Capitolo 4

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Mentre preparavo il necessario per partire, qualcuno bussò alla mia porta: era mia madre. Si stava comportando in modo strano da tutta la sera e ciò mi procurava un pessimo presentimento.

-Achille, hai cinque minuti?-

-Sì, ma è tutto a posto? Ti vedo strana, mi fai preoccupare-

-Siediti qui- disse, indicandomi con una mano la parte di letto affianco alla sua. Feci quello che mi aveva chiesto e la guardai aspettando ciò che doveva dirmi.

-Non so come dirtelo ... è una cosa complicata ... -

-Allora parlo io, così nel mentre ci pensi, perché ho una curiosità: perché proprio Atlantide? Voglio dire, è dall'altra parte del mondo-

-Visto che quello che volevo dirti si collega a ciò, faccio un passo indietro. Atlantide è stata fondata in onore del titano Atlante, colui che sorregge il mondo nella tradizione greca , come ben sai. Quella città poi restò il luogo di ritrovo di noi nereidi e alcune di noi, decisero di rendere quel luogo la loro dimora e così si formò la popolazione di Atlantide. Quindi non era altro che una colonia greca, potremo definirla così, poi un re –non ricordo chi fosse- decise di creare una cultura differente dalla nostra, per creare una loro identità, e nonostante ciò restammo comunque in buoni rapporti. Quindi, quando noi avevamo bisogno di un nascondiglio sicuro per il Dilitìrio, il re Alexis, che è ancora al potere, si rese disponibile ad aiutarci-.

-Bene, ma non capisco come ciò possa collegarsi a ciò che devi dirmi-

-È difficile e non so come potresti reagire-

-Non farmi partire con questo dubbio, che succede? È grave?-

-Hai ragione, devi sapere-

Mia madre mi guardò per qualche secondo in silenzio e ricambiai il suo sguardo.

-Tuo padre non è Peleo-.

La guardai ridendo leggermente, anche se il volto di mia madre era di marmo.

-Stai scherzando, vero?- commentai, sorridendo, cercando di nascondere la mia rabbia.

-Purtroppo è la verità-

Volsi lo sguardo al pavimento in silenzio. La mia rabbia cresceva e non sapevo fino a che punto sarei riuscito a trattenermi.

-Chi è allora mio padre?- sibilai tra i denti, colmo di ira.

-Achille, stai calmo ...-

-No che non sto calmo, voglio sapere CHI CAZZO È MIO PADRE!-

Mi posizionai davanti a mia madre che era scattata in piedi, vicino alla porta, pronta a scappare. I nostri volti erano vicinissimi: leggevo la paura di madre di mia madre sul suo volto e sentivo le mie mani, strette a pugno, tremare per l'ira. Sentivo quell'ira incontrollata scorrermi nelle vene come tremila anni fa, quand'ero al cospetto di quel cane di Agamennone, che voleva ciò che mi spettava per sé, come se se lo meritasse.

-Tuo padre è Alexis.- mormorò con la voce tremante dal terrore mia madre –Tu, sei il principe di Atlantide-

Sbarrai gli occhi a quelle parole. Mi aspettavo di tutto ma non quella risposta, mi aspettavo chiunque come mio padre, ma non il re di Atlantide.

-Perché me lo dici solo ora?-

-Questo si è rivelato il momento giusto-

-Vattene-

-Achille, io...-

-Ho detto, vattene-

Teti obbedì all'istante e chiuse subito la porta dentro di sé.

Il mio corpo era percorso da un turbinio di emozioni: rabbia, delusione, stupore, amarezza e altro che non saprei definire a parole. Mi sedetti sul letto e fissai il vuoto davanti a me. Pensare che Peleo, l'uomo che mi ha cresciuto e di cui porto il nome, non fosse altro che una sorta di padre adottivo mentre il mio vero "padre" non si è mai fatto vivo per millenni, nonostante sapesse per certo di me, altrimenti mia madre non avrebbe avuto la necessità di dirmi ciò. Mi afferrai il viso tra le mani e delle lacrime cominciarono a scendere sul mio volto mentre il mio torace sobbalzava per i singhiozzi, che diventarono sempre più forti. Avrei preferito non sapere nulla, avrei preferito continuare a vivere nella mia ignoranza.

Qualcuno bussò alla mia porta. Mi asciugai di fretta le lacrime e andai ad aprire: era Apollo.

-Achille, perché stai piangendo? Tutto bene?-

-Non ti preoccupare, è tutto a posto-

-Certo e io sono Crono sotto copertura. Che è successo?- si chiuse la porta alle sue spalle.

-Non mi va di parlare, ti prego-

-Stai per partire per una missione che determinerà la nostra vita, e tu dovresti partire in queste condizioni?

-Apollo, ti scongiuro lasciami stare-

-Finchè non parli, non me ne vado-

Lo abbracciai, piangendo. Sentii la sua mano accarezzarmi amorevolmente la schiena, mentre tentava di confortarmi e dirmi che andava tutto bene. Poi uscì dalla stanza per tornare con un bicchiere d'acqua.

-Si vede che è successo qualcosa. Avanti, bevi e poi parla-

Bevvi tutto d'un fiato e iniziai a raccontare tutto e, nel farlo, qualche lacrima continuò a scendere. Ho sempre odiato piangere davanti a qualcuno, sin da ragazzo.

-Achille, so che è difficile accettarlo, ma purtroppo è così. E so che sei arrabbiato con tua madre perché te l'ha detto solo ora, ma mica poteva dirtelo quando eri vivo? Sarebbe stato peggio, non credi?- commentò Apollo, una volta che conclusi il discorso.

Annuii.

-Lo sapevo che sei un ragazzo intelligente. Non ti trattengo ancora a lungo, ti devi alzare presto domani. Cerca di riposarti, buonanotte- e anche lui uscì dalla stanza.

Mi infilai sotto le coperte e guardai per un po' il soffitto, pensando un po' a tutto: ai miei due padri, mia madre, la mia vita e poi finii a pensare a lui, che era nel sottosuolo, da solo, forse ancora ad attendermi dopo tre millenni o forse no: forse aveva capito che non sarei mai arrivato, che sarebbe rimasto solo a sopportare le difficoltà di quel luogo. Mi mancava, quanto cazzo mi mancava. Avrei dato il mondo per tornare un istante da lui o per far arrivare lui da me. Tuttavia ciò non era possibile e questa consapevolezza mi faceva male. Chiusi gli occhi e sussurrai qualcosa a quella persona come se fosse con me, prima di addormentarmi:

-Patroclo, sei sempre con me, ricordatelo-.

Rivolta dal TartaroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora