Canto XVII

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CANTO XVII - L'autore discute con Keplero sulla sua presenza, poi delle stelle.


"Deh, ma com'è che voi si langue

Come foste mero grullo recidivo?

Voi ch'inorgoglite chi ha tedesco il sangue


E di statue costellano il suol nativo

Per lo servigio reso a studiar le stelle

E la terra istessa cui sono apprensivo?"


"Le stelle, inver, mi cangiaron rubelle:

Sin quand'io avvisi quelle grandi code

Che i ciel solcavan come caravelle


Le notti che per tre mesi furon sode

Della dama in visita alla nostra Selene

C'appen sei anni ero al geode.


Per quei segni che fan le schiere serene,

E si ha ben donde a nomar miracoli,

Io poco curai le faccende terrere


Sicché gran guerra strusse li pascoli

Per trent'anni almeno di tutto l'impero

Per Ferdinanda voluttade e li suoi pargoli


D'assoggettar a lui il motor primiero

Nel qual tutti credon per vie diverse

Ed io stetti justo in mezzo al sentiero.


La bocca mea troppo s'aperse

E di ciò fui già in vita ostracizzato

Da quella fede in cui pur perverse.


Io rendo teco un mio invettivato

E tu pur dovrai renderlo a chi legge:

S'è ver che Lutero volle un novo stato


Onde niuno comandasse un gregge

Fuorché Dio, togliendo ai papi verga,

Di modo che soli la Bibbia se legge,


Perché un clero ancor li alberga?

Non s'era detto potere al singolo

E che niun dogma più s'atterga?


Guarda come fanno a intingolo

La gente attorno al pastore in Virginia

Sfidando di Gutenberg pressa e cingolo


Con i programmi della più bassa ignominia

In prima serata e da milioni visto

Che quasi all'ovale giunse vicinia


Lucrando i voti con la paura di cristo

Additando all'ira burrasche e sismi

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