𝑪𝒂𝒑.𝟏: 𝒔𝒐𝒔𝒑𝒆𝒔𝒂 𝒕𝒓𝒂 𝒈𝒍𝒊 𝒊𝒏𝒄𝒖𝒃𝒊

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"Hey, c'è nessuno?"

Il suono della mia voce, quelle tre singole parole fuoriuscite in modo maldestro dalle mie labbra, bastarono per interrompere quell'assordante silenzio che tanto aveva provato a sovrastare tutto ciò che aveva intorno. Interromperlo, quasi volessi intendere 'ora è il mio turno', fu una benedizione per le mie orecchie. Ebbi la lucidità di salvarmi da sola; o almeno era quello che avevo immaginato. Restava solo un unico, grande problema: non avevo la più pallida idea di dove mi trovassi. Mi sembrava di essere in una stanza vuota, senza illuminazioni e senza spiragli dai quali potesse filtrare anche il più insignificante raggio di luce. Di riflesso strofinai i polpastrelli sulle palpebre, spostandoli poi su tutto il viso. A quel contatto portai una mano al petto, sospirando, grata di aver avuto la certezza di essere viva. L'idea, poi, che non ci fosse neanche un lieve profumo come di cibi, aromi, fiori o un qualunque cattivo odore che potesse suggerirmi almeno dove mi trovassi e soprattutto, in un ipotetico caso, con chi, rendeva la faccenda ancora più estenuante. Era come giocare a nascondino da bendati. E se c'èra qualcosa che detestavo quello era proprio quel gioco. Pian piano iniziai ad avvertire un forte senso di inquietudine. Ben presto mi accorsi che non c'era nulla. Ero nel nulla.

~Ma dove diamine sono finita? ~

La paura dell'ignoto era indescrivibile; eppure quella di restare lì immobili, senza agire, senza osare, era decisamente più forte.  

'In fondo' pensai ingenuamente tra me e me 'cosa può succedermi se provo a fare un paio di passi in avanti?' 

Forse sarebbe stato meglio se fossi rimasta lì senza muovermi, aspettando che quell'oscurità passasse e arrivasse qualcuno ad aiutarmi. Magari, se si fosse portato dietro un paio di pizze e un chilo di gelato sarebbe stato meglio, sarei stata più felice e mi sarei dimenticata di quel brutto inconveniente. Appena mossi il primo passo sentii come se mille formiche risalissero lungo tutto il corpo fino a raggiungere la testa, dove iniziai ad avvertire un fastidio misto ad un leggero dolore, nella zona del cosiddetto "terzo occhio". Portai una mano a massaggiarmi le tempie, strizzando gli occhi. Quando li riaprii, vidi un bagliore rosso vermiglio in lontananza. Inizialmente sorrisi; pensai che, finalmente, ero fuori pericolo e presto sarei ritornata a casa. Così, nonostante l'emicrania che stava diventando sempre più forte e insistente, decisi di avanzare verso quella fonte. Ma più mi avvicinavo più il bagliore diventava intenso, accecante e caldo. Ebbi una strana intuizione, come mi fosse quasi stata suggerita: che si trattasse invece di un incendio? Aggrottai le sopracciglia: no era impossibile. Se così fosse stato avrei dovuto avvertire il tipico odore sgradevole che li contraddistingue. 

Quello che mi lasciò interdetta fu che insieme alla luce aumentava anche il mio mal di testa. Non avevo mai creduto alle coincidenze e non lo avrei fatto neanche quella volta. Improvvisamente il calore che emanava iniziò ad avvolgermi. Quasi mi mancò l'aria, arrivando addirittura a scottarmi la pelle. Poi, d'un tratto, due grandi mani mi afferrarono saldamente la nuca facendomi sussultare per avermi preso alla sprovvista e con uno strattone mi scaraventarono in avanti, nell'occhio del ciclone. Non ebbi il tempo di capire a chi appartenessero ma in compenso mi accorsi con mio grande terrore che quella forte luce in cui ero immersa non era altro che un gigantesco vortice di fuoco. Tentai di ragionare sul da farsi, ipotizzando la più rapida via di fuga da quella situazione, ma fu tutto inutile. Il suolo sotto i miei piedi iniziò a cedere, sbriciolandosi. Provai ad aggrapparmi a quel poco di terreno rimasto ancora intatto ma le stesse mani che prima mi avevano spinto in quel vortice infernale mi costrinsero a cedere la presa, lasciandomi cadere. Fui risucchiata dal terreno e istintivamente urlai.

"HEY SELENE! ELEN PARLAMI! COS'È SUCCESSO?!"

Sgranai gli occhi accompagnando quell'insolito gesto da un profondo e rumoroso respiro, di quelli che si fanno quando trattieni per troppo tempo il fiato sott'acqua. Gettai il busto in avanti, facendo leva con le braccia in modo da non ricadere all'indietro, evitando di sprofondare nelle lenzuola ormai zuppe d'acqua. In sere come quelle l'affanno e il corpo (la fronte e il collo soprattutto) imperlato di sudore erano diventati i miei compagni, coloro che mi movimentavano le serate, se così si poteva dire. Mi guardai attorno, assottigliando gli occhi per farli abituare alla luce della abatjour visto il brusco passaggio dal niente al tutto mentre ispezionavo ogni centimetro della mia camera da letto per assicurarmi che tutto fosse in ordine, al suo posto così come lo avevo lasciato e che non ci fosse nessun altro oltre me e Megumi, il ragazzo che mi aveva afferrato una spalla e che la stava energicamente scuotendo nel disperato tentativo di ottenere anche solo un piccolo cenno che gli facesse comprendere cosa fosse accaduto e, soprattutto, che lo tranquillizzasse.

𝑰𝒍 𝒎𝒐𝒏𝒅𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒇𝒂𝒓𝒇𝒂𝒍𝒍𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora