Canto XXII

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Canto XXII - Fuga e seconda riconciliazione. Sala dei magni.


Lesti, scarlatta la veste dell'aspide,

Addosso indossiamo e fora si scatta

Affabulando chi segue il figlio di Davide


Con le visa feroci che fece la matta.

Per segreti passaggi e scuri dongioni

I dedalici angoli de la mural fratta


Tutti indaghiamo, saggiamo i saloni

Lugubrati in decori di ossei capitelli

Bucrani, festoni, veri e propri costoloni


A seguire del gotico i gaji modelli

Lucenti e allegri nel mondo di sopra

Mai macabri e orrendi a questi livelli.


Infine, che immersi nella nostra opra

Scordiamci de la vista il nostro ausilio

E scontriamci con un'alma che già scopra.


Fermossomi in quell'infestato peristilio;

In fronte m'apparve chi mi conosce

Un omo d'Etruria, Publio Vergilio.


"Me paenitet, mihi ignosce"

Cadogli ai piedi e tutto il bacia

"Idiota" Leva le cornee sue mosce


E mi ragguaglia parola mendacia:

"il latino ecclesiastico ha un suono molle

A rimar col mio non avresti audacia.


Ragionar d'inezie noi non volle

Tu dimmi ora come scampasti

Te c'hai voluttade fiacca e solle."


"Io non saprei ben dir com'ai nefasti

Scampai che un istinto mi ghermì tutto

E scuse sarebbero atti pleonasti


Che il possessor di tale veste ho distrutto."

"Per nostra madre Anadiomene!"

Gridò il poeta e tarpossi il condutto


E ascondemmo retro a du' lesene.

"Tu non lo dire" intimossemi l'arguto

"Che se si scoprisse hai voglia le scene!


Peggio facesti di Cassio e di Bruto.

Ignorante sei a chi hai fatto dispetto?

Che santa fosse pur viva era saputo:


Teresa d'Avila, cui Bernini diè rispetto

Con quel marmo posto in Maria vittrice.

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