Prologo

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Considero più coraggioso
chi vince i propri
desideri piuttosto
che i propri nemici,
perché la battaglia più difficile
è quella con se stessi.
-Aristotele

Cosa significa vincere?
Fin da quando ero bambino, ho sempre desiderato farlo, ma non ho mai saputo dare una risposta soddisfacente a una domanda così semplice e spontanea, specialmente per uno come me, abituato alla competizione, alla sfida e alla vittoria.
Si vince spesso ma si perde e saper perdere è molto più importante.
Tutti riescono prima o poi a guadagnarsi una pole, in pochi sanno affrontare e accettare una sconfitta con la stessa tempra.
Ho perso molto, forse più di quello che speravo di ottenere e non solo in fatto di gare.
Il vuoto più grande rimane quando perdi qualcuno a te caro, nel quale vedevi l'arma della tua felicità, il motivo della tua serenità.
Sono passati diversi anni da quei tragici e fatali attimi eppure sembrano così vicini, come se il tempo non fosse più passato nella stessa maniera, ti distrai chiudi gli occhi e senti ancora le urla, il male che ti avvolge e ti culla spingendoti sempre più nell'abisso, prima di quel momento nulla è stato così rilevante da essere marchiato a caldo nella mia memoria, dopo quell'istante, nulla, o quasi, è riuscito a risollevarmi del tutto.
Sono giunto alla conclusione che la vera vittoria non è quella concreta, quella ottenuta tagliando il traguardo, l'unica che conta realmente è quella conquistata rimanendo ancorato per sempre nel cuore delle persone, essere amati e amare chi ci circonda allo stesso modo, dopo tutte le peripezie, gli ostacoli o i dolori subiti, ritornare a concedersi interamente a qualcuno è la più grande rinascita in cui si possa sperare, un vero atto di eroismo. Amare, per primi, sé stessi e sconfiggere i propri impulsi o desideri, è più difficile di battere qualsiasi nemico, affermava Aristotele. La guerra contro se stessi è subdola, la mente gioca sporco, tradisce e inganna, il nemico impari a comprenderlo, studiandolo, noti le sue debolezze e alla fine lo colpisci nel profondo e lo respingi, ma non puoi farlo se prima non hai abbattuto i tuoi demoni.
Quando ci si abitua a perdere, si dà per scontato di riuscire di nuovo ad ottenere un primo posto, eppure quando arriva, lo percepisci e l'anima si eleva riuscendo finalmente, per un nanosecondo, a placare la nebbia che ti divora e a volare in alto, in uno stato di incosciente ebrezza ed esaltazione, le percezioni spinte oltre ogni limite e la consapevolezza di non poter più vivere senza aver assaporato un po' di quell'adrenalina, pur riconoscendo che, a volte, non sempre ci sarà una seconda possibilità.
E' proprio questo che significa essere un pilota, spingersi sempre oltre i limiti, essere così folli da sperare di correre più veloce del vento, di sfidare ogni giorno il destino e ridere in faccia alla morte, impaziente e vogliosa di ricordarti che l'uomo non è immortale e ogni attimo di pura felicità si pagherà, prima o poi, perché nulla è concesso senza ricevere qualcosa in cambio.
Eppure quando sali in quella vettura speri sempre di sconfiggere la tua unica Nemica, non comprendi di esserci dentro, di gareggiare con lei, ogni curva superata è la dimostrazione di poter danzare un valzer e di poter riuscire a conquistarla, a venerarla, non comprendi di non poter battere qualcosa a cui alla fine, in un modo o in altro, sei destinato. E' la nostra amante più fedele, quella che alla fine non ci abbandona, anzi ci accoglie tra le sue braccia, cullandoci per l'eternità.
Per questo siamo visti come dei veri e propri eroi, discesi direttamente negli inferi e ritornati alla luce per tagliare quel maledetto traguardo.
Ogni giorno da quando l'ho incontrata, per puro caso, il mio inconscio reclama la sua assoluta comprensione, da quando i miei occhi hanno captato i suoi, ho preteso che vedesse il mondo alla mia stessa maniera, che rimanesse in qualche modo legata a me.
Il nostro primo incontro, come accennavo, è avvenuto per caso, non l'ho mai voluto né cercato, eppure sono consapevole di un destino, che esso sia un filo invisibile, modellato e districato dalle Moire, oppure sia scritto in una qualche biblioteca perduta, desiderosa di essere riscoperta, in grado di unirci.
Questo meccanismo ha agito e ha incrociato le nostre strade, impedendoci di vivere liberamente senza pensarsi, cercando disperatamente di sfiorarsi, anche solo per un attimo.
Nonostante ciò, avrei preferito non averla mai incrociata.
Odiavo essere succube di qualcuno o di qualcosa e da anni avevo imparato a separare le emozioni dal mio lavoro, anni di allenamento ed ero diventato impenetrabile alle sciocche e insulse emozioni, ti rendevano debole, io invece volevo, tagliare quel traguardo a tutti costi, vincere il Gran Premio, diventare campione del mondo e dimostrare, a chi non c'era più, di avercela fatta, di non averli delusi e di aver sempre pensato a loro.
L'uomo, però, è destinato a non ottenere mai ciò che realmente desidera, è una semplice pedina mossa per far divertire gli dei, ed è proprio per questo che mi ritrovai a innamorarmi di lei e a sperare di non averlo fatto.
L'avrei avuta a costo di perdere tutto, perché una farfalla battendo le ali genera sempre un uragano, in una parte del mondo.
E io c'ero finito in mezzo...

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