SEDICI

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Era una serata tranquilla. Non c'era traffico, poca gente per strada. Il cielo si era fatto scuro, gli ultimi raggi del sole ammantavano di sfumature rosate e azzurrine i contorni delle case. Le luci che trasparivano dalle finestre, quelle piccole dei lampioni che costeggiavano la strada sembravano tante piccole stelle prigioniere.

Prigioniere.

Io sono prigioniero.

Prigioniero di una vita che non aveva mai voluto, che sempre più stava diventando stretta, soffocante.

Abel scosse la testa, si massaggiò la parte posteriore del collo.

-Ne sei sicuro?- domandò Geert e lui si limitò ad annuire.

Varcò l'ingresso, salì lentamente le due rampe di scale, seguito dalle sue guardie del corpo. -Però voi aspettate qui. Se preferite, potete tornare al covo- disse e infilò la chiave nella serratura.

-Io sto dove stai tu, è questo il patto- disse Musa e incrociò le braccia sotto al seno prosperoso, assumendo un'espressione di sfida.

Abel sorrise teso. -Mi sentirei in colpa a sapervi costretti a stare qui...-

-Non devi- lo interruppe Geert. -È stata una mia scelta-

-Anche tua?- chiese rivolgendosi alla ragazza.

Musa annuì. -Valerio ci ha lasciati liberi di decidere-

Abel scrollò le spalle. -E va bene. Fate come preferite- ed entrò nell'appartamento, lasciando i due sul pianerottolo.

Per un attimo pensò alle eventuali reazioni dei suoi vicini: non era certo che sarebbero stati contenti di sapere di avere un licantropo e una yvrídia a piede libero nel palazzo. Ma era pure vero che in uno degli appartamenti vivevano già un mannaro e un vampiro – anche se loro non lo sapevano.

Sbuffò e tornò a massaggiarsi il collo. Percepiva i muscoli tesi – così tesi, infiammati; tiravano, bruciavano e rendevano dolorosi anche i movimenti più semplici.

-Sei tornato-

Abel sollevò lo sguardo su Florian. Non lo aveva visto arrivare, non lo aveva sentito. Se l'era trovato di colpo davanti, dopo giorni in cui non avevano neanche comunicato per telefono. -E tu hai ripreso a parlarmi, wow- disse senza entusiasmo e si tolse la giacca, abbandonandola sulla spalliera del divano.

-Stai bene?-

Annuì. -E tu?-

-Diciamo che sono stato meglio-

Gli si fece vicino e poggiò una mano sulle sue braccia, incrociate sul petto. -Mi sei mancato-

Florian sorrise triste e avvicinò il viso al suo, sfiorandogli la punta del naso con la propria.

Gli era mancato sul serio. Stringere tra le mani la sua essenza, la solidità del suo corpo, gli rammentò quanto Florian era diventato importante per lui, negli ultimi mesi – una roccia, un punto di riferimento, la sua camomilla preferita.
C'erano già troppe cose confuse e in sospeso nella sua vita, non era proprio accettabile che la sua relazione con Florian entrasse a far parte di queste.

Si sollevò in punta di piedi e gli diede un bacio a fior di labbra. -Sono felice che tu abbia ripreso a parlarmi-

-Non volevo punirti in questo modo. Non volevo proprio punirti. Ma ero arrabbiato, molto. Continui a giocare con la tua vita, a sfidare i tuoi limiti, ad abbattere le tue resistenze. Ti stai distruggendo, te ne rendi conto e non fai nulla per evitarlo. Fai anche fin troppo per impedire a chi ti ama di aiutarti- gli accarezzò una guancia e cercò ancora le sue labbra, ma Florian gli impedì di baciarlo, poggiando due dita contro la sua pelle. -Sono ancora arrabbiato-

ARABESQUE ~ Capitolo 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora