CANTO XI - Ove al poeta viene presentato il custode dell'insediamento cristiano
Noi lasciammo arretro il mondo scuro
Per andar incontro a un altro acceso
De fiamme cui genesi er'insicuro
E mentre scendo i pensier soppeso
Quando a un cancello c'arrestammo
E a noi vence San Marco da Efeso,
Arcivescovo d'essa e sommo piantagrammo
Al gran concilio tenutosi a Fiorenze
Per riconciliar sotto a un cristogrammo
Li papi, patriarchi e lor udienze.
"Arretriamo" consiglio al maestro
"Non condivide le sue provenienze
Coi duo antagonisti al nostro estro?"
Ma egli a me "tu ignori i miei poteri
attribuitemi ché smisi d'esser pedestro"
E proseguimmo a passi altieri.
"Olà, voi rabbuiati" son le parole
Di chi fu guardia come lo fu al suo ieri
"Accorti state, mostratevi al sole
Del divin castigo o fatene parte!"
Quel canuto di barba bianca vuole
E noi abbandoniam del buio l'arte.
Quelli stette come vide in noi spurio:
"Ancor non credo rinunciasti tu a Marte
E Giove suo padre, Giunone e Mercurio
In più sei latino e ben poco voi ritenni.
Quasi non t'apro, col meglior augurio."
Poscia rispuose lui: "Da me non venni
Sces'ordin del ciel, per li cui prieghi
de la mia compagnia costui sovvenni.
Già del Paleologo le speranze anneghi
E l'impero suo cadde sanza aiuti:
Un matrimonio imperfetto tu rinneghi
E causasti divorzi ben più bruti.
Lascia che il minore male passi oggi
Affinché più grandi non seron divenuti:
Non fui osservante, ma ho tra voi appoggi.
Non fui profeta del nostro redentore?
Stazio e altri in me feron fede foggi,
Inspirai quel tal, di Campaldin vittore
E molti altri celati dietr'al tuo torrìo".
Così tace aspettando il dovuto onore.
"La nostra testa, che è Cristo nostro Dio,
Mal sopporta che non sfruttiamo l'amore
Pur se mal posto, acciò assento io.
Ma in cotal guisa meni, mio signore
Quello stran'essere tutto rabbuffato?
È un novizio dalla terra delle ore
Ch'io mai vidi un grugno di tal stato."
Ed ei per me "Non è compiuta la sua sorte,
Ancor vivo giace nel sonnifero substrato
Nel mezzo del cammin fra vita e morte
Come avvenne ad Er, nel racconto di Platone
E così Enoch vide le sette auree porte,
Gabriele scortò pure in una notte Macone
A rimirar li peccati puniti per riflesso
Lo stesso di cui Paolo ebbe visione.
Or tu, che sei dell'ortodossia cipresso,
Scuotiti per noi, ch'intendo mostrargli
Che riserba de chi fede ha in depresso.
Affinché converta e il vizio da sè tagli."
"Lagrimo" Sospirò il bizantino metropolita
"A veder che tanti ravvedono gli sbagli
Sol per paura e diviene nostra accolita
Per scampare alla loro degna tomba,
Ma se volsì così colà ov'è riunita
Il figlio e il padre e la trina colomba
Io più non dimmando" Tacque e il sugello
Antico rimuove e il cielo rimbomba
Allo strofinìo del gran chiavistello.
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Una Piccola Commedia
PoetryLeggendo l'Eneide l'autore si addormenta e finisce in un terribile oltretomba scritto in terzine ma anti-Dantesco, dove non sono i morti a essere puniti, ma i suoi peccati letterari. Il buon Virgilio, come al solito, recupera la sua funzione di guid...