DUE

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Non si era sbagliato.

Ad accoglierlo era stato proprio Geert. Geert Meier. Acido. Il suo bullo dei tempi dell'adolescenza. Aveva impiegato anni per cercare di cancellare la memoria del proprio passato che riguardava pure lui e, invece, aveva finito per cominciare a vederlo come una persona familiare. Un punto di riferimento nel caos di volti e nomi che era diventato il Clan, durante la sua latitanza durata troppo tempo.

Sospirò ed entrò nella baita. Non sollevò il volto nella sua direzione, limitandosi a salutarlo con il blando cenno di una mano. Lo percepii chiaramente ringhiare, ma decise di ignorarlo.

I ruoli si erano invertiti.

Da qualche settimana, incredibilmente, il cattivo, tra i due, Abel sapeva di essere diventato lui. Dopotutto, il compagno di Geert era morto per colpa sua. Era certo che non esistesse al mondo nessuna attenuante per una cosa del genere. E Geert aveva pagato, per le sue colpe passate, un prezzo troppo alto. Che avesse ripreso ad odiarlo, per Abel era stata la reazione più facile, la più prevedibile.

-Loro non possono entrare- grugnì Geert.

Abel aggrottò la fronte e si irrigidì, fermandosi davanti la soglia del corridoio che si apriva davanti a sé. Per la prima volta da quando aveva messo piede nel covo, quella sera, si girò a guardare l'espressione del suo viso. Impassibile. Rigida. Geert sembrava fatto di marmo. Imponente e massiccio, così come lo erano la maggior parte degli uomini e delle donne che facevano parte del Clan – eccezione fatta per se stesso, i suoi fratelli e sua madre. Geert – tolto il fatto che lo odiava, e che gli avrebbe volentieri staccato la testa a morsi – era un bell'uomo. Vantava lunghi capelli color miele, zigomi ben definiti nel volto mascolino, dalla mandibola decisa. E gli occhi, tanto scuri da sembrare neri. I suoi occhi tradivano tutte le sue emozioni, parlavano per lui. Occhi umani, non da lupo – ma Abel non era certo che, da lì alla fine di quella serata, non lo avrebbe visto imbestialirsi.
Era incazzato. Furioso. La rabbia pareva ribollire nelle sue iridi, accendendole di luci pericolose.

Rabbrividì. -Loro sono con me-

-Loro non possono entrare- ribadì il licantropo, indicando i tre fermi sulla soglia d'ingresso.

In un'altra situazione, Abel era certo che, come minimo, lo avrebbe punzecchiato con qualche battuta sagace, imponendo il proprio volere grazie alle sue innate capacità sofistiche – era bravo con le parole, e lo sapeva.
Ma, dall'altra parte, quella volta, c'era, appunto, Geert e lui si sentiva troppo in colpa nei suoi confronti per demolirlo a suon di frecciatine.

-Faccio entrare chi voglio, qui dentro- disse, tentando di rendere il suo tono di voce il più pacato e tranquillo possibile.

Non si sentiva tranquillo neanche un po': la tensione gli stava accelerando i battiti del cuore, i respiri si stavano facendo già più brevi e irregolari.
E pacato non lo era mai stato, neppure per sbaglio.

Sapeva bene che le sue emozioni, per Geert, non erano un mistero – non lo erano per nessuno dei presenti. Tutti loro potevano fiutare, percepire quello che stava provando. Era, quello, lo svantaggio più grande dell'essere l'unico nato umano all'interno di un clan di licantropi; a essere l'unico essere umano all'interno di una relazione con un mannaro e un vampiro. Persino i suoi amici, i suoi fedelissimi, per la maggior parte, erano creature sovrannaturali. Era cresciuto in mezzo a loro, aveva il loro sangue, aveva intessuto, nel tempo, relazioni con altri di loro – finché non si era sentito come esplodere, e aveva deciso – tentato – di abbandonare tutti.

Dopo anni di solitudine, si trovava di nuovo al punto di partenza.

Mannaggia a me.

-Due vampiri e un mannaro. È così che tieni alla sicurezza del... tuo clan?-

ARABESQUE ~ Capitolo 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora