CANTO II - Attaccato dallo spirito di Aeneas, l'autore trova salvezza da chi è esperto di oltretombe.
Ratto il bronzo, seco la morte,
Giugula brama, lei sente il gelo
Soffio richiamo alle Averne porte.
M'al calar del crisantemo stelo
Sfiora la vena solo il sentore,
Suffice a'mbiancar lo nostro pelo.
Brividendo intero, al monco dolore,
Chiedonmi se tal incipien tardare
Sia sol 'na beffa dei Latin vittore
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
M'alfin nostri nervi, d'ansia spezzati,
Forzan la lingua, fra'l denti a sgusciare.
"Iliade rimasto, c'urbe cantan vati,
Postponi per giuoco, arrovellandomi'l cranio
Aut pacis in corde ponetter li Penati?"
"Tal'egli è l'padre de bell'Ascanio,
Par'io sono al suo gobbo Anchise.
Poder'ei non gode in quivi demanio."
Rispuosmi bonario, in sì plenaria mise
Igniota voce tonando a bon misura
Che dei bulbi, cataratte, furno divise.
Innanzi, anzitutto, l'esiliata figura
Dileguata ill'era come'l nembo del greto
Quando Parma s'inoltra in stagion d'arsura.
Dal cenereo alzommi un poco più lieto,
Ch'ancor insabbiato n'ero ogne parte.
Titubai poi a chi par d'alto ceto.
Quasi per caso passasse in disparte
Non mosse un passo ch'i grido "Me lasso,
qual che tu sii, od ombra o a questa parte,
Tu sparagnastimi dolente trapasso!"
Tost'a la purpurea toga m'avvicino
Ch'innato calore m'attrae e rilasso.
"Consunto fei sulla terra il cammino"
Rispuose chinando, l'allorea, alta fronte
"Ancor ch'Apollo fe Pythía vaticino".
A egli stringetti, che quasi lo monte,
Intrecciando i respir sì fiume a fluente,
Biascicai tuorlo "Se' tu quella fonte?"
Soprassiede e il cinge, "Sol ne la mente
Può l'ombra del mito atterrir chi vi crede:
Soggiogato in teoria t'ha Enea, o fremente".
S'ecco, dacché, conforta e mercede,
Sanguigne fe gote, virò'l disìo a guerra
"Or ben misuro se merti la mi fede!"
Sdegnommi e, vindice, i bracci mi serra:
"Son'io quel Vergilio che tien per la testa,
Ambo figlioli de Cisalpin terra,
Anche s'or l'ossa a Parthènope resta
Mantua me genuit, servetti la lupa
Ottavio l'Augusto e i fuochi di Vesta,
Farmi de Cristo è anacronistica sciupa.
Stranio che vaghi, precoce, ermi colli,
T'io condurrotti per valle sì cupa
Ch'ogne vil n'esce o freddo or folli.
Ma sel proseguio vuoi de lo plagio,
Ogni mio dubbio dissip'ardi e inzolli
Poscia portotti per Ploutōn palagio,
Ove a traverso avverse visioni
De stil a te novi coglierai l'adagio
Se a meglior poesia, disiando, ragioni."
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Una Piccola Commedia
PuisiLeggendo l'Eneide l'autore si addormenta e finisce in un terribile oltretomba scritto in terzine ma anti-Dantesco, dove non sono i morti a essere puniti, ma i suoi peccati letterari. Il buon Virgilio, come al solito, recupera la sua funzione di guid...