𝑪𝒂𝒑. 𝟏𝟗: 𝒍'𝒐𝒂𝒔𝒊 𝒅𝒆𝒎𝒐𝒏𝒊𝒂𝒄𝒂

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Dopo la sua lunga e interminabile scenata (o almeno così apparve alle mie povere orecchie ormai stremate dai suoi rimproveri) non mi azzardai a ribellarmi quando mi tese per la seconda volta le mani in modo da potermi portare in braccio nell'altra stanza. Non proferii parola neanche quando mi sfilò le scarpe, i calzini e perfino la felpa con una tale delicatezza e attenzione nel non bucherellarli con le sue unghie che mi parve avere accanto totalmente un'altra persona. In particolare, prima che mi avvolgesse il busto con il telo da bagno, ebbi un sussulto quando sentii le sue mani roventi appoggiarsi sui miei fianchi. Man mano che risalivano la mia vita per togliermi la felpa percepivo qualcosa di diverso; non era calore misto all'odio, al rancore o alla rabbia i quali erano il carburante nonché fonte di sopravvivenza di tutte le maledizioni, figuriamoci del loro re! Al contrario quel calore mi dava una strana sensazione di sicurezza; mi sentii quasi protetta in quei suoi movimenti. Più andava avanti, più arricciava il tessuto morbido di quell'indumento, più lo guardavo sbalordita.

Quell'uomo non lo capivo e probabilmente non sarei mai riuscita a comprendere quali assurdi pensieri gli passassero per l'anticamera del cervello da un secondo ad un altro. Tutto di lui mi mandava in confusione: ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni sua espressione soprattutto quelle che tentava di nascondere. Possibile che riuscisse a passare da uno stato d'animo all'altro con così tanta facilità? Oppure era semplicemente lunatico? O forse soffriva di continui sbalzi d'umore? Questo in parte avrebbe spiegato il suo atteggiamento nei confronti degli altri. Abbassai lo sguardo, per captare qualche indizio, anche il più insignificante che mi facesse comprendere il perché di quei gesti così innaturali da parte sua ma niente; era troppo concentrato per degnarmi di uno sguardo.

 Rilassai le spalle, sconfitta e per il resto del tempo mi lasciai cullare dall'idea che quei suoi gesti, quel suo modo di aiutarmi dopo un problema che lui stesso aveva causato, fosse la sua maniera per chiedermi scusa. Se così fosse stato, doveva metterci più impegno; dopo quello che mi aveva fatto non lo avrei perdonato neanche se si fosse presentato con una fornitura a vita di pizze e di gelati! Chissà poi se era capace di provare questo tipo di sentimento: i sensi di colpa. In fondo, anche noi comuni mortali se ci scusiamo è solo perché siamo sopraffatti da quella brutta e angosciante sensazione di colpa e ci sentiamo coinvolti emotivamente in una determinata faccenda. Altrimenti, chi si preoccuperebbe di scusarsi con qualcuno se non per evitare di peggiorare una situazione?! 

Rimasi stupita quando, una volta coperta solo dai pantaloni, dallo slip e dal reggiseno, il suo sguardo non si fermò sul mio seno per più di un stante; sinceramente, da un essere depravato come lui mi sarei aspettata anche di peggio! Invece mi fece cenno di appoggiarmi saldamente alle sue spalle mentre lui, arpionandomi le cosce, mi sollevò dalla sedia. Oltrepassammo l'arcata rocciosa in religioso silenzio; in altri casi mi sarei sentita decisamente a disagio. Invece lì mi sembrava del tutto normale. A pensarci bene, in quel luogo doveva governare quasi sempre il silenzio, a meno che Sukuna non decidesse di mettersi a ballare la macarena con il volume delle casse al massimo ma non mi sembrava né il tipo che amasse ballare né tantomeno mi sembrava di aver visto in giro delle casse giganti o degli altoparlanti. 

Mentre seguivo il filo di tutti quei pensieri e tentavo di stare al passo con la mia immaginazione che non accennava a smettere di creare tutti gli scenari possibili per rendere quella sua vita così monotona in qualche modo divertente, attraversammo un piccolo corridoio, lungo circa due o tre metri, questa volta privo di fiaccole e di candele. Improvvisamente il buio iniziò ad affievolirsi lasciando spazio ad una piacevole luce azzurrina, rivelando la bellezza di quel luogo così surreale. Il pavimento era stato realizzato interamente in legno e a giudicare dall'assenza di scricchiolii sembrò essere in ottime condizioni. Al centro della stanza troneggiava un'enorme vasca di forma circolare, piena fino all'orlo di acqua cristallina ed occupava quasi tutto lo spazio di quella gigantesca sala.  Qua e là erano sparsi massi di ogni tipo di dimensione. Mi guardai intorno per assicurarmi che almeno lì non ci fossero quegli orribili teschi; fortunatamente non ce n'era neanche l'ombra. In alcuni lati della vasca fuoriuscivano di tanto in tanto degli sfoghi di vapore, segno che l'acqua non era gelida ma non era neanche bollente.  Notai alcuni petali di rosa secchi e dei mucchietti sali profumati che percorrevano tutto il perimetro della stanza; forse il buon odore che avevo percepito appena entrati lì doveva provenire proprio da quelli.

𝑰𝒍 𝒎𝒐𝒏𝒅𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒇𝒂𝒓𝒇𝒂𝒍𝒍𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora