Canto XIX

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CANTO XIX - ove l'autore riesce ad uscire per poco eleganti metodi


Io ve contai, sior, del bieco affare:

Come patii un sì tremendo supplizio

Piegato a manier che non mi posso aitare


Se non sopportar de Teresa lo sfizio

De scudisciare com'ella amò in suso.

Non del secondo Edoardo l'orifizio


L'usurpatori anglesi fecer peggio abuso.

Soddisfatta la sete de violento amore

Me rimise liberto e con parlar diffuso


Guidò il mio grazie pel santo dolore

Che lei dicea far gl'homini più casti

Ma io sentia solo un grave bruciore


Laddove la schiena alle cosce basti.

"Gran gente trassene sommo giovamento"

Spiegò quella "Sin dalli antiqui fasti:


Giobbe, a cui la pioggia e il vento

Portaron via li figli e i Caldei le bestie

Rimanendogli solo la lebbra el tormento;


Eppur lo spirto, fra mille molestie,

Sempre perdurosse nel dio d'Abramo

Che rese sue ricchezze sì modestie


E non fu in sua tribù più forte ramo."

"Ben dici, madama" Confermo e mi passo

La mano sull'area carminia ch'avemo


"Veggo molti istrumenti da far lasso"

E la donna, rimembrando la sua culla,

L'issata Avila sull'iberico sasso,


Da quando, in Africa, volse voltar fanciulla

A quando Giuseppe le scampò la febbre.

"Con questo mi solevo far la pelle brulla"


Disse afferrando, con pupille ebbre,

Un flagello degno del re Roboamo

"Che quasi parea ch'avessi la lebbre.


Signor, cui auree frecce allegra famo,

A te già dissi di patire oppur morire."

E presto detto, le rintoccai il talamo


Con una francisca ch'a terra la stire

Tutta riversa col cranio all'infora

E que li bulbi, che non potran più vedire,


Lontan, come de santa Lucia segnora.

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