Capitolo I

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MATTHEW

Apro gli occhi e intorno a me è tutto buio. Sono sdraiato sull'asfalto, il tratto di strada in cui mi trovo fortunatamente è deserto.
Che strana serata. Ero intenzionato a trascorrerla nel mio appartamento, invece mi sono lasciato convincere all'ultimo minuto da mio fratello Caleb ad unirmi a lui e i suoi amici del campus per una birra.
Per una volta, mio fratello, Roy e Steve hanno trascinato anche me in una delle loro conversazioni mielose sul vero amore. Mai visto un gruppo di uomini così tanto incline a parlare di sentimenti... ci siamo tutti lasciati prendere la mano da Caleb e dalla sua teoria sull'Amore con la A maiuscola e, come dicevo, per una volta ci ho pensato seriamente anche io.
Solo che alla lunga parlare di certi argomenti non fa per me, soprattutto perché non sono un grande esperto.
Quindi dopo un po' ho detto a mio fratello che sarei uscito fuori dal locale per prendere una boccata d'aria, ma non sono più rientrato perché poi sono finito qui...
Anche se, come al solito, Caleb deve aver esagerato con la birra, mi sembra strano che non si sia ancora accorto della mia prolungata assenza e non abbia provato a cercarmi. Deve essere messo davvero male...
Questo pensiero mi fa alzare di scatto e un mal di testa fin troppo familiare ha la meglio su di me.
Mi siedo nuovamente sull'asfalto, forse prima di alzarmi ho bisogno di riprendermi da quello che mi è appena successo: ho viaggiato nello spazio un'altra volta.
Adesso mi ritrovo in chissà quale punto della città e mi tocca farmela a piedi fino a casa, perché mi accorgo ora di avere il cellulare scarico e quindi non posso neanche provare a contattare mio fratello per chiedergli aiuto.
Inutile perdersi d'animo, mi alzo finalmente in piedi e inizio a camminare.
Mi rendo conto che devo essere in un angolo della città davvero poco conosciuto, nessuno di questi palazzi mi è familiare e nessuna insegna mi suggerisce in quale posto sono finito.
Camminando, mi ritrovo a riflettere su una cosa: in genere il mal di testa è un sintomo che precede un viaggio, stavolta invece si è manifestato a viaggio compiuto. Inoltre, è stato come se non mi fossi accorto che stavo per spostarmi nello spazio. Che i sintomi relativi a questo fenomeno stiano cambiando? Forse Caleb ha ragione quando insiste a dirmi che... no! Non è il momento di lasciarsi andare a questi pensieri, devo tornare al locale da mio fratello.
Continuo a camminare, percorro un paio di isolati e ancora non ho capito dove mi trovo.
Mi toccherà chiedere aiuto a qualcuno. Un ragazzo si ferma vicino a me mentre aspettiamo che scatti il semaforo.
«Ehi, amico» dico girandomi nella sua direzione. «Sapresti indicarmi la strada per Command road?»
Il ragazzo si gira con un'aria vagamente pensierosa, mi fissa per qualche secondo. «Dov'è che devi andare? Non c'è nessuna Command road qui.»
«So che sono lontano da Command road» gli dico di rimando. «Non capisco, però, in quale punto della città mi trovo.»
Lui mi guarda con aria perplessa, attende ancora un attimo. «Ma sei fatto o cosa? Siamo ad Hollywood!»
«E cioè?» gli dico d'un fiato, non so assolutamente dove sia questa Hollywood.
«Vai a farti una bella dormita, ne hai bisogno! Sono le cinque del mattino e non hai affatto una bella cera» mi risponde lui, vistosamente infastidito dal fatto che io non abbia capito quello che mi sta dicendo e poi accelera il passo approfittando del semaforo finalmente verde.
Hollywood, Hollywood... questo nome ancora non mi dice niente e inizio a pensare che il ragazzo che ho fermato mi abbia preso in giro.
Percorro un altro paio di isolati, ma ancora una volta nessuna insegna mi è familiare e nessuna architettura o segno urbanistico mi dà un indizio sul posto in cui mi trovo. Mi toccherà prendere un taxi. Mi avvicino al bordo della strada per fermarne uno. Salgo finalmente in auto.
«Salve» dico al conducente. «Mi porti a Command road per favore.»
«Come, scusa? Dove devi andare esattamente?»
«Command road, la strada con la statua di Eric Burdock.»
«La statua di chi? Chi è Eric Burdock?» mi chiede lui.
«Eric Burdock, il presidente che ha istituito la quinta stagione su Sydris» gli dico, meravigliato del fatto che non lo conosca.
«Senti, non so che cavolo ti stai inventando ma se sei qui per prendermi in giro allora voglio che tu scenda immediatamente dal mio taxi. Sono le cinque e quindici del mattino e io fra un po' finisco il turno, voglio andarmene a casa a dormire per le prossime dodici ore» mi urla contro con aria infastidita.
Qualcosa non mi torna. Non conosco questo quartiere, nessun palazzo o negozio mi è familiare, le persone non conoscono Command road e il ragazzo di prima mi ha nominato un posto chiamato Hollywood. Sto iniziando a pensare di essere finito fuori da Neestown.
«Sbaglio o sei ancora nel mio taxi?» la voce del tassista interrompe i miei pensieri e automaticamente scendo dall'auto realizzando che neanche lui può aiutarmi a capire cosa succede.
Riprendo a camminare, oltrepasso a passo spedito altri due isolati. Di nuovo, non riesco a trovare nessun indizio che mi sia vagamente familiare. All'improvviso mi fermo davanti ad una Bakery, l'insegna dice "Da Jane e Jem, per assaggiare i cupcake più favolosi di tutta Los Angeles."
Los Angeles? Non ho idea di dove sia questa città. Non è una città vicina a Neestown e in realtà non è neanche una città appartenente allo stato di Doltun. Ma allora dove mi trovo?
Sento il clacson di un'auto suonare, d'istinto ho indietreggiato finendo sulla carreggiata. Mi faccio da parte, alzando una mano per scusarmi con il conducente e mi giro al passaggio dell'automobile per leggerne la targa: CALIFORNIA.
La California è uno stato inesistente, nell'intero mondo non esiste un posto chiamato così. Sono confuso e sto iniziando a pensare che tutto questo non sia vero e che si tratti di un incubo, ma è tutto troppo reale... non credo affatto che si tratti di un sogno.
Mi aggrappo alla maniglia della bakery, la spingo in avanti per entrare a fare una pausa e riordinare le idee e vengo invaso da un insolito profumo misto di vaniglia e cannella.

MEGAN

Ridicolo. Ridicolo davvero. A quest'ora è assurdo anche solo pensare di camminare per strada, per di più da sola. Ridicolo è il fatto che a ventiquattro anni non ho ancora racimolato i soldi per comprare un'auto. Io stessa appaio di sicuro ridicola e non perché sono sveglia a vagare per le strade di Hollywood ad un'ora davvero indecente del mattino, ma perché lo faccio vestita da fragola. Per la verità, guardandomi, a nessuno verrebbe in mente una fragola, né un qualsiasi altro tipo di frutto. Sembro più un gigante marshmallow andato a male. Perché lo faccio? Per guadagnare una cifra ridicola distribuendo bibite analcoliche di notte nei locali più "in" della zona. Dovevo essere impazzita quando ho deciso di accettare. D'altra parte l'annuncio diceva: "Cercasi ragazza sveglia con qualifica nel settore pubblicitario" e non "Cercasi ragazza disperata e al verde, disposta a essere umiliata per pochi cents."
Mi serve un caffè. E una doccia. E un letto.
Un po' di soldi e, perché no, un lavoro che non preveda travestimenti ridicoli, né bambini urlanti, cani incontinenti o ore e ore a lavare piatti unti in spazi angusti e di dubbia pulizia. Chiedo troppo?
Sono persa nei miei pensieri, quando mi blocco sentendo un tassista urlare con il suo passeggero. Quale possa essere il motivo è l'ultima delle mie preoccupazioni. Capisco solo che a breve quel taxi sarà mio. Non mi importa quanto pagherò, devo tornare a casa e non lo farò di certo a piedi. Mi avvicino giusto in tempo. Un ragazzo scende sbattendo con noncuranza lo sportello, conseguenza naturale del battibecco tra i due. Faccio per aprire la portiera dall'altro lato e quasi perdo l'equilibrio quando il tassista riparte in tutta fretta producendo tra l'altro uno sgradevole stridio di pneumatici sull'asfalto.
Magnifico. Sono ancora sola e a piedi.
Però un lato positivo c'è: non sono lontana dalla bakery di Jane e Jem, quindi almeno posso fare una degna colazione.
Camminando non posso fare a meno di sorridere, sto pensando a quante volte Scarlett mi ha preso in giro in passato per questo mio voler a tutti i costi trovare il buono in ogni situazione, anche quando è evidente che di positivo c'è ben poco. Ed ha ragione lei. Non che ci sia da meravigliarsi, Scarlett ha sempre ragione... e la cosa non mi disturba affatto. Del resto quanto è vero quello che dice! Lo faccio anche con le persone. Quando conosco qualcuno per la prima volta, penso subito a quanto carino sia, dando per scontato che tutti siano spinti dal desiderio di socializzare e basta. Perché mai dietro un semplice "ciao" debba nascondersi un "voglio portarti a letto" non l'ho mai capito, nonostante le numerose volte in cui Scarlett mi ha ribadito che "ci sono ciao e ciao." Mah...
Inoltre non riesco a fossilizzarmi su ciò che uno fa di mestiere o su quanto ricca possa essere la sua famiglia, né credo che poche parole bastino per capire tutto della persona che hai di fronte.
Per esempio, analizziamo me in questo momento. Megan Mitchell. Sono vestita da fragola, ho i capelli un po' flosci a causa dell'umidità e le caviglie gonfie perché ovviamente una fragola non può che indossare tacchi da dodici. Chi penserebbe che mi sono laureata in Giornalismo alla Berkeley, con il massimo dei voti e come prima del corso? A volte stento a crederlo anch'io...
Di certo le mie prospettive sono brillanti, peccato che con le prospettive non si riesca a pagare l'affitto, né a zittire i miei genitori e i loro continui rimproveri taciti. Sì, perché in realtà nessuno dei due ha mai fatto commenti sulla mia situazione, ma il fatto che continuino a chiamarla "situazione" penso che la dica lunga sull'opinione che hanno di me. Inconcludente... così credo di apparire agli occhi di mio padre. Certo è difficile paragonarsi ad un uomo che anche nei giorni di festa indossa giacca e cravatta nel caso in cui dovessero nascere imprevisti in ufficio che richiedano la sua presenza. Perché siamo seri... la F.&Y. Enterprise se la caverebbe grandiosamente anche senza mio padre. Almeno credo.
Ma comunque basta pensare ai miei genitori. Ho una missione da compiere e invece sto divagando. Cupcake, cupcake! Sembra urlare il mio stomaco mentre un brontolio più simile al rombo di una moto rompe il silenzio di una città anormalmente tranquilla.
Persa nei miei pensieri neanche mi ero resa conto di essere già arrivata alla bakery. Prendo il telefono dalla borsa per guardare l'ora e mi accorgo che ho una chiamata persa. Questo è proprio tipico di me. Sblocco la tastiera per saperne di più, ma ovviamente il telefono si spegne. Batteria scarica. La cosa non mi meraviglia affatto. Capita no che il telefono si scarichi se uno si dimentica sistematicamente di caricarlo? Appunto.
Rifletto un attimo. A telefono prima doveva essere Scarlett. La sua uscita di scena stasera è stata troppo rapida e di certo voleva mettermi al corrente di quanto favoloso sia stato rientrare a casa con... come cavolo si chiamava quel ragazzo? Sarà pure un attore famoso, ma non ricordo assolutamente il suo nome. E del resto non puoi fare un passo con la mia cuginetta senza che incontri la celebrità di turno che le offra da bere, la cena o un passaggio a casa.
Vabbè, al diavolo tutto e tutti. Oltre quel muro ci sono i più favolosi cupcake che si possano immaginare, sorrido al familiare trillo del campanello che striscia vicino alla porta e vengo invasa dal solito profumo misto di vaniglia e cannella.

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