CANTO III - L'autore risponde al quesito di Vergilio, ma deludendolo
"Dicer mi devi e acconciamente
Come tu lesto fosti a ricordarmi:
Chi presentommi e in quale lente?
Commemra, orsù, scevra risparmi
Lo dì c'odisti per pria il di mi dire
E si fosser questi ingiuri o carmi".
Così pregommi il latino mio sire
Con occhi, lucidi, c'appena stana
Di chi, già crede, null'ha da offrire.
"Ti cognoscetti per bocca germana
T'andava, infatti, studianti mi sora
Che maggior, negli anni, era lontana
E vedendola io coi libri de fora
Di figur c'ancor null'intendevo
Sbirciavo, chiedevo a chi non ristora.
I numeri a genio men mai avevo
Ma precoce fui pel'letteratura
Che analfabeta ero coevo.
Vidi un'imago, di stampa fier, dura,
Da parve incisa col foco nel legno,
Che nel pensier rinova la paura!
Sensibil li bimbi sono e dan segno
Che la mi sora in braccio mi colse
E toccò il violento, vivo disegno
Sì orrendo, temevo, ch'il dito le torse
Ma idarno mordeva e avegnacché
Fosco ei fosse da carta nien sorse.
Sussurrommi ciò ch'imparar dové
Sia per amore che in suo ripasso
"Incisa è inver, da Gustave Dorè."
Presomi il dito, lo dolcia sul passo
A farmi sentire un corpo appiattito
E il mi timor fu quasi ritrasso.
"O amor fresco de primo vagito
C'ancor succhi il dito e sai di latte
Hai tu de Caron dimonio mai odito?
Quivi, col remo, ruinoso ei batte
Chi si attarda a menarsi all'inferno
E niente porno quest'anime matte
Se non bistimare il verbo in eterno."
Quell'erebo iudicio trovai perturbante
E consolar debbe con far più materno.
Disse ch'ellero tal quale a Dante
E lei, a te, si associa per me
Sì, vate passato, ma un passo avante
E se sei la metà degno di te
Nulla io stimo dell'abisso infame
Se protegger potraimi come lei fe"
Di lusinghe credetti saziargli la fame
E invece se stava a capo chin, mogio
Rimuginandosi in spettrali trame.
"Sia forse il tuo un gran bel'elogio?
Esser ricordo già nei ricordi?
Non per mio merto ma d'altrui necrologio?
Chi mi stimava tu non ti scordi,
Che dotta sora trattò come autore,
Ma me mi tratta d'attore a primordi!
Fittizio mai fui, vivetti le mi ore;
D'historia nessuna se non quella umana
Poeta fui stato e di stato maggiore.
Creder debbo ogni speme vana
D'esser letto pei miei poemi
Sanza passare al fiò de Toscana?
Non scrissi finali merti di premi?
Troppo rubai al Polìfemo Omero?
Gli dei, ex machina, solvetter problemi?"
E via si portava, sciupandosi nero
Quanto Memnone tanto è furioso.
Sgomento, lo seguo a passo leggero
Quali moritte sanza riposo.
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Una Piccola Commedia
PuisiLeggendo l'Eneide l'autore si addormenta e finisce in un terribile oltretomba scritto in terzine ma anti-Dantesco, dove non sono i morti a essere puniti, ma i suoi peccati letterari. Il buon Virgilio, come al solito, recupera la sua funzione di guid...