CANTO XIV - Ove comincia la processione dei cristiani.
Per la terza volta fui redarguito
Su qual fede conven ch'io seguissi
E per la terza fui quasi irretito
Che d'ateismo faceremmi eclissi
Tanto vidi convinte le tre fiere umane
Ch'io stupii nel vegger questi abissi
Pieni de chi fa ancor ne sorriso tane
Grazie a una speme in chi pur non vede
Men che mai meno che ne le vite vane.
Ma lo duca, vedenmi teso, me intercede
Spronando a mirar codesto spirto magno
Squillar per spago quella solitaria sede.
"È l'ora" ei disse "De verificar guadagno."
Così attese e de corde una scaletta
Fu gittata dal terrazzo fin giù al calcagno
E discese essa, con in spalla, tutt'affretta,
Un gran bagaglio, pesante a lei medesimo
Ed una volta a terra a noi non spetta
Bensì, calca piè col fratello nel battesimo
Fin verso l'altre torri e la val fan sonata
Che sue piante a calpestar son'un millesimo.
Processionarno e a lor fem gran brigata
E quant'homini illustri del clero eran fora!
Virgilio puntava e disse "Hai qui arrangiata
La schier che fe la chiesa canefòra.
Veggi quel Bonifazio che sfidò la Francia
Sol p'esse preso presso d'Anagni signora
Di modo che Filippo fe vendetta sancia
Di chi i Neri poscia esilio amministrò
A quel cui nome non serve altra ciancia;
Vedi lì, Caterina, galvanizzare un po'
Tutti quanti a cantar ancor più forte
Come da Siena scrisse ed ispirò
Quella Giovanna ch'a Napoli ebbe corte
E finanziò il Petrarca ed il Boccaccio;
Or tu mira, che in cima all'alme morte
Chi le guida e fa di lor dispaccio
È Salimbene, lo tuo concittadino
Ch'ancor da frate indossa lo suo straccio."
"Quel tal" io dissi "Sfiorò lo mio destino
Sol perché diede il nome alla mia scuola
E mai canosciuto lo avria io quel tapino
Se d'un savio con voce grande e più pignola
Non avessemi narrato la Chronica sua tarda
Che del tredicesmo secol tutto cola.
Non fossi te, c'hai l'oration gagliarda
E nel Piemonte nacqui alla taurina stella
Insegnando la gran historia longobarda
Fin'al viaggio di Colombo ed Isabella
Quei mill'anni che chiamarno medioevo,
Sarei più ignorante de la mia cittadella
E sul magnifico che fu Frederico svevo
Cui gran castella io scorsi oltre la vetta
Della pineta che'l cinge in su il rilievo
Che Andria vegge e il mar sin'a Barletta
Lo stesso mar da cui si disse fu fecondo
E Gregorio, scomunicandolo, lo invetta
Ignar che poi quell'uomo stupì il mondo.
Non sfiorai quelle ottagonali mura
Che un inferno scatenosse lì dal fondo
Quel dì preciso che ci demmo alla ventura:
Il caldo estremo dell'estate in corso
Troppo avea seccato quella gran natura
Che non potemmo proseguire lo percorso.
Oh te, Alessandro, che magna storia fai,
Io te giuro presiederò un tuo discorso
Con la persona e la mia mano stringerai."
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Una Piccola Commedia
PoetryLeggendo l'Eneide l'autore si addormenta e finisce in un terribile oltretomba scritto in terzine ma anti-Dantesco, dove non sono i morti a essere puniti, ma i suoi peccati letterari. Il buon Virgilio, come al solito, recupera la sua funzione di guid...