𝑪𝒂𝒑. 𝟐𝟑: 𝒃𝒓𝒊𝒐𝒄𝒉𝒆 𝒆 𝒈𝒊𝒏𝒔𝒆𝒏𝒈

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I primi due mesi di convivenza con Sukuna furono molto diversi da quello che mi ero immaginata e di conseguenza passarono molto velocemente. Ma le sorprese non finirono qui! C'era qualcosa in lui, non so dire di preciso cosa, che iniziò a cambiare. Certo, non era paragonabile ad un cambiamento radicale, tutt'altro! Il suo era un cambiamento impercettibile che, apparentemente, non dava alcun segnale ma che con il passare del tempo stava man mano riempiendo la mia anima con una sensazione di tranquillità, lasciando che il vuoto e la disperazione dei primi tempi si acquietassero. Mi aveva rapita e torturata eppure mi stava dando la libertà di scegliere cosa volessi fare. Mi aveva umiliata dandomi della schiava ma nonostante questo mi permetteva di leggere i libri riposti nella libreria in camera nostra, mi chiedeva se preferissi mangiare il sushi o il ramen per pranzo, mi aveva persino lasciato andare nell'onsen da sola, senza esigere di fare il bagno insieme.

 Ma tra tutte, quella che mi aveva lasciato più sbalordita, era che sul finire della seconda settimana aveva smesso di prendersi gioco di me e delle mie fragilità evitando di rincarare la dose con battute sessuali. Ovviamente questo non significava che era diventato un angioletto; restava pur sempre il re delle maledizioni e una maledizione di per sé! Di tanto in tanto capitava che gli scappassero di bocca apprezzamenti come 'heh, povera piccola verginella' oppure 'tesoro, non sai quanto testosterone di qualità ti stai perdendo' ma andava bene così. In fondo, cos'erano due battutine in confronto al solo pensiero di avercelo addosso come un assatanato? Non che il suo corpo mi lasciasse del tutto indifferente. Erano rari gli uomini che avevano muscoli così bel piazzati e allo stesso tempo non esagerati. Davano quella sensazione di sicurezza ma allo stesso tempo non lo trasformavano in un armadio spropositato di deltoidi, bicipiti e quadricipiti con una vita a sé. 

C'era un particolare di lui che non mi aveva mai lasciata indifferente: i suoi marchi. Sul serio, erano marchi o tatuaggi tribali?! Mi affascinava il solo pensiero che ogni singola striscia nera del suo corpo avesse un significato nascosto. Ogni tanto fantasticavo su come li avesse ottenuti o su come se li fosse fatti. Per non parlare di quelli che gli incorniciavano il viso e di quello che aveva al centro della fronte, dovevano per forza celare un mistero, un segreto. Avrei voluto chiedergli questo e molto altro ma Sukuna era un uomo che difficilmente si lasciava sfuggire dettagli sulla sua vita passata e le poche volte che avevo provato ad introdurre il discorso mi aveva completamente ignorata. In un primo momento avevo creduto che quel silenzio potesse essere attribuito alla nostalgia dei vecchi tempi ma ben presto quell'ipotesi ha iniziato ad affievolirsi. 

Non c'erano tracce né di immagini né di antiche raffigurazioni come dipinti o mosaici né tantomeno degli oggetti che riconducessero la memoria alla sua forma originaria, ai suoi alleati o a quella donna di cui mi aveva parlato la prima sera che mi aveva trascinata di peso nel suo dominio. Forse aveva semplicemente sperato di ritornare in vita per potersi lasciare il passato alle spalle e ricominciare da dove gli stregoni della sua epoca lo avena fermato, imprigionandolo, ammesso che le cose fossero andate realmente così. Quella storia non mi aveva mai convinto. Perché un uomo, un dio quasi, con una potenza come la sua sarebbe stato imprigionato per secoli, se non per millenni, da stregoni la cui forza non era equiparabile alla sua? Non è che si era fatto sconfiggere di proposito? E se sì, a quale scopo?

Era a questo che pensavo mentre mi affrettavo a preparare la colazione. Da quando ero arrivata avevo mangiato solo cibo tipicamente giapponese. Non che mi dispiacesse! Era emozionante sperimentare ogni giorno piatti diversi mai mangiati prima d'allora e soprattutto la sensazione di sollievo che avevo provato una volta compreso che il re delle maledizioni non si cibasse in quell'epoca (non ancora per il momento)  di esseri umani poiché troppo complessi da preparare mi aveva donato la stessa spensieratezza e tranquillità di quando l'insegnante che più detesti si mette in malattia. Avevo nostalgia dei piatti che preparavo ancor prima di iniziare a frequentare l'istituto di arti occulte, quelli che mi rallegravano le giornate grigie. 

𝑰𝒍 𝒎𝒐𝒏𝒅𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒇𝒂𝒓𝒇𝒂𝒍𝒍𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora