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<<NO! NO! Ti prego no! Non farlo!>> urlai a squarciagola mentre venivo catapultato dall'altra parte della stanza come se fossi un oggetto da quelle mani forti che si ostinavano a picchiare l'unica persona per cui io abbia mai provato qualcosa.

Mi svegliai di botto respirando affannosamente cercando di mettere a fuoco la luce foca di quella lampada giallastra che illuminava tutta la stanza.
Mi guardai intorno senza muovermi, lasciando a mia disposizione una visuale di 180° attorno ai miei occhi.
Pensare qui dentro mi ha sempre mandato in fumo il cervello.
L'unica cosa di cui sono certo è che io sono qui da ormai quasi due anni, anche se non tengo il conto delle giornate da troppo tempo.
Sentii il pavimento cigolare, e mi pietrificai sull'istante, socchiudendo gli occhi facendoli sembrare chiusi.

<<Un'altro incubo...se solo potessi parlargli...>> sussurrò questa voce che reputavo calma e dolce. Tutte le mattine viene a pulire questa stanza e si assicura che non ci sia nulla di rotto. Ogni tanto vengo medicato da questa persona che penso sia un ragazzo.
Prima che il sole sorga, sblocca le finestre per far circolare aria all'interno di questa stanza di quattro metri quadrati e fa entrare la piacevole luce del sole.
Non faccio una passeggiata da così tanto tempo ormai... mi manca così tanto camminare fuori, all'aperto, anche a piedi nudi, basta essere a contatto con la vegetazione e non chiuso qui dentro.

Mi fa male ricordare quello che ero una volta, un ragazzo, figlio di un uomo ricco con fin troppi nemici che mi lasciava fare una bella vita. O almeno fino all'incidente dovuto il giorno del mio ventesimo compleanno.
Essendo nato quell'esatto giorno del mese aspettai quel giorno con desiderio, come se i vent'anni che stavo per compiere diventassero i nuovi 10.
Avrebbe dovuto essere un giorno speciale... e così fu... solo che quando scattarono le 20.00 sul display del suo iPhone SE bianco...

<<Non piangere>> sussurrò quella voce dolce molto distante da me <<sai cosa succede>> ormai quelle erano le mie giornate...svegliarmi, ricordare, lui... piangere, silenzio, dormire e ricominciare.
Mangiavo una volta ogni tanto, quando mi veniva offerto del cibo, molte volte lo ignoravo...altre il mio corpo ne supplicava facendomi cadere in tentazione di questo mio insano appetito.

Una volta arrivato qui iniziai a non volermi più alzare, finendo anche per dormire nelle mie feci alcune volte.
I primi giorni furono silenziosi, e i miei tentativi di parlare con qualcuno erano sempre azzerati, non volevo parlare, e penso di non farlo da quel dannato giorno.
Dopo una settimana arrivò all'interno una persona, incappucciata che calciò via il secchio vuoto accanto al letto levandomi le coperte di dosso notando lo schifo in cui stavo dormendo.
Mi odiai per quello che successe dopo.
Arrivarono degli uomini robusti con il voto coperto a prendermi e mi portarono in una stanza oscurata completamente dove venni legato ad una parete e pestato a sangue da una mazza ricoperta di chiodi.
Ricevetti sette colpi.
Il primo...fu il più forte di tutti ma io non riuscivo a sentire il dolore.
Persi tanto sangue...e quella voce buona mi medicò tutte quelle ferite mentre dormivo...lo scoprii prima di addormentarmi... quel giorno non avevo proprio sonno.
Passò un mese da quella volta, dove imparai a sedermi e alzarmi solo per usare il secchio o ingerire qualcosa.
Dopo due mesi ebbi una reazione allergica ad un piatto che mi fu portato e venni portato in ospedale.
Una donna si finse mia madre, il suo nome? Choi Jisu. Era preoccupata per la mia salute al punto da mettersi a piangere con i dottori.
Solo che quando entrarono per visitarmi la prima volta notarono che fossi ancora robusto, cosa che purtroppo oggi non ero più.
"Paziente?" chiese un medico con la mascherina all'altro "Choi Beomgyu, ha avuto una reazione allergica ad un cibo che ha mangiato" scoprirono così che io fossi intollerante ad una sostanza che si trovasse all'interno dei legumi.
Una volta che mi lasciarono da solo con "mia madre" lei mi disse le uniche parole che potesse dirmi in quel momento.
"Fingi, o finisce male per tutti e due... non so se tu lo voglia o meno, ma almeno fallo per me, sono già andata oltre alle parole che potevo dirti" infatti quello non era il mio nome, ma comunque le avrei creduto lo stesso anche senza formare una frase.
Restai lì pochi giorni e consigliarono degli antidolorifici.
Lei mi portò poi in una macchina completamente nera dove un uomo mi mise un sacco sulla testa e venni riportato in questa stanza.
Lei dopo il ritorno venne ogni giorno a forzarmi per mangiare qualcosa, era l'unico volto che avevo associato ad una voce... ma io non capii chi ci fosse dietro a questa grande pagliacciata.
Perché vengo trattato male e poi curato?
Perché non ammazzano anche me?

<<Bene, vai>> esordì quella voce che reputavo terrorizzante. Penso che avesse cacciato il ragazzo dalla voce gentile che aveva appena chiuso le finestre sbarrandole.
<<Tra poco avrai compagnia>> prese una sedia e si sedette accanto al letto con le gambe divaricate. <<Ti servirà un bagno, tirati su>> quando quest'uomo parlava era inquietante, aveva dei guanti di pelle che gli avvolgevano le mani, lo stesso materiale gli fasciava le gambe e anche il dolcevita.
Non faceva tralasciare un solo millimetro di pelle, rendendolo ancora più spaventoso.
Mi tirai su contro voglia...anche se ormai la procedura era quella.
Ascoltare i suoi ordini, seguirlo fino alla porta davanti alla mia guardando il suolo e entrare in quel bagno completamente nero. Lui si sedette davanti a me controllandomi.
Una volta provai ad impiccarmi con il doccino, mentre un'altra volta tentai di affogare nella vasca.
Lui aveva sicuramente le sue ragioni per guardarmi visto che era colui che veniva chiamato "boss".
Una volta la mia finta madre lo chiamò così...e poi stranamente non la rividi più.

Entrai nella vasca di acqua gelida e potevo sentire il suo sguardo addosso. Conosce tutto il mio corpo per via di questo protocollo...e penso che lui per primo abbia visto il modo drastico in cui io stessi dimagrendo. Dopo quasi tre mesi di digiuno e 8 docce iniziarono ad arrivarmi razioni di cibo mano a mano più abbondanti facendomi recuperare massa anche con una pistola puntata alla tempia. Perché sì. Lui veniva anche quando era ora di mangiare, e se non lo facevo mi puntava una pistola alla testa caricandola se non iniziavo a mangiare.
Purtroppo si aggrappava al mio istinto di sopravvivenza spaventandomi e facendomi odiare anche l'avere appetito.
Recuperata la massa tornai a fare i digiuni iniziali, anche se una volta alla settimana... circa... tornava per farmi mangiare allo stesso modo.

Si alzò dalla sua sedia venendo a cospargere la mia schiena e la mia testa con un prodotto altrettanto freddo... un sapone che sarebbe dovuto essere sufficiente per tutto il mio corpo.
Mi alzai dalla vasca insaponandomi restando con il busto laterale a lui.
Non me n'è mai importato niente.
Avevo passato sicuramente i 20 anni e della mia dignità non me ne importava proprio nulla.
Tornai ad abbassarmi per ripulirmi con l'acqua che avevo a disposizione e uscì fradicio d'acqua congelata.
Mi lanciò un asciugamano che sarebbe dovuto bastare per tutto il mio corpo.
Come da protocollo buttai a terra il panno che aveva assorbito l'acqua sul mio corpo e lui si diresse verso l'angolo opposto alla vasca mettendomi una camicia nera a maniche lunghe e dei leggins grigi... purtroppo per come era conciato il mio intimo dopo qualche settimana non lo ricevetti più stando solo con un massimo di due copricapi.

<<Siediti sul letto, lui è già lì>> alzai leggermente il capo venne un'altro uomo molto più robusto a bendarmi levandomi tutti quanti i sensi.
Venni rapidamente portato nella mia stanza e sentii la porta dietro di me chiudersi a chiave.
Questa è la prima volta che potrei avere un contatto con qualcuno dopo davvero tanto tempo...
Mi levai la benda e trovai un ragazzo che si guardava intorno con una espressione confusa, decisi di eseguire gli ordini e mi andai a sedere dal lato del letto con il secchio.
Lui si girò verso di me sobbalzando per poi fare un sorriso imbarazzato.

<<Scusami... pensavo di essere solo>> la sua voce era di un tono che avevo già sentito, in qualche documentario europeo... solo che il suo aspetto era asiatico, molto particolare.
<<Però se mi guardi così mi fai paura>> abbassai lo sguardo verso le mie gambe a quella sua frase.
Non sapevo più come atteggiarmi a qualcuno ormai... probabilmente non sapevo neanche più come si parlasse ad un'altra persona.
<<Sei di poche parole?>> non lo guardai minimamente e sentii il posto accanto a me venire occupato... le lenzuola come ogni volta erano state cambiate.
<<Da quanto tempo sei qui?>> a quella domanda feci subito le spallucce non sapendo come rispondere e non volendo pensare a nulla.
Qualsiasi cosa che avrei pensato avrebbe portato a dei ricordi orribili e spiacevoli.
<<Quindi divideremo la stanza per tanto tempo?>> appoggiai la mia schiena allo schienale del letto implorando il me stesso interiore che smettesse di fare domande alla quale non volevo e non sapevo rispondere.
<<Comunque io sono Felix... ma sembri coreano quindi se ti va puoi chiamarmi Yongbok, anche se preferisco Felix>> lo guardai e notai che i suoi occhi stessero cercando i miei con fare goffo.
<<Ti ho detto il mio nome... potresti dirmi il tuo?>> chiese facendo uno sguardo dolce ma allo stesso tempo curioso <<ti prometto che poi starò zitto>> finì abbassando lo sguardo verso le sue gambe incrociate.
Lui indossava i miei stessi vestiti solo dai colori invertiti e aveva dei capelli neri corti con dei ciuffetti ribelli che ricadevano sulla sua fronte.

Io feci un respiro non volendone più sapere di lui o di qualunque tortura mi sarebbe stata fatta per avergli risposto.

<<Hyunjin>> il mio fu un sussurro che rimbombò per tutta la stanza visto il silenzio assordante che vigeva in quella stanza da sempre.

the feel of HIMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora