Canto XIII

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CANTO XIII - Ove l'autore si fa prendere dall'emozione.


"Dama che tutto hai districato e sciolto,

Voce lume sul tuo faro a cui naviglio,

Dimmi, se rimembri ancora il volto


Del tuo cantar ch'è de Florentia giglio."

Io pregolla e quella incupì il viso

"Che dolore è ricacciar dal nascondiglio


Lo ricordo che de pecche fa spirto intriso:

Perché non potria obliar le passate zoie

D'un breve momento, da millenni diviso?


Tutto l'anacorar non mi affatto toglie

L'orgoglio che serbai pe' la mea poetade

E tanto dico perché mentir non serve


Che già il mio spirto da grazia cade.


Pater noster, che ne li cieli sei,

Laudo tuo nome e d'un mio son'indegna

Nè titol minore a lo re dei Giudei

Che un'oncia d'onore fa l'anima pregna.


Quanto ancora convien che m'umilii?

Tutta la voluttade dovria far cancello

Affinché non semo al tuo amor restilii

E null'altro disïo farmi il cor fello?


Dimenticar dunque ogni mea passione,

Arte e piacere che non sia te signore;

Dimenticar lo riso ad un garbato scherzo,


Amar il padre, lo sposo è a te sferzo?

Fa sì dunque che l'identitade mi more:

Plasmami a tutti, a te rendo la ragione."


Ebbe il suo parlato gionto al punto

Ch'io subito cridai e non me contenetti

Plaudendo l'esibitione ch'io ebbi munto:


"Magnifica donzella tessesti dei sonetti

Che divini son e lagrimando fan pio

Per la metrica, i suoni e l'alti concetti.


Scendi, te ne prego, acciò possa io

Auscultar meglio e vedere la bocca

Che canta sì bene le pene per Dio."


Ma quella già ridiscese nella rocca

E più non la vedetti: n'ascosa s'era

Sentendo l'alma de superbia trabocca.


Allora passò per quella torbiera

Chi parve pastore a richiamar l'aniello

E levò la verga su pel ciel de la sera:


"Chi molesta il silenzio del consorzio fratello?

Tu proprio fra tutti turbi le preghiere?

Vergilio, credevo avessi meglior cervello."


Il duca parve scevro di sicumere

E faticò a risponder da punto a bianco:

"Aurelio, io son quivi da molte più ere


E a far caciara io non mi ci stanco.

Costui è responsabile, ma tu perdona

Perché novizio è lui e morto manco."


Quella se sgonfiò così com'era in zona

E me studiò tutto dalle piante in testa.

"Ben veggio in te la giovenil corona


Che a tutti creder fa d'esser mente lesta

E ciaschedun tratta servo di sé stessi.

Non me stupisco più per questa molesta


Ch'offende la meditatio dei divin messi:

Presumo tu sappia e comunque facesti

Perché ridi de noi, da Dio ancor fessi


Ch'idarno andiam, spergiurandoci pesti,

Chi, a tuo dire, d'esser non ha modo.

Ma invero ti dico" E fece ampi gesti


"Tutto il consorzio s'arrovella sul nodo

E tu pur rispetta, perché non siam bruti

Che crede desperando per dar morte frodo


Ma homini che veggon ne cosmici attributi

Ogni simbol firma dell'unico all'architetto.

So che li miei libri non ti sono poi muti;


Riconoscimi allora, tu che m'hai letto

Più per dovere, perch'imposto d'altri

Piuttosto che curiositade o pur diletto.


Saprai che diedi a voi meno scaltri

Le prove abbisognate ad aver la fede

Pur guardando sol dentro noialtri


E scovando la sua infinita mercede.

Pensa: Non cerchi per te il bene?

Come quando un lauto pasto si concede


Ma la bocca asciutta risentirà le pene

E di nuovo lo stomaco reclamerà il pane.

Com'è debole il fisico! Nulla in sè ritiene:


L'acqua, il cibo e lo sangue son vane

Se duraturi non sono sicuri per sempre

Poiché non è vita d'uomo ma da cane


Sopportar di giorno a giorno le tempre;

Così fu l'avarizia per paura del finito!

Ma si c'è che sfamar possa il vempre


Questo è il motore primo e mai sopito

Da cui tutto discende e porta sapore

Come canto stonato di bono spartito:


Non senti, pensandovi, pienezza d'umore?"

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