Canto XXIII

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Canto XXIII - Si presentano gli altri spiriti magni


Prese parola, allora, quella dama

Ch'avea fattezza di certo non francese,

E disse "Se sei chi a salvezza brama


Ascolta il mi dir savio e sii cortese.

Non ho cagion di dimandar chi fosti

E se il tuo spirto mai giustizia lese


Giacché io pur che tengo regi posti

Commisi infamia pria de rinsavire

A la fé dei cuori ben disposti.


Se ch'ello c'ascoltasti dir fu sire

Io pur de una gente fui regina

Quella, dico, ch'oggi ha gran patire


Perché coi novi Unni, novo Attila confina

Con quelle terre battesmate da Vladimiro,

Ch'un secondo rese, mill'anni a te vicina,


Decristizzate e un terzo or vi è emiro;

Novi Franchi son ora i miei nipoti

E nova Poiters è lo mar sì detto Niro


Che tu ben sai per lo Iasòn e i viaggi noti.

Oh quanto, di discordia, fu essa ragione

Dai Cimmeri e gli Scitici fasti remoti


E li antiqui Ioni di Panticapeo e Chersone.

Quale autorevolezza si pote oggi ambire

Pretendendo la Crimea e Meotida regione


Per passata possedezza se tutti vide ire.

Ma non voglio abbandonarmi a melanconìa:

Io, quella terra, reggetti per un sire


Che fu mio seme, ma prepubero coronìa.

Fui cruda nel serbar poter su Boristène

E mai mi risposai che mia metà lascìa


Per non divider con niuno la mia spene

E acciò mi prodigai, così de Dreviljani

Col ferro, il foco e di vanga le pene,


Non se ne scrive più e di me hai peani.

Avegnacché, sentendo l'alma così stretta,

E sol consolo fu che erano pagani,


Viaggiai a lungo sin quella terra detta

Da l'elleni romani Costantinopoli,

Onde con l'acqua mondai la mia vendetta.


Tornata diffusi la novella ai miei popoli,

Quella del settimo del primo Basileo,

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