve lo dico: Dragan è più di là che di qua. L'ho sentito ieri e aveva la voce di un morto, giuro. Se poi è vero quel che dicono...»

«Ma non ti ha detto niente?» chiese Arkaša. «Io ho sentito robe assurde.»

«Ma figurati se mi ha detto qualcosa e poi mica io gli ho chiesto niente! Al telefono poi! No, no, mi sono limitato a chiedergli come stava. Spero oggi ci dirà qualcosa, in realtà.» Milos allungò il collo verso l'entrata da dove stavano sciamando un paio di nuovi soldati. «Anche solo per capire se Erazm si inventa balle.»

Sotto un cielo nemicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora