QUATTORDICI

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Il rientro a casa non era stato dei più rosei. Tuttavia, era riuscito nel proprio intento: Valerio avrebbe spedito da lui alcuni dei suoi fedelissimi, dei Super-cazzuti-licantropi-vampiri-immortali pronti a parargli il culo dai tentativi di assassinio che la sua deliziosa famigliola avrebbe potuto mettere in atto – ancora. Perché era assolutamente certo che la sua fuga di un paio di giorni non aveva affatto convinto i suoi a desistere dal tentativo di sbarazzarsi di lui. C'era pure la remota possibilità che non fossero loro a minacciare la sua vita, e che Abel stesse schierando il suo nuovo esercito dalla parte sbagliata, lasciando scoperto il fianco rivolto verso la vera minaccia che incombeva su di lui.

Ma aveva altri casini per la testa, in quei giorni.

Non era passato neanche da casa. Si era trasferito di punto in bianco al covo, maledicendo l'umidità, la puzza di muffa, escogitando un piano per convincere tutti a trasferirsi all'Hilton Holtel, magari, ma, almeno, aveva passato le precedenti notti a dividersi il sonno con Telsa, Else ed Hias – ancora. Ed era riuscito a dormire. Gli era tornata la fame. Non aveva più avuto incubi. Si sentiva in forma. Il caffè era tornato a essere una squisita bevanda – la sua preferita in assoluto – da sorseggiare nei momenti di relax, e non più una speranza da iniettare endovena per restare sveglio.

Eppure, Florian e Reik non gli erano sembrati molto contenti della novità, anzi. Erano rimasti a casa loro, non lo avevano seguito, lo avevano lasciato di nuovo da solo.

Gelosia?
Ritrosia nel confinarsi in un covo di licantropi?
Allergia al pelo di lupo?
Intolleranza alla muffa?

Non gli interessava granché: era rimasto abbastanza ferito dalla loro decisione da aver stabilito, per primo – quella volta – di non rivolgere loro la parola. Anche se Florian non parlava con lui già dal giorno in cui si era dimesso dall'ospedale e Reik... Beh, Reik era appena tornato umano dopo giorni di inferno rinchiuso in una cella di cemento, senza finestre, sotto terra. Forse era per questo motivo che non se l'era sentita di seguirlo?

Abel scosse la testa e i capelli gli sferzarono il viso in modo fastidioso, tentò di allontanarli dalla propria pelle e rivolse uno sguardo furtivo alla propria destra, allungando una mano.

-Di nuovo?- fece Geert con un sospiro infastidito. Abel mosse la mano, senza aggiungere altro e Geert gli passò una merendina, mentre varcavano l'ingresso del commissariato. -Ti verrà la cellulite-

-C'è tempo per quella. Prima devo recuperare il mio normopeso, poi ci penso alla ciccia. Che ne sai! Potrei diventare un delizioso unicorno ciccione!- Geert scosse la testa. -Ricorda che sei tu che hai deciso di immolarti come mia guardia del corpo!-

-Certo, perché avresti preferito avere Else al tuo fianco, vero?- domandò il licantropo con tono piccato.

-Ovvio!- e trangiugò la merendina in un paio di morsi, per poi passargli l'incarto vuoto.

-Sono la tua guardia del corpo, non il tuo cestino dell'immondizia-

La tipa al suo fianco rise. Abel trasalì, aggrottò la fronte, le rivolse un'occhiataccia – così, per diletto – e lei si limitò a scrollare le spalle.

-Quando il nostro afentikó mi ha spedita qui, non immaginavo mi sarei divertita tanto- e si portò una mano davanti la bocca, nascondendo a stento il sorrisino che le aveva incurvato le labbra.

Alta – tutti erano più alti di lui, vero, ma lei superava persino Geert di un paio di centimetri – decisamente formosa e imponente, la pelle scura e un sorriso luminoso a incurvarle le labbra carnose. Musa scosse la testa, mentre la sua espressione si faceva imbarazzata – forse a causa delle continue occhiatacce involontarie che Abel, era consapevole, stava continuando a rivolgerle. Per farlo, gli era necessario tenere il capo inclinato all'indietro e stava già accusando un principio di torcicollo: sperava che i successivi inviati di Valerio fossero altrettanto minacciosi, sì, ma magari meno giganti, così da non ampliare ancora di più, in lui, la spiacevole sensazione di essere diventato una specie di Umpa Lumpa. -Felice di sapere che almeno qualcuno si diverte- ribatté stizzito e tornò ad allungare la carta della merendina in direzione di Geert. Lui sbuffò, ma alla fine la prese e la gettò in un cestino al volo, mentre proseguivano verso l'ufficio di John, senza che a nessuno venisse in mente di fermarli.

ARABESQUE ~ Capitolo 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora