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Erica aprì lentamente gli occhi, sentendo una strana pesantezza nella testa. Si guardò intorno, confusa, cercando di capire dove si trovasse. La stanza era completamente bianca, con solo un armadio e una finestra. Niente nella stanza sembrava familiare. "La mia camera è arancione..." pensò, cercando di mettere a fuoco la situazione. Provò a mettersi a sedere, ma un dolore acuto alla testa e la tensione dei fili collegati al suo corpo la costrinsero a restare distesa. Fu allora che si rese conto di essere in un ospedale.

"M-ma che...? P-perché sono qui...?" sussurrò, cercando di mettere insieme i pezzi confusi nella sua mente. Si guardò intorno, e i suoi occhi si posarono su una figura familiare. Jimin era seduto accanto al suo letto, appoggiato sul bordo del materasso, profondamente addormentato. Le occhiaie scure sotto i suoi occhi rivelavano quanto fosse stato sveglio per vegliarla. Erica sentì un'ondata di affetto e colpa, sapendo quanto doveva aver sofferto il suo fratellone per lei.

Improvvisamente, la porta della stanza si aprì, e un uomo in camice bianco entrò. Erica capì subito che doveva essere il medico.

"Oh, signorina Erica, si è finalmente svegliata, per fortuna" disse avvicinandosi con un sorriso gentile. Iniziò a controllare la flebo e gli altri apparecchi a cui era collegata. "Come si sente?"

"N-non lo so... mi fa male la testa... perché sono qui...? N-non posso stare qui!!" disse Erica, la sua voce tremante mentre ricordava i tormenti subiti da Gabriel. L'ansia iniziò a prendere il sopravvento, e il panico si rifletteva nei suoi occhi.

"Stia tranquilla, non si preoccupi. Qui è al sicuro" le disse il medico con tono rassicurante. "Per fortuna i suoi amici l'hanno portata qui in tempo" Le sorrise, cercando di calmarla.

"I miei amici...?" chiese Erica, ancora confusa, cercando di capire a chi si riferisse.

"Sì, esatto. Uno di loro ha quasi aggredito una nostra infermiera se non ti prendevamo in carico subito" sospirò il dottore, con un'espressione che cercava di essere seria, ma che lasciava intravedere un leggero sorriso.

"E dove sono questi ragazzi?" chiese Erica, preoccupata di non ricordare nulla.

"Credo siano tornati a casa. Solo lui è voluto rimanere con te tutto il tempo" rispose il medico, indicando Jimin con un gesto della mano.

Erica guardò suo fratello e, con un gesto istintivo, iniziò ad accarezzargli i capelli dolcemente. Le dita scorrevano tra i capelli biondi, tentando di trasmettere un po' di conforto anche se era lei quella che ne aveva più bisogno. "Da quanto tempo sono qui?" chiese, cercando di dare un senso a tutto quello che stava succedendo.

Il medico guardò la tabella appesa al letto e rispose con un tono calmo ma serio. "Con domani sarà un mese"

"Che cosa?!" esclamò Erica, sconvolta dall'informazione. Non riusciva a credere di essere stata in ospedale per così tanto tempo.

"Sì, eri gravemente ferita ed eri entrata in una specie di coma..." rispose il medico, cercando di spiegarle la gravità della situazione. "Ah, e mentre ti visitavo, ho notato che hai un tatuaggio... uno simile al mio" La sua espressione cambiò, diventando più curiosa e attenta.

"I-in che senso...?" chiese Erica, non capendo a cosa si riferisse.

"Nel senso che avevo anche io quel tipo di tatuaggio. Ti posso solo dire che quando ti brucia o diventa rosso, è normale. Vuol dire che l'altra persona che ha il tuo stesso tatuaggio è nelle vicinanze. Da dottore mi sembrava giusto informarti anche di questo" Il dottore le lanciò uno sguardo enigmatico. "Ora vado. Tornerò più tardi con degli esami da farti" Con un ultimo sguardo di rassicurazione, il medico uscì dalla stanza, lasciando Erica sola con i suoi pensieri confusi.

Decise di non pensarci troppo. Quel momento era già abbastanza surreale. Si rilassò, continuando a coccolare il fratello, trovando conforto nel toccarlo e sentendo il suo calore vicino.

Jimin POV

Fui risvegliato da una sensazione delicata, come un leggero solletico tra i capelli. All'inizio, detestai quella sensazione. Non mi piaceva quando qualcuno mi toccava i capelli, ma questo tocco era diverso. Era debole, ma dolce, come una carezza piena di affetto. Aprii lentamente gli occhi e guardai verso chi mi stesse toccando. Quello che vidi mi fece mancare il respiro: Erica era sveglia, con un sorriso debole sul volto, ma era sveglia. Non riuscii a trattenere le lacrime. La commozione mi travolse, e senza pensarci mi gettai su di lei per abbracciarla.

"Eri... ero così preoccupato..." dissi fra le lacrime. Non mi piaceva mostrarmi debole, ma lei era l'unica persona al mondo con cui potevo permettermi di essere così vulnerabile.

"Mi dispiace, Chimmy..." sussurrò Erica, abbassando lo sguardo, come se fosse colpevole di tutto quello che era successo.

"Non preoccuparti..." le dissi, alzandole il viso con le mani. "È tutto passato... Per me l'importante è che tu stia bene..." Le sorrisi dolcemente, asciugandole le lacrime con i pollici. La sua fragilità mi spezzava il cuore. "Perché non me lo hai detto? Avremmo potuto aiutarti prima..."

"Non volevo essere un peso..." rispose debolmente con la sua voce era piena di colpa.

"Non mi piace quando mi nascondi le cose... lo sai che non va bene che ti chiudi a riccio... non farlo più, va bene?" La mia voce era dolce ma ferma, desideravo solo che capisse quanto era importante per me.

"Va bene," rispose lei, prima di abbracciarmi. Il suo abbraccio era debole, ma ricco di affetto. Potevo sentire quanto l'ero mancato, proprio come lei era mancata a me.

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