𝑪𝒂𝒑. 𝟑𝟏: 𝒖𝒏 𝒑𝒂𝒓𝒂𝒔𝒔𝒊𝒕𝒂

329 14 11
                                    

Dall'autrice✍🏻
Ciao a tutti! Come state? FINALMENTE sono riuscita a prendermi una pausa dalla scuola per dedicarmi alla scrittura di un altro capitolo! Sapeste quanto mi siete mancati e quanto mi è mancato scrivere ed aggiornarvi! In realtà, ho iniziato a lavorarci già nel ponte dei morti ma, siccome c'era una parte che non mi convinceva molto, ho preferito rivederlo e pubblicarlo oggi. L'altro capitolo lo tengo come riserva per la settimana prossima dato che non vorrei ridurmi come il mese scorso in cui ho aggiornato sì e no un paio di volte. E a proposito di Sukuna: non so se lo avete già visto ma nell'ultimo episodio il nostro caro re delle maledizioni era uno schianto! Ma può darsi anche che è stata una mia impressione. Voi che dite? Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo. Vi voglio un mondo di bene. Grazie per tutto il supporto che mi state dando e grazie di cuore ai nuovi lettori che mi hanno dato fiducia e che stanno supportando la storia. Ve ne sono immensamente grata! Baci!❤️❤️

Fin da quando ero una bambina, ho sempre avuto l'ossessione di scoprire dove andassero tutti quanti una volta morti, ammesso che se ne andassero veramente. Voglio dire, di cadaveri ne avevo visti e questo era anche comprensibile visto il lavoro che svolgeva mio padre. Non era difficile per me sgattaiolare nella sala autoptica del medico legale mentre gli altri erano al lavoro. Comprensibile, dato che il tasso di crimini a New York era talmente alto in quel periodo che l'intero dipartimento non si sarebbe stupito se ogni singolo detective fosse stato obbligato a fare gli straordinari perfino il giorno di Natale! E così, tra la scusa dell'andare al bagno e quella di andare a mangiare un panino, cambiavo corridoio non appena ero certa che nessuno mi stesse guardando. Mi fermavo appena sulla soglia della porta per poter osservare l'ultima vittima, la nuova star del momento. Mi incuriosivano tanto quei corpi, specialmente quelli apparentemente intatti. Com'era possibile che lo stesso corpo che un giorno o una settimana prima rideva, scherzava, piangeva, rifletteva, aveva ambizioni, pregi e difetti, in quel momento fosse diventato pallido con il colore violaceo delle vene decisamente visibile ad occhio nudo, incapace di reagire agli stimoli esterni e di muovere un muscolo? Ciò che mi lasciava ancora più senza parole era quando il gelido letto di ferro presente nella stanza ospitava i corpicini di bambini, a volte più grandi di me di qualche anno, a volte di quelli che avevano la mia stessa età, a volte quelli di neonati. Possibile che il loro ciclo di vita dovesse durare così poco? Possibile che se ne fossero andati così presto? E perché poi? E se c'era qualcuno che stava orchestrando le nostre vite?

Già a cinque anni, quando ancora non sapevo nulla né di stregoneria né di chi fosse realmente mia madre, iniziai a credere che nel mio corpo ci abitasse qualcuno o, perché no?, qualcosa. A volte, sussurrando, provavo a convincere il mio ospite a parlare con me così come provavo a convincerlo a tranquillizzarmi, rispondendo a tutte le domande estenuanti che mi ripetevo ogni giorno nella testa come una filastrocca. Eppure una notte, svegliandomi di soprassalto a causa di una banda di teppistelli che se le stavano dando di santa ragione alle quattro del mattino, sotto casa mia, fui pervasa da un dubbio angosciante. Il forte spavento, provocato dalle urla assordanti provenienti da un vicoletto che si trovava dal lato opposto della mia abitazione, mi spinse a buttare le gambe fuori dal letto, a spostare la parte del caldo piumone che mi aveva riscaldato per tutta la notte sull'altro lato del materasso e, avvolta nella grande coperta di plaid che mio padre era solito lasciarmi a bordo letto per ogni evenienza, mi avvicinai all'unica fonte di luce della camera da letto. Presi lo sgabellino dove venivano poggiati i vestiti che avrei indossato il giorno dopo e lo spostai sotto la finestra che dava sulla strada, facendo l'estrema attenzione a non svegliare la vicina di casa che si premurava di restare a dormire da noi e di tenermi compagnia ogni qualvolta mio padre aveva il turno di notte. Era una donna graziosa ma fin troppo apprensiva. E sicuramente, alla vista di una bambina di quasi sei anni che si arrampicava sul bordo di una finestra con l'unico scopo di guardare cosa diamine stesse succedendo fuori alla sua stanzetta, fuori dalla sua casa, l'avrebbe fatta svenire sulla porta. Per non parlare dello sproloquio che avrebbe avuto seguito!

𝑰𝒍 𝒎𝒐𝒏𝒅𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒇𝒂𝒓𝒇𝒂𝒍𝒍𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora