𝑪𝒂𝒑. 𝟏𝟕: 𝒍𝒐𝒐𝒑 𝒊𝒏𝒇𝒆𝒓𝒏𝒂𝒍𝒆

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Anche se aveva smesso da un bel po', la risata di Sukuna continuava ad echeggiarmi nelle orecchie come un disco incantato e non accennava a fermarsi. Era simile alla riproduzione di un milione di canzoni che avevo ascoltato troppe volte e che non mi davano più quella carica, quell'energia, quella felicità di una volta bensì mi demotivavano, mi annoiavano, mi distruggevano. In quel momento la mia vita poteva essere paragonata ad una situazione del genere.

 Sukuna: era il nome che avevo sentito pronunciare  troppe volte per potermi ricordare quante. Prima in alcuni libri che mia madre aveva lasciato nella nostra vecchia casa, poi all'istituto e infine avevo avuto il privilegio (se di questo si poteva parlare) di averlo potuto incontrare nell'ala est del mio dormitorio. Avevamo parlato un po' e subito dopo mi aveva mandato in una waiting room fantastica: il coma. Ero rimasta sospesa ad un filo per qualche ora, tra la vita e la morte: poi mi ero risvegliata, fortunatamente. Da quel momento, dal primo istante che avevo visto quei giganteschi segni violacei sul mio collo , ero stata pervasa da un'inspiegabile adrenalina; volevo affrontarlo e fargli provare lo stesso male che lui aveva recato a me. E infine, quando ne avevo avuto l'opportunità, quel maledetto aveva avuto la meglio, costringendomi a stipulare un patto per non dover piangere la morte di un mio amico di cui molto probabilmente mi ero innamorata senza neanche accorgermene. 

Non sapevo dire con certezza quanto tempo fosse passato da quando avevamo parlato per l'ultima volta prima di quel assordante silenzio. Per un po' credetti che quello fosse solo uno dei miei soliti incubi e che di lì a poco mi sarei svegliata; dovevo solo avere pazienza. Eppure le fastidiose sensazioni che stavo provando in quel momento suggerivano altro. Le gambe e gli avanbracci sembravano essersi cementificati nel pavimento roccioso, mescolatesi a quella putrida melma. Il tessuto dei jeans e della felpa, ormai impregnati da tutto quel sangue e grazie ad esso aderitisi quasi completamente l'uno alle mie gambe e l'altro alle mia braccia, iniziavano ad essere veramente insopportabili. I capelli, che penzolavano ai lati del viso, sfioravano con le punte il sangue. La vista era offuscata dalle innumerevoli lacrime che avevo e che continuavo a versare, impedendomi di mettere a fuoco perfino gli enormi teschi che si trovavano a poca distanza da me, alla base della collinetta. Ma d'altra parte non avevo minimamente voglia di alzare la testa e lo sguardo; ero troppo stanca. Stanca e stravolta dalle ultime parole che quel disgraziato mi aveva rivolto.

"Non penserai davvero che sia così gentile da tenere fuori dai vincoli un argomento importante come quello?! Che tu lo voglia o meno, arriverà anche quel momento".

Ripensando a quelle parole sentii un brivido percorrermi tutta la spina dorsale fino a raggiungere le mie spalle, congelandole. Che tu lo voglia o meno...sperai di aver frainteso e che quello che stessi pensando fosse soltanto una delle mie solite eccessive preoccupazioni. E se così non fosse stato? Avrebbe sfruttato il mio corpo per i suoi porci comodi? Mi avrebbe violata fino a quando non si sarebbe stancato di me? E poi cosa sarebbe successo? Se non gli fossi andata bene? Mi avrebbe usato un altro po' o si sarebbe subito stancato e sarebbe passato direttamente ad affettarmi per la cena? 

I troppi pensieri, che si erano accumulati per tutti quei giorni e che in quel momento non mi davano un attimo di tregua, fuoriuscirono prepotenti dal mio stomaco, risalirono per la stretta via della mia gola, gonfiarono l'interno delle mie guance e si riversarono sul pavimento del tempio del re delle maledizioni. Non sapevo cosa mi facesse più schifo, se la macchia verdognola del mio vomito, l'essere consapevole di stare armeggiando nel sangue di cadaveri risalenti a decenni prima o entrambe le cose. Mi tornò in mente la volta in cui dissi al professor Gojo di essermi sentita come se un treno mi avesse investito in pieno. Lì altro che treno in corsa! Se ci fosse stato, probabilmente sarebbe esploso da un bel pezzo. 

Per un attimo mi chiesi se fossi sempre stata così dannatamente debole o se era semplicemente la presenza e il carattere autoritario di Sukuna a farmi sentire tale. Dubitai per qualche istante di me stessa, forse per la prima volta. Ma non mi ci volle molto a scavare nella memoria come se fosse un vecchio scatolone dei ricordi e a trovare milioni di prove che mi dimostrassero l'opposto di quello che avevo pensato qualche minuto prima. 

𝑰𝒍 𝒎𝒐𝒏𝒅𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒇𝒂𝒓𝒇𝒂𝒍𝒍𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora