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Jimin's pov
Era una noia, una noia mortale. Il rientro a casa mi rendeva sempre triste e nostalgico, oltre che irritato.

Preferivo di gran lunga darmi a feste e a sesso selvaggio piuttosto che dovermi occupare di cose noiose di finanza, numeri e impegni vari che di solito ricopriva mio padre.

Già mio padre. Lo stesso padre che di punto in bianco aveva deciso di passare a miglior vita, lasciandomi la sua azienda da gestire.

Non avevo mai amato il suo lavoro, se non fosse per i soldi. E ora dovevo esserne il capo. Che seccatura.

Essere miliardario mi piaceva molto però.

Era l'unico lato positivo di essere suo figlio.

Almeno una cosa buona l'aveva fatta.

Ma non mi importava in quel momento.

Volevo soltanto spassarsela prima di tornare in Corea a gestire la sua azienda. Essendo il suo unico figlio sarei stato io il suo successore senza dubbio.

Dopo aver bevuto un'ultima volta con gli amici, che ero riuscito a farmi qui in Giappone, mi diressi all'aeroporto dove il jet di mio padre mi aspettava per riportarmi in Corea.

Avevo chiesto espressamente che durante il viaggio nessuno dovesse osare disturbarmi, anche perché avevo già un mal di testa assurdo e volevo riposare. Volevo restare da solo prima di atterrare e diventare il nuovo erede dell'azienda più in voga e famosa di tutta la Corea.

Mi sentivo sotto pressione per questo ruolo che avrei dovuto ricoprire da lì a poco. Non ero mai stato così importante, forse era un po' di ansia da prestazione.

Guardando fuori dal finestrino mi chiesi perché mio padre non si fosse mai risposato dopo mia madre visto che non l'amava davvero ma era stato costretto a sposarla.

Era una cosa che non avevo mai compreso. Già il matrimonio combinato non lo avevo mai compreso.

-signor Park volevo soltanto avvertirla che stiamo per atterrare-mi disse il copilota attraverso il suo autoparlante facendomi tornare concentrato sull'atterraggio.

*Fantastico. Rivedrò la casa dove sono cresciuto che venderò non appena letto il testamento di mio padre*

Avevo sempre odiato quella casa. Non la casa in se, ma come si vivesse li.

Mio padre dettava legge e le sue regole non andavano discusse in alcun modo.

Odiavo vivere così.

Non volevo più vivere così.

Tanto che non appena l'occasione si presentò alla mia porta decisi di andare in Giappone a dirigere la sua filiale che aveva aperto li.

Volevo stargli lontano e decidere da solo della mia vita.

Non volevo che nessun altro prendesse le mie decisioni.

Ma ora ero costretto a tornare a casa per eseguire le pratiche di morte, per il funerale e il testamento.

Come suo unico figlio non potevo non farlo.

🍑

Ero quasi a casa, mancavano cinque minuti prima di valcare il cancello di casa mia.

Jack, il maggiordomo che mio padre aveva assunto quando ero bambino che era anche il mio autista, era già in aereoporto ad aspettarmi al mio arrivo.

Lui era una delle poche persone in quella casa che mi rispettava e che era gentile con me.

Negli anni molte cameriere erano state licenziate perché avevano osato disubbidire ai miei ordini o perché si erano rivolte a me nel modo sbagliato.

-eccoci arrivati signorino-mi disse Jack aprendomi la portiera inviatandomi a scendere.

Non appena i miei piedi toccarono i sassolini davanti alla villa tutti i miei ricordi d'infanzia riemersero dandomi un senso di nausea assurdo.

Avrei tanto voluto vomitare piuttosto che rientrare in quella casa, ma non potevo tirarmi indietro. Non ancora almeno.

-Facciamolo-dissi allacciandomi nuovamente la giacca e avviandomi verso l'enorme scalinata d'ingresso.

Era il momento di finire il regno di mio padre. 

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