Capitolo 1

136 7 2
                                    

Algun dia sin pensarlo
me vas a extrañar despacio
algun dia una mañana
sentiras que te hago falta
y en tu interior vas a sentir amor
1

Gennaio 2017

«Ci stiamo lasciando?» chiede con la voce rotta tentando di nascondere inutilmente la sua voglia di piangere. Annuisco e basta senza riuscire a proferire parola. Troppo dolore. «Ma noi ci amiamo. Io ti amo, e sono convinto che anche tu mi ami. Io lo so. Lo percepisco sulla mia pelle il tuo amore per me.»
«È vero.» singhiozzo. Ha ragione, ci amiamo. «Noi ci amiamo ma l'amore a volte non basta. Non basta cazzo.» delle lacrime sfuggono al mio controllo. «Ti farei solo del male tenendoti con me. La mia famiglia sta affondando e mi sta trascinando con sé. Ti amo troppo per farlo anche io con te.» non ottengo risposta. O forse le lacrime che gli rigano il volto sono una risposta fin troppo chiara del dolore che, inevitabilmente, causo ad entrambi. «L'unica cosa che posso fare è una promessa.» ammetto con la voce rotta.
«Cioè?»
«Se un giorno ci incontreremo di nuovo, e tu non sarai impegnato prometto che se mi vorrai sarò lì a lottare per te.»
«E se sarò impegnato?» mi chiede con la voce roca.
«Se sarai impegnato resterò al tuo fianco in silenzio, se mi vorrai. Altrimenti sparirò e ti osserverò da lontano.»
«Lo sai che ti amo. E ci spero davvero.»
«In cosa? Nel fatto che cambi idea adesso? Non posso, lo sai. E poi non sarebbe nel mio stile, mi conosci.»
«Spero nel fatto che un giorno ci incontreremo ancora, ma sappi che se tornerai non ti permetterò di andartene ancora.» un brivido mi percorre il corpo da cima a fondo al suono delle sue parole.
«Lo so. Spero che un giorno a prescindere da come finirà tu possa perdonarmi.»
«Lo spero anche io.» la radio fa risuonare la canzone di La Young – Como estrellas – e Ignazio mi rivolge un sorriso carico di tristezza.
«Sé feliz y vuela libre que yo también lo haré
Yo sé que algún día nos volveremos a ver
Y yo quiero que sepas que mientras yo viva, yo voy a llevarte ahí en mi corazón
Que no sabe' na' que a eso le falta vida, no van a entender lo de nosotros dos
Que estamos arriba, que esto es otra liga, digan lo que digan somo' lo mejor
Tu y yo brillamos en el cielo como estrellas, corazon.2» mormora con la voce sul punto di rompersi. Perdonami amore mio.
«Ti amo. Ciao.» chiudo gli occhi, mi volto ed esco da quella casa che è testimone del nostre amore.
«Anche io.» sento un sussurro alle mie spalle e con tutta la forza che non credevo di avere continuo per la mia strada anche se la voglia e l'istinto sono quelli di tornare indietro, chiudermi in casa con lui e lasciare tutto il mondo fuori. Solo che non posso farlo, ho chi conta su di me. Solo su di me.
Come si può scegliere tra famiglia e cuore? Non sono la stessa cosa? Di certo dovrebbero esserlo! Come è possibile sentirsi vittima e carnefice allo stesso tempo? Eppure è proprio così che mi sento. Vittima del mio dolore e della mia vita andata in fumo e carnefice del tuo dolore e della tua vita andata in fumo. Spero un giorno tu possa perdonarmi davvero.

Maggio 2017

«Se non sei in grado di farti una famiglia perché sei una stronza, non rubarti i miei figli!» urla Valeria arrabbiata.
«Valeria io non voglio rubarti nessuno.» sospiro. Non ne posso più di questa situazione. Sono stanca, e mi sento sola.
«Si. Tu vuoi quello che ho io. L'hai sempre voluto!» mi accusa con le pupille dilatate e gli occhi iniettati di sangue.
«Io sto cercando di salvare i tuoi figli, di non farli crescere nello schifo in cui siamo cresciute io e te. E di certo la colpa non è la mia se il giudice te li ha tolti.» vorrei non farlo ma al momento non posso farne a meno, nonostante mi uccida questo sentimento, la sto odiando. Per quei bambini che non hanno fatto niente di male, per aver rovinato la loro vita e la sua.
«È colpa tua! È solo colpa tua!» urla tremante.
«Smettila Valeria! Sei così piena di cocaina che non ti reggi nemmeno in piedi.»
«Sono i miei figli!»
«Vai in comunità, disintossicati e io sarò la prima a parlare con il giudice affinché mi revochi l'affidamento.» ed io ci credo davvero in quello che dico. «Riprendi in mano la tua vita e ti prometto che riavrai i bambini.» le prendo una mano. «Ti starò vicina Valeria.» sospiro pesantemente. «Ma non ti permetterò di rovinargli la vita.»
«Devo allattare mia figlia!»
«Se ti droghi e allatti la bimba, la rovini. Le passi cocaina attraverso il latte.»
«Non è vero. Il mio latte le fa bene. Se non chiamavi i servizi sociali a quest'ora potevo starmene con i miei figli.» urla furiosa.
«Non li ho chiamati io...» le confesso, non da sola per lo meno.
«Bugiarda. Sei solo una fottuta bugiarda.» trema e si appoggia al tavolino.
«Sono state le maestre di scuola di Mattia e Lucrezia... sono stata malata due giorni e li hai mandati a scuola con i vestiti sporchi, senza i compiti fatti e senza aver mangiato.»
«E per una volta che non vanno a scuola perfetti chiamano gli assistenti sociali?!» continua ad urlare.
«Lo sai che non è una volta! Così come sai che i servizi sociali sapevano già la situazione e ti monitoravano.» alzo la voce anche io. Sono stanca, ho mandato a puttane l'unica cosa bella che avevo nella vita e sentirmi accusare di volerle portare via i figli rompe quel rimane della mia anima. Ho sempre adorato mia sorella, e continuo tutt'ora a farlo. Cerco di ritrovare la ragazzina che sta dietro a questa donna che si sta distruggendo la vita con la cocaina. Cerco quella ragazzina dolce che mi abbracciava durante la notte quando mia madre era impegnata a girare i parchi della nostra città per trovare qualche dose di eroina. Ci provo, ma non ci riesco. Al momento la rabbia e il rancore superano la voglia di perdonarla. La rabbia per vederla condannare i suoi figli a ciò che i nostri genitori hanno condannato noi due.
«Vattene da casa mia.» si siede, stremata.
«Prendo le cose dei bambini e me ne vado.» mi dirigo a passo svelto nella camera dei piccoli, prendo i giocattoli a cui sono più legati, qualche pupazzetto, i documenti e torno di là. «Io c'ho provato Vale, c'ho provato con tutta me stessa. Ho mandato a puttane la mia vita per voi, adesso è il momento di aiutare solo chi vuole essere aiutato, e soprattutto aiutare chi queste scelte non le ha compiute ma le sta subendo.» e nonostante stia soffrendo a dire queste parole, decido di darci un taglio.
«Io non ho bisogno di te.»
«Lo so Valeria, sono io che ho bisogno di te, ma tu come al solito non ci sei.» prendo un respiro profondo, non voglio dire qualcosa di cui poi mi pentirò. «Quando vorrai rimettere a posto la tua vita chiamami, io sarò lì.» esco da quella casa senza guardarmi indietro, se lo facessi non riuscirei ad andarmene. Mi affretto a raggiungere la mia auto, la apro, getto sui sedili posteriori la mia borsa e il borsone con le cose dei bimbi e mi siedo dietro al volante. Sospiro profondamente, poso la fronte sul sedile e mi lascio andare. Mi permetto di crollare, piango, di dolore e di rabbia, per dover vedere mia sorella, un pezzo del mio cuore distruggersi. Piango mio padre che non c'è mai stato veramente, una madre che ha saputo solo lasciarci da sole, piango per aver distrutto la mia storia con lui. Mi manca così tanto. Cazzo.
Rimango per non so quante ore ferma, con il corpo e con la mente, senza saper cosa fare adesso che mi ritrovo tre bambini da crescere.
«Pensa Asia, pensa.» provo ad incoraggiarmi da sola. Cosa posso fare? Sono laureata da una manciata di mesi, non ho un lavoro ed ho ottenuto l'affidamento dei miei nipoti grazie ai soldi della mia famiglia, soldi che non voglio toccare.
«Zia, puoi tenerli per un altro paio d'ore?» chiedo all'unica persona che mi rimane al mondo.
«Certo Asia.» rimane qualche attimo in silenzio. «Stai bene?»
«
No, ma starò bene.»
«Asia! Lo sai che io...»
«Lo so che tu ci sei, ma voglio farcela da sola.»
«Va bene tesoro. Fai quello che devi, ci vediamo dopo.» chiudo la telefonata e mi dirigo verso l'università.


«Signorina Gallo!» il professor Pierini mi richiama con un sorriso compiaciuto. «L'aspettano a Buenos Aires.»
«Dice davvero?» sgrano gli occhi incredula.
«Venga nel mio ufficio che le spiego tutto.» lo seguo e mi siedo alla sua scrivania. «L'esserti laureata con la lode in lingue ed aver ottenuto il master in psicologia manageriale con quasi un anno di anticipo ti hanno aiutato ad ottenere un posto per Telefe.» sgrano gli occhi. «Conosci Telefe?»
«Certo! Ho sempre amato le serie argentine. Telefe è una delle più grandi emittenti, se non la più grande.»
«Esatto. Mi stanno inviando per email il contratto, così puoi presentarlo al tribunale.» annuisco grata.
«Dovrò trovarmi casa a Buenos Aires quindi.»
«Ci pensano loro ad offrirti l'alloggio vicino alla sede, ad una cifra irrisoria. Il lavoro è ben retribuito e molto ambito.»
«La ringrazio professore.»
«Altrimenti c'è sempre il posto come mia assistente.» mi fa un sorriso speranzoso.
«Professore in un altro contesto accetterei volentieri ma ho bisogno di allontanarmi da qua.»
«Asia... sai chi è mia moglie?»
«Certo professore.» non capisco dove vuole andare a parare. «Ho seguito vari corsi tenuti da sua moglie per il master.»
«Quindi saprai anche che è una psichiatra.»
«Certo...»
«Questo è il centro che gestisce. Mi basta una telefonata e troviamo un posto.» fa scorrere un bigliettino da visita fin sotto i miei occhi. 'Centro di disintossicazione dalle dipendenze'.
«Io...» non so veramente cosa dire.
«Asia non voglio niente in cambio, mi interessa solo aiutare una ragazza che si è sempre impegnata. Hai sempre ottenuto il massimo dei voti e ti sei mantenuta lontana da uno schifo in cui saresti potuta cadere con estrema facilità. Io ho una visione particolare dei docenti.» si prende qualche attimo e sorride. «Un insegnante che si rispetti non deve fare di tutto per distruggere il proprio allievo per il puro gusto di primeggiare su di lui. Un bravo insegnante fa di tutto affinché il proprio allievo migliori. Io so di aver fatto il mio lavoro quando vi rendo uomini e donne competenti nei vostri lavori ma soprattutto nella vita.»
«Professore, mia sorella non vuole nemmeno provare a disintossicarsi.» ammetto a fatica.
«Purtroppo la legge non ci da modo di agire su chi rifiuta la disintossicazione.»
«Posso riprovare a parlarci, dopo di che non so più cosa potrei fare.»
«Prendi il bigliettino, prova a parlare con tua sorella. Mia moglie aspetta solo una tua chiamata.»
«Grazie di tutto, veramente.»
«Buona fortuna e buona vita. Se avrai bisogno io sono qua.»
«Arrivederci, e grazie.» esco da quell'ufficio con un contratto per un lavoro dall'altra parte del mondo e la speranza che mia sorella voglia finalmente provare a disintossicarsi.
Torno a casa sua e la trovo sdraiata sul divano che dorme. Voglio provarci, per l'ultima volta.
«Valeria!» la chiamo.
«Cosa vuoi ancora?» sibila.
«Voglio che tu vada a disintossicarti.» decido di andare dritta al punto, secondo i miei calcoli dovrebbe essere svanito l'effetto della dose che ha preso prima e di conseguenza dovrebbe essere lucida, devo approfittarne prima che vada in astinenza ed inizi a cercarne un'altra.
«Se ci vado cosa cambia?»
«Cambia tutto.» sospiro. «Mi hanno offerto un lavoro in Argentina, e ho intenzione di partire con i bambini se il giudice me lo permette. Quando starai meglio ci raggiungerai e staremo insieme, io, te ed i tuoi figli.»
«Portali via.» sospira. «Non voglio che finiscano come me.»
«Valeria...» è lucida, e posso intravedere quella che era mia sorella prima di tutto questo schifo. «Vuoi che ti accompagni a vedere un centro di disintossicazione? Sei arrivata al punto che o ti disintossichi o finirai in overdose, ancora.»
«Okay.» sibila mantenendo gli occhi chiusi ed io sento immediatamente il mio cuore alleggerirsi.
Prima che cambi idea chiamo la moglie del mio professore che mi da l'indirizzo ed in una mezz'ora siamo davanti alla porta.
«Spero che un giorno tu possa perdonarmi.»
«Sei e rimarrai per sempre mia sorella.» la abbraccio proprio mentre ci aprono la porta.
«Salve. Sono Asia Gallo, mi sta aspettando la dottoressa Marchigiani.»
«Eccomi Asia.» arriva. «Tu devi essere Valeria.» guarda mia sorella che annuisce svogliata. «Allora Asia noi andiamo nel mio ufficio, tu Valeria vai con Maria a visitare il nostro centro.» mia sorella annuisce e segue, lentamente, questa Maria.
«Asia, vieni.» entriamo nel suo ufficio.
«Scapperà.» è la prima cosa che dico.
«Lo so benissimo che ci proverà, ma non è facile fuggire da qua. Non mi fraintendere, non utilizziamo metodi poco ortodossi, semplicemente abbiamo chiuso le porte e ci sono sempre infermieri a controllare. Non verrà lasciata da sola.»
«Sono io che la sto lasciando sola.» sospiro. «Suo marito mi ha trovato un lavoro presso un'emittente argentina e se il giudice me lo consente parto con i bambini.»
«Lei non potrebbe vederti comunque per i primi tempi, che possono variare da un mese a un anno. Dipende da come risponde lei al programma.»
«Okay...»
«Non è colpa tua.»
«Avrei potuto fare di più.»
«No, hai fatto tutto quello che potevi, forse anche di più. Ti sei presa in carico 3 bambini quando in fondo sei solo una ragazzina. Nessuno ti avrebbe biasimata se tu ti fossi rifiutata.»
«Hanno solo me, non potevo e non volevo rifiutare.»
«Non c'è nessuno qui che possiamo chiamare nell'immediato se succede qualcosa?»
«Mia zia. Mia madre non so che fine abbia fatto e mio padre se ne è andato quando avevo 5 anni.»
«Okay, allora vai in Argentina, a tua sorella ci pensiamo noi.»
Annuisco e basta. «Che costi ha questa comunità?» mi comunica i costi, riempo l'iscrizione che firmiamo sia io che mia sorella e me ne vado da sola, sperando di non farle più male che bene.

Respiro profondo. Concentrazione. Altro respiro profondo.
«Signorina, siamo arrivati a destinazione.» una voce gentile mi distoglie dal mio mantra con il quale cerco di controllare, o affrontare al meglio, il mondo.
«Si grazie.» sospiro, mi alzo e scendo da quell'aereo che mi ha portata dall'altra parte del mondo. Attendo la valigia allo sbarco bagagli e all'uscita mi dirigo verso un uomo con un cartello bianco con il mio nome scritto a lettere cubitali in nero. Ed eccomi qua, a 22 anni, in Argentina, con una sola valigia che contiene il minimo indispensabile, per cercare di rimettere insieme quello che resta della mia vita distrutta.
Raggiungo quell'uomo, mi presento e mi faccio accompagnare alla sua auto. Inizialmente prova a parlare in italiano vantandosi dei nonni siciliani di nascita, ma quando capisce che di italiano sa ben poco si arrende e ritorna allo spagnolo. Mi porta all'appartamento che mi è stato offerto insieme al mio contratto di lavoro. Una casa con il minimo indispensabile ma che per tre persone e mezzo andrà benissimo. Una cucina piuttosto spaziosa, un salotto con un divano, un tavolino da fumo e un mobile con la televisione sopra, una camera matrimoniale e due camerette più piccole che vedrà ospiti le uniche persone che mi sono rimaste al mondo.

1Qualche giorno senza pensarci
lentamente ti mancherò
qualche giorno di mattina
sentira
i che ti manca qualcosa
e dentro di te sentirai amore

2Sii felice e vola libero che lo farò anche io
Io so che un giorno ci rivedremo
Ed io voglio che tu sappia che finché io vivo, io ti porterò lì nel mio cuore
Che non sanno che così mancherà la vita, non capiranno noi due
Che siamo in alto, che questo è di un altro livello, qualunque cosa dicano, noi siamo il meglio
Tu ed io brilliamo nel cielo come stelle, cuore

________________________________________________________________________________

Eccomi con una nuova storia! Spero vi piaccia e fatemi sapere nei commenti il vostro parere e cosa vi aspettate da questa nuova avventura!
Baci.

Como estrellasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora