TRENTATRÉ

165 41 7
                                    

Il colpo di scena lo lasciò stordito per qualche istante. Il suo primo istinto fu quello di correre verso suo padre, saltargli al collo, abbracciarlo. Si sentiva sempre piccolo e fragile di fronte a lui, e, immancabilmente, il suo istinto lo conduceva come un bambino tra le braccia del suo papà. Ma subito dopo tornava la ragione – e la voglia irrefrenabile di prenderlo a pugni.

Aggrottò la fronte. -Sei vivo- disse soltanto.

Saul si picchiettò la nuova cicatrice con un dito. -Divertente, no?-

La sua voce era graffiante, bassa e tenebrosa esattamente come la ricordava. Ogni parola che pronunciava assumeva sfumature sinistre, sembrava promettere torture e altrettante cose spiacevoli solo con un sorriso. Il suo sorriso. Lo stesso che gli stava rivolgendo in quel momento, procurandogli brividi spinosi.

Però quella cicatrice era il segno indelebile del suo amore per lui – o, almeno, Abel desiderava vederla come tale. Dopotutto, doveva significare pur qualcosa il fatto che si fosse beccato un proiettile al posto suo.

Sospirò e scosse la testa. Geert si era rialzato e messo in disparte. Che si augurasse di passare inosservato? Era difficile che due metri di uomo ci riuscisse semplicemente nascondendosi in un angolo.

Balthasar smise di lisciarsi la barba con una mano e incrociò le braccia sul petto. Non lo stupiva la sua presenza. Come non lo stupiva quella di Rudi. Aveva intuito da tempo che erano stati i collegamenti di Saul dentro e fuori il Clan a lui.

Suo zio, proprio come lui, non sembrava, tuttavia, molto contento di quella situazione. Le rughe sulla sua fronte si erano fatte più profonde, e i suoi occhi chiari erano pieni di disappunto. -Dovremmo bandirlo- disse con tono lapidario.

E Abel non ebbe alcun bisogno che specificasse a chi si stava riferendo, e non lo stupì nemmeno intuire che dovevano aver udito la loro conversazione – se non tutta, almeno la parte in cui il suo Krieger aveva confessato di averlo tradito.

Si girò istintivamente verso Geert. Lo trovò con la testa china, i capelli a celargli buona parte del volto. Si era allontanato abbastanza da lui da impedirgli di comprendere se stesse ancora, o meno, piangendo. Il suo pianto lo aveva ferito più delle sue parole, gli aveva aperto nel petto l'ennesima cicatrice, l'ennesima colpa. Forse aveva ragione Gesche: con il suo modo scellerato di agire aveva e stava causando problemi insormontabili all'interno del Clan.

-Abbiamo altro a cui pensare, per ora- disse Saul e la sua voce lo calamitò ancora verso di lui.

Il suo sguardo lo lasciò confuso. Non sapeva come interpretarlo. Sembrava arrabbiato, ma anche abbastanza disinteressato a ciò che lo circondava, e possedeva una luce strana, che non riusciva proprio a spiegarsi e che – se non si fosse trattato di lui – avrebbe potuto persino intendere come dolce.

-Tipo Mama che fa la scema?- chiese Rudi con vocina infantile.

Abel rabbrividì ancora. Ormai aveva compreso che quando Rudi assumeva quell'atteggiamento si poteva stare certi che qualcuno avrebbe sofferto, o sarebbe morto di una morte terribile. Era solo il prologo per una brutta storia.

-Se tu madre vuole lasciare il Clan è liberissima di farlo- ribatté Saul e compì un passo verso di lui.

Abel reagì d'istinto e fece un passo indietro. In che senso sua madre voleva lasciare il Clan? Per colpa sua? Com'è che tutti sapevano sempre le cose prima di lui?

Persino i latitanti che sono stati rintanati in culo al mondo hanno più informazioni di me.
Tipo Saul.
Assurdo.

-Potrei cambiare residenza pure io- disse con stizza e incrociò le braccia sul petto. Suo zio aggrottò la fronte e per riflesso sciolse la posa rigida delle proprie braccia. -Magari mi trasferisco nel Regno Arcobaleno degli unicorni-

ARABESQUE ~ Capitolo 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora