Il MoonClan spiccava come una luce nel buio. Non era così buio, ma lo sembrava molto di più nei pressi del locale, dove sulla strada si riversava un fascio arancione, caldo, in grado di illuminare a malapena una piccola porzione del marciapiede. La pavimentazione della strada era resa scivolosa dal connubio di grosse e larghe pietre lisce che la rivestivano e dalla pioggia che era venuta giù fino a pochi istanti prima.
Abel si strinse nel cappotto, privo di chiusura, maledicendosi per il suo ritardo.
Ritardo aveva voluto dire meno tempo a disposizione e meno tempo a disposizione lo aveva convinto a scendere da casa già vestito per la serata. Il ché aveva significato trovarsi con le gambe a malapena coperte da sottilissimi collant, mentre tentava di non rompersi l'osso del collo procedendo lungo la strada, stando attento che i tacchi non si incastrassero tra le fessure dei mattoni.
Arrivò davanti l'ingresso del MoonClan praticamente in scivolata. Si fermò appena in tempo aprendo gambe e braccia, piegandosi appena su un fianco.
-Stavi cadendo- disse Hauke.
Abel alzò gli occhi su di lui, si portò una mano dietro la nuca e l'altra su un fianco. -Io non cado. Al massimo mi adagio al suolo con stile- ribatté.
Hauke rise. Il suono che produsse fu così gutturale da risultare graffiante, e Abel si domandò – come sempre gli capitava – se ridere a quel modo potesse essere doloroso per la gola.
La sigaretta che Hauke teneva tra le labbra tremò, la prese tra due dita, liberando la bocca, scoprendo una fila di denti bianchissimi, diritti, incastonati in un sorriso da batticuore.
-Sei stato dal dentista?- chiese e lo superò, entrando nel locale.
-Si vede?- gli urlò dietro Hauke, mentre Abel percorreva su gambe tremanti, intirizzite dal freddo, la stretta scalinata che conduceva nel seminterrato, lì dove si trovava il cuore del MoonClan.
-Gran bel lavoro di filo interdentale- disse e si chiuse alle spalle la porta dell'ingresso, senza attendere una sua risposta.
Il suo cuore ebbe un sussulto. Si girò a guardare verso la porta, poggiò una mano su di essa. Si era pentito di averla chiusa in modo così brusco. Non voleva litigare con Hauke, non voleva farlo arrabbiare per una stupidaggine.
Poggiò la fronte contro la porta. Doveva riaprirla? Si fissò le punte dei piedi, nudi.
Che fine avevano fatto le scarpe? Aggrottò la fronte.
Erano sudici, i suoi piedi, sudici di terriccio e fango. E non indossava più i collant né l'abito di scena. Aveva perso pure il cappotto, ma sentiva caldo. Il clima pareva essere cambiato e stava sudando. Un sudore freddo, appiccicoso, che scivolava in rivoletti sottili sulla fronte, gli inumidiva le ascelle e l'interno cosce.
Si tastò il petto: era nudo – e si sentiva nudo fin dentro le ossa, vulnerabile, in pericolo. Anche se non sapeva spiegarsi perché.
Si girò, lasciandosi la porta alle spalle.
L'ambiente era ampio, luminoso. Riconobbe subito il corridoio di pietra grezza, illuminato a giorno da calde luci gialle. Sembrava di stare per concedersi un tour nelle segrete di una qualche dimora storica. Ma era il vecchio covo di Magda: non ne aveva dubbi.
Aggrottò ancora la fronte e il suo cuore fece una piccola capriola a causa del panico improvviso che gli attanagliò le membra.
Riconobbe il pavimento, l'odore delle pareti, la friabilità dei grossi mattoni che le componevano e che si sbriciolavano sulle dita, lasciando la loro impronta di polvere gialla sui polpastrelli.
Si strofinò una mano sui vestiti, sulla T-shirt a maniche corte, di colore nero, che indossava, lasciando su di essa irregolari scie gialle. Si guardò la punta delle dita, sollevò lo sguardo dinanzi a sé.
Era al MoonClan.
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ARABESQUE ~ Capitolo 3
HorreurÈ tornato. È Divina. È un gran rompiballe. Ma è pure vero che è difficile fare finta di essere simpatici quando ti porti il lutto dentro, il mondo è un caos che gode di equilibri spezzati, di crudeltà e odio. Per fortuna, Abel sa sempre come rimet...