VENTOTTO

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Si guardò attorno. Si sentiva vuoto, spento, incapace di captare ogni vibrazione esterna. Pareva che il mondo stesso si fosse spento, che tutto si fosse fatto privo di tatto e senno.

Toccò la superficie del tavolo davanti a sé e non riuscì a rivedersi in quel gesto, a rendersi conto se effettivamente stava toccando il tavolo, oppure se la mano che stava guardando muoversi appartenesse a qualcun altro.

C'era una tazza sul tavolo, ed era piena di caffè. Ne vedeva uscire i fumi, ma non ne sentiva l'odore. La strinse tra le mani e immaginò che dovesse essere calda, eppure non riuscì a percepire neanche il calore della tazza.

Sollevò lo sguardo dinanzi a sé. Balthasar lo fissava, immobile, nella stessa posizione... da quanto? Secondi, minuti, ore?

Suo zio non distoglieva lo sguardo da lui neppure per sbaglio, ogni tanto le sue labbra tremavano, ma dalla bocca pareva non uscire alcun suono. Stava parlando? Oppure si trattava di un qualche strano tic nervoso?

Reclinò il capo da un lato e con la coda dell'occhio captò la presenza di Rudi, seduto alla sua sinistra. Chiuse gli occhi – si era dimenticato di lui lì, accanto a sé.

Sospirò e riaprì gli occhi. Qualcosa gli disturbò una mano e aggrottò la fronte, fissando lo sguardo in quel punto. Un formicolio leggero, fastidioso, teso. Erano le dita di Rudi che si muovevano sulla sua pelle, ma ciò significava che, forse, stava riacquisendo la consapevolezza dei propri sensi – poteva trattarsi di una buona cosa, anche se non ne era propriamente sicuro.

Scrollò il capo. Chiuse ancora gli occhi, li riaprì e riprese a fissare il volto di suo zio.

-Stai tornando tra di noi- disse Balthasar e la sua voce giunse alle orecchie ovattata, distante, distante chilometri, come se provenisse da un altoparlante impostato al minimo volume.

Aggrottò la fronte. Qualcosa non tornava. Si sgranchì il collo, prese la tazza tra le mani e ne bevve un sorso. Sapeva di niente esattamente come la priva volta che ne aveva bevuto, ma la lingua pizzicò appena percependo il calore del liquido, quella volta. Un altro passo avanti, forse. -Uhm- disse e batté più volte le palpebre.

-Hai bisogno di una doccia-

Abel si guardò velocemente il petto e un capogiro improvviso lo costrinse a chiudere ancora gli occhi. Tuttavia era bastato. Quel brevissimo sguardo era bastato per rammentargli di avere gli abiti e le parti scoperte del corpo sporche di sangue rappreso.

Sì, aveva bisogno di una doccia.
Fece per alzarsi, ma le gambe cedettero subito, ricadde pesantemente sulla sedia e lasciò andare la tazza di colpo, che finì per collidere contro la superficie del tavolo con un tonfo sordo.

Trasalì e sgranò gli occhi. La gola si serrò per il panico, i respiri si spezzarono nel petto e il cuore prese a martellare con violenza contro la gabbia toracica. Rudi gli strinse un polso e gli passò un braccio intorno alle spalle. Poggiò la fronte contro la sua. -Sei al sicuro qui- sussurrò in suo orecchio.

Uscì dalla doccia avvolto ancora dai vapori dell'acqua bollente con cui si era lavato – quasi scorticato vivo. La sua pelle era caldissima, arrossata, ma finalmente pulita. Per farlo si era dovuto grattare non solo con la spugna, ma anche con le unghie, fino a graffiarsi la pelle – e ne era valsa la pena: era riuscito a pulirsi.

Si asciugò in modo approssimativo e recuperò i vestiti che qualcuno aveva lasciato per lui sulla tavolozza del water. 

Come ne erano venuti fuori?
Non lo ricordava.

Rudi sedeva sul pavimento sotto il lavabo, intento a mangiare un gelato. Ne leccò lo stecco di legno ripulendolo per bene, e subito prese a picchiettarsi una coscia nuda con il legnetto, emulando una specie di motivetto musicale.

ARABESQUE ~ Capitolo 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora