Aleksander
Non so dove andare. Non avevo pensato più in là del desiderio di riacquistare il potere e tornare a essere me stesso. Non era neanche stato sicuro fino in fondo che il piano avrebbe funzionato. Ma mi sono aggrappato a quel frammento di bosco di spine, e gli orfani gli avevano offerto l'opportunità perfetta per provare.
Alina.
"È viva." La voce di Yuri era un'eco nella sua testa, un moscerino che non riusciva a scacciare. "Sankta Alina, figlia della Dva Stolba, Alina della Faglia. È viva."
Sì, Alina Starkov era sana e felice, e viveva con il suo tracciatore. Se lo si voleva chiamare vivere. Le farneticazioni ammirate di Yuri si trascinavano all'infinito.
Le domande di lei l'avevano turbato, ma Alina aveva sempre avuto la capacità di dargli sui nervi. "Perché dovresti essere proprio tu il salvatore?" La risposta era ovvia come era sempre stata: chi altri poteva proteggere i Grisha e Ravka? Un ragazzo incosciente a cui piaceva giocare ai pirati? Una ragazza vendicativa che aveva troppa paura del proprio cuore per padroneggiare il potere tremendo che le era stato donato? Erano pericolosi. Pericolosi per lui, per il suo paese, e persino per se stessi. "Bambini."
I suoi soldati ombra lo trasportarono sopra foreste e radure e intanto anche la sua mente vagava, finché alla fine arrivò in una città accanto a un fiume. Era un posto familiare, ma molti posti lo erano. Conosceva ogni ciottolo e ogni ramo di Ravka. Invece le pistole, i carri armati e le macchine volanti che avevano invaso quel mondo erano per lui nuovi e sgraditi. Se il suo piano avesse avuto successo, se fosse riuscito a trasformare la Faglia in un'arma, con Alina al suo fianco, Ravka non sarebbe mai stata vulnerabile a quella brutalità in avanzamento.
"È viva. Sankta Alina che ha dato la vita per Ravka."
«Io ho dato la mia vita per Ravka» ringhiò lui agli alberi e Yuri, finalmente castigato, zittì.
Si fece depositare dai nichevo'ya accanto a un alto ponte che passava sopra la gola di un fiume e percorse a piedi il resto della strada fino al villaggio, senza sapere bene dove fosse diretto. Non aveva scarpe ai piedi e indossava la veste nera sbrindellata di Yuri e i suoi pantaloni, la stoffa insanguinata dove era stato sfiorato da un proiettile. Desiderava un bagno e abiti puliti. Cose umane.
I commercianti lo fissavano preoccupati dalla soglia dei loro negozi, ma non avevano niente da temere da lui. Non ancora, almeno. Non era un granché come posto, ma notò icone quasi a ogni finestra. La maggior parte di quei villaggi sperduti era religiosa e lo era diventata ancora di più durante la guerra civile. Alina era di sicuro popolare, veniva sempre rappresentata con i suoi capelli bianchi e illuminata come se avesse inghiottito il sole. Molto scenografica. Vide anche Juris – un santo da tempi di guerra, se mai ce n'era uno – e Sankta Marya, patrona delle persone lontane da casa. Nessun segno del Senza Stelle.
"Tutto a tempo debito" si disse, e Yuri fu d'accordo con lui. Su questo erano una mente sola.
I nomi si affollarono nei suoi pensieri. Staski. Kiril. Kirigan. Anton. Eryk. Una valanga di ricordi. Era stato tutti loro, ma chi sarebbe dovuto diventare stavolta? Aveva avuto tempo in abbondanza per riflettere su queste cose nell'isolamento della sua cella di vetro, tuttavia ora che era libero, davvero libero di scegliere, trovava adeguato un solo nome. Il più antico di tutti: Aleksander. Non aveva più motivo di nascondere la sua diversità. I Santi erano destinati a vivere per sempre. Arrivò a una piazza fangosa dove c'era una piccola chiesa sormontata da un'unica cupola imbiancata. Attraverso la porta aperta intravide il prete occupato in qualche faccenda accanto all'altare, mentre una donna accendeva candele per i morti. Sarebbe andato bene come rifugio. Non potevano certo mandare via un mendicante scalzo.
Fu solo quando si trovò all'interno, circondato dal conforto delle ombre fresche e fitte della chiesa, che Aleksander si rese conto di dove fosse. Sopra l'altare era appeso il dipinto di un uomo con ceppi di ferro ai polsi e un collare al collo, gli occhi che guardavano il nulla sopra di sé. Sankt Ilya in Catene.
Lo conosceva eccome quel posto. Era tornato al punto di partenza: quella chiesa era stata eretta sopra le rovine della casa di Ilya Morozova, suo nonno, un uomo gettato a morire dallo stesso ponte che Aleksander aveva appena attraversato per arrivare in quel villaggio. Era conosciuto come il Fabbro delle ossa, il più grande Fabrikator della storia. E tuttavia era stato molto più di questo.
«Salve» disse il prete, voltandosi verso l'ingresso.
Ma Aleksander era già sprofondato nelle ombre, raccogliendole come un sudario intorno al suo corpo nel buio della navata laterale.
Si spostò silenzioso verso la porta che sapeva l'avrebbe condotto nel seminterrato, giù per le scale pericolanti fino al locale in cui erano ammucchiati le panche vecchie e gli arazzi marciti. I suoi ricordi erano scuri e polverosi come quel posto, ma la mappa della chiesa e della costruzione che l'aveva preceduta erano sepolte nella sua mente, e lui sapeva che c'era un'altra stanza ancora sotto quella. Trovò una lanterna e andò in cerca del portello.
Non ci volle molto. Quando trovò l'anello di metallo, il cardine stridette. Forse il prete avrebbe sentito e avrebbe cercato di scacciare gli spettri con le preghiere.
Yuri si agitò dentro il suo cranio per quel piccolo sacrilegio, ma Aleksander lo ignorò.
"Ti mostrerò meraviglie" gli promise.
"Questo è un luogo sacro" protestò Yuri.
Aleksander quasi rise. Cosa rendeva sacra una chiesa? Le aureole dorate dei Santi? Le parole del prete?
"Le preghiere pronunciate sotto il suo tetto."
Lui si accigliò nel buio. La devozione del ragazzo era spossante. Lì sotto, il pavimento era sporco e la lanterna non mostrava altro che pareti di terra, nelle quali radici cercavano di aprirsi la strada.
Ma Aleksander sapeva cosa era stata un tempo quella stanza: il laboratorio sul retro della casa di Morozova, il posto in cui suo nonno aveva infranto i confini tra la vita e la morte, resuscitando animali nella speranza di infondere potere nelle loro ossa. Aveva cercato di crearsi i propri amplificatori e ci era riuscito.
Aleksander aveva tentato di seguire le sue orme. Aveva convinto sua madre a farsi portare in quella città, nella casa che lei abitava da bambina. Quando lei aveva visto la chiesa edificata nel punto in cui era stato il laboratorio di suo padre, aveva riso per un'ora.
«L'hanno ucciso» aveva detto Baghra, lacrime divertite che le colavano dagli occhi. «Gli antenati degli uomini e delle donne che vivono in questa stessa città e pregano in questa chiesa l'hanno gettato nel fiume. Il potere vero li spaventa.» Aveva indicato il dipinto della pala d'altare. «Ne vogliono solo l'illusione. Un'immagine sul muro, silenziosa e innocua.»
Ma il potere era esattamente quello che aveva trovato Aleksander, nascosto in quel sotterraneo: i diari di suo nonno, con gli appunti sui suoi esperimenti. Erano diventati la sua ossessione. Era stato sicuro di poter fare quello che aveva fatto Ilya Morozova, e così aveva provato. Il risultato era stato la Faglia.
"Un dono" sussurrò la voce di Yuri, e Aleksander si ritrovò improvvisamente a Novokribirsk, a guardare la marea della Faglia correre verso di lui, ad ascoltare le grida intorno. "Mi hai salvato quel giorno."
Aleksander scrutò nel buio del sotterraneo. Di sicuro non aveva avuto intenzione di salvare Yuri. Ma era contento che qualcuno ricordasse il bene che aveva fatto per il suo paese.
Tastò il muro, la terra fredda e umida sotto la sua mano, fino alla nicchia in cui aveva trovato i diari, avvolti in tela cerata. Ora era vuota. No, non del tutto. Le sue dita si chiusero intorno a qualcosa; un pezzo di legno. Un pezzo di un giocattolo. Il collo curvo di un cigno costruito con estrema cura, spezzato alla base. Inutile.
"Perché sei andato da Alina?" continuava a ronzare Yuri. "Perché cercarla?" Per riappropriarsi del suo potere, ovviamente. L'universo aveva voluto umiliarlo, costringerlo ad appellarsi a un paio di patetici orfani inginocchiato come un mendicante.
"Perché sei andato da lei?"
Perché con lei lui tornava umano. Lei all'inizio era ingenua, sola, con un disperato desiderio di approvazione; gli stessi bisogni che gli rendevano così facile manipolare i suoi soldati. Com'era riuscita a sconfiggerlo, quindi? Pura ostinazione. Lo stesso impulso pragmatico che le aveva permesso di sopravvivere da orfana, di sopportare così tanti anni senza usare il suo potere. Qualcosa di più. Ne conosceva il nome una volta, un centinaio di vite prima. "Non è troppo tardi." Forse Alina aveva ragione, ma lui non aveva lottato per tornare dalla morte solo per essere salvato.
Non aveva nessuna penitenza da fare. Tutto quello che aveva fatto era stato per i Grisha, per Ravka.
E la piaga? Doveva aggiungere anche quella alla lista dei suoi presunti crimini? Doveva ammettere che era parzialmente colpa sua. Però se il re ragazzino fosse stato abbastanza bravo da arrendersi e morire come avrebbe dovuto, l'obisbaya sarebbe stato completato e la Faglia non si sarebbe mai rotta. Ma quanto poteva essere terribile? Ravka ne aveva passate di peggio, e anche lui.
Abbassò lo sguardo sul frammento di giocattolo nelle sue mani. Non avrebbe dovuto andare lì. Sentì l'odore di terra rivoltata, l'incenso dalla chiesa di sopra. Quel posto non era che un'altra tomba.
Voleva uscire dall'oscurità, tornare all'acquoso sole invernale. Si chiuse la botola alle spalle e risalì le scale dal sotterraneo, ma si fermò dietro la porta della chiesa. Sentì il prete parlare, lo scalpiccio e il mormorio di una folla. Dovevano essere entrati mentre era immerso nei suoi pensieri. Che giorno era? Erano riuniti per la funzione del mattino?
Il prete stava raccontando la storia di Sankt Nikolai – il ragazzo che aveva rischiato di essere mangiato da marinai cannibali, e che si era poi dedicato ad assistere i poveri e gli affamati. Era un racconto strano e violento come tutte le vite dei Santi.
Forse era arrivato il momento per una storia nuova, un solo Santo più grande di tutti quelli che l'avevano preceduto, un Santo che non dispensava il suo potere come una sorta di banchiere che tenesse il registro delle preghiere e delle buone azioni. Forse era il momento per un nuovo genere di miracolo.
Dal suo nascondiglio dietro la porta Aleksander sollevò le mani e si concentrò sull'icona alle spalle del prete. Lentamente spirali di ombra cominciarono a uscire dalle mani aperte di Sankt Ilya, dalla sua bocca.
Un grido strozzato si levò dalla congregazione. Il prete si voltò e si buttò in ginocchio. Aleksander si bevve la loro paura e meraviglia. Inebriante come il vino di ciliegie da pochi soldi che aveva bevuto a... non ricordava.
"Vedi, Yuri. La tua era dei miracoli è cominciata."
Attraversò la chiesa come una folata di vento, mascherandosi in un turbine d'ombra, e i fedeli gridarono.
Aleksander non poteva semplicemente riapparire, risorto. C'erano troppi vecchi rancori, ci sarebbero state troppe domande. No, poteva raccontare una storia migliore. Sarebbe diventato Yuri; che il ragazzo parlasse per lui e, quando fosse arrivato il momento, il monaco sarebbe stato il suo prescelto, un ragazzo venuto dal nulla, dotato di un grande potere. Avevano amato la favola della piccola Alina. Avrebbero amato anche questa.
Sarebbe andato nella Faglia. Avrebbe trovato i seguaci del Santo senza Stelle.
Avrebbe insegnato al mondo la soggezione.
Aleksander rubò vestiti e scarpe dal retro di un carro sulla strada per Polvost. Trovare i Senza Stelle era più difficile del previsto, e si stava stancando della marcia. Si chinò su un torrente per bere, ma non aveva bisogno di perdere tempo a cacciare. Non aveva fame. Ricordava quanto Elizaveta agognasse le sensazioni; il sapore del vino, il tocco della pelle, il contatto con la terra morbida sotto i piedi. Ad Aleksander non interessava niente di questo. Desiderava solo che non fosse inverno. Voleva rivolgere la faccia al sole e lasciarsi scaldare. Il freddo ora lo spaventava. Gli ricordava la morte, il lungo silenzio del non essere, senza alcun senso del tempo e dello spazio, con la sola consapevolezza di dover tener duro, perché un giorno quella terribile immobilità avrebbe avuto fine. Era stato nell'oscurità a lungo.
Ma alla fine si rese conto che stava diventando debole. Il corpo di Yuri aveva bisogno di sostegno, e così entrò in una birreria a Shura. Non aveva soldi, perciò si offrì di spaccare la legna e aggiustare il tetto in cambio di un pasto. I giovani della città erano già partiti, di nuovo in uniforme, preparandosi ad affrontare i Fjerdiani.
«E cosa pensate della guerra del re?» chiese a un gruppo di anziani raccolti sul portico.
Il vecchio dai capelli grigi che rispose era così rinsecchito che sembrava più una noce che un uomo. «Il nostro Nikolai non ha chiesto la guerra, ma se è questo che vogliono quei bastardi del freddo Nord, gliela daremo.»
Il suo rugoso compagno sputò sulle assi di legno. «Bacerai il culo gelato di quei bastardi del Nord quando entreranno marciando. Non abbiamo i carri armati e i fucili che hanno i Fjerdiani, e mandare i nostri figli a morire non cambierà questo.»
«Stai dicendo che dovremmo semplicemente lasciare che bombardino le nostre città?»
Continuarono a lungo, la stessa vecchia storia. Ma amavano il loro re.
«Vedrete, troverà il modo per uscire da questa trappola, come l'altra volta. La volpe troppo astuta ci riesce sempre.»
Aleksander si domandò se avessero davvero letto quella storia. Gli sembrava di ricordare che finiva in modo molto cruento. La volpe perdeva la pelliccia sotto il coltello del cacciatore. O forse si salvava?
Aleksander non ne era sicuro.
Si sedette in fondo a un tavolo nella birreria, mangiò del pane di segale duro e strisce di agnello stufate così a lungo che sapevano di carne già masticata. Questo significava essere vivi. Elizaveta avrebbe dovuto considerarsi fortunata. E pensare che era stata Zoya a ucciderla. Considerò che gli aveva risparmiato il disturbo di farlo lui stesso. E se Zoya avesse imparato a controllare il potere che aveva ricevuto? Era ancora vulnerabile, ancora malleabile. La rabbia la rendeva facile da controllare. Quando quella guerra fosse finita e i caduti fossero stati contati, forse lei avrebbe avuto di nuovo bisogno di un pastore. Era stata una dei suoi studenti e soldati migliori, la sua invidia e la sua rabbia la spingevano a esercitarsi e a combattere con più impegno rispetto a tutti i suoi compagni. Ma poi si era rivoltata contro di lui. Come Genya. Come Alina. Come sua madre. Come tutta Ravka.
"Tornerà da te."
Non voleva la simpatia di Yuri. Bevve birra acida e ascoltò le chiacchiere dei clienti. Tutte le conversazioni vertevano sulla guerra, sul bombardamento di Os Alta, e naturalmente sulla piaga che tormentava così tanto il re e il suo generale.
«Pellegrini accampati a Gayena. Hanno cercato di montare le loro maledette tende nere, ma li abbiamo cacciati via. Non li vogliamo sentire qui i loro discorsi sacrileghi.»
«Dicono che la piaga sia una punizione per non aver santificato l'Oscuro.»
«Be', io dico facciamolo santo se mi restituirà il mio pascolo. Dove deve andare a brucare il mio bestiame?»
«Se riesce a tirar giù dal letto quello scansafatiche di mio marito, ci vado io stessa in pellegrinaggio alla Faglia.»
"Gayena." Finalmente una notizia sui Senza Stelle. Finì il suo terribile pasto e uscì dalla birreria, ma non prima di aver usato le sue ombre per rubare un paio di occhiali da un tavolo. Mentre camminava, lasciò riaffiorare i lineamenti di Yuri, la faccia lunga, il mento sfuggente. Niente barba, naturalmente. Non era un Plasmaforme. E anche il corpo debole sarebbe rimasto in esilio. Aleksander aveva bisogno di tutta la sua forza. Si mise gli occhiali sul naso. Avrebbe dovuto guardare da sopra le lenti. La vista difettosa di Yuri, dopo tutti quegli anni chino sui libri, era un'altra cosa che non gli interessava recuperare.
Percepiva l'euforia del ragazzo alla prospettiva di riunirsi ai fedeli. "Questo è il mio scopo. Questo è il motivo di tutto."
Yuri non aveva torto. Tutti avevano un ruolo da giocare.
Aleksander trovò i Senza Stelle accampati sotto un ponte, come fosse un raduno di troll, gli stendardi neri che sventolavano sopra le tende. Fece un veloce inventario delle loro difese e delle loro risorse. Era un gruppo sorprendentemente giovane, e composto quasi esclusivamente da uomini, tutti vestiti di nero, molti con tonache su cui era goffamente ricamato il suo simbolo, il sole in eclissi. Vide un mulo, pochi cavalli macilenti, e su un carro una cassa coperta con una cerata, presumibilmente piena di armi. Era con questo che avrebbe dovuto lavorare? Non sapeva bene cosa si fosse aspettato. Se non un esercito, almeno il materiale per crearlo, non quella patetica accozzaglia.
"Non avrei dovuto lasciarli." Yuri di nuovo. La sua presenza era più insistente ora, come se permettere ai lineamenti del piccolo monaco di emergere avesse dato forza alla sua voce; non più un singolo moscerino ma un intero sciame.
«Yuri?» Un uomo dal torace ampio con la barba brizzolata si avvicinò.
Aleksander cercò il suo nome e i ricordi di Yuri glielo fornirono. «Chernov!»
Si ritrovò trascinato in un abbraccio stantio ed energico che lo sollevò quasi da terra. Era come essere abbracciati da un tappeto di pelle d'orso con un bisogno estremo di essere lavato.
«Temevamo fossi morto!» gridò Chernov.
«Abbiamo saputo che stavi viaggiando con il re apostata e poi non abbiamo più avuto notizie di te.»
«Sono tornato.»
Chernov si accigliò. «Hai una voce diversa. Hai un aspetto diverso.»
Aleksander sapeva che non era il caso di inventarsi scuse. Invece afferrò il braccio di Chernov e lo guardò negli occhi. «Sono diverso, Chernov. Quante persone ci sono qui?»
«All'ultima conta c'erano trentadue fedeli. Ma stiamo dando da mangiare ad alcuni viaggiatori che non hanno ancora trovato la via del Senza Stelle.»
«Davvero?» Risorse preziose sprecate.
«Sì. Proprio come predicavi tu. Nel buio siamo tutti uguali.»
Dovette trattenersi dal ridere. Invece annuì e ripeté le parole con fervore. «Nel buio siamo tutti uguali.»
Chernov lo accompagnò per l'accampamento e Aleksander salutò quelli che sembravano riconoscerlo come vecchio amico. Se solo avessero saputo. Nel frattempo si informò con apparente noncuranza sugli altri posti in cui aveva preso piede il culto del Santo senza Stelle. Secondo le stime di Chernov il numero dei seguaci era salito a quasi mille pellegrini. Un numero scarso, ma era un inizio.
«Abbiamo deciso di spostarci a sud, verso climi più caldi, e allontanarci dal confine settentrionale. Non vogliamo trovarci in mezzo al fuoco incrociato quando inizieranno i combattimenti.»
«E poi?»
Chernov sorrise. «E poi continueremo a diffondere il nome dell'Oscuro e a perorare la causa della sua santificazione. Quando il re Nikolai sarà deposto, verrà incoronato Vadik Demidov e noi presenteremo un'istanza...»
«Demidov sarà un burattino di Fjerda.»
«Cosa importa a noi di queste vicende politiche?»
«Ve ne importerà quando metteranno i Grisha sul rogo.»
«I Grisha?»
Aleksander dovette sforzarsi di nascondere la sua rabbia. «L'Oscuro non era un Grisha?»
«Era un Santo. È diverso. Cosa ti è preso, Yuri?»
Aleksander sorrise, ricomponendosi. «Perdonami. Intendevo solo dire che possiamo ancora trovare seguaci tra i Grisha.»
Chernov gli diede una pacca sulla schiena. «Un valido obiettivo per quando la guerra sarà finita.»
Lui prese in considerazione l'idea di strappargli il braccio dalla spalla. Invece cambiò approccio. «Ma l'Apparat? Il prete tornerà a Ravka con Demidov, no? E lui ha osteggiato la santificazione dell'Oscuro ogni volta che ha potuto.»
«Pensiamo di poterlo conquistare alla nostra causa con il tempo.»
"È tutto sbagliato." Su questo Yuri e Aleksander si trovavano d'accordo. Yuri era stato un membro della guardia dell'Apparat per un po'. L'aveva visto schierarsi prima con la Santa del Sole e poi con nessuno, in attesa che Alina e l'Oscuro combattessero la loro battaglia mentre lui e i suoi seguaci se ne stavano al sicuro sottoterra. I Senza Stelle non avrebbero dovuto accontentarsi di mendicare gli avanzi dalla mano del prete, per quanta influenza avesse sul popolo di Ravka.
«Il sole tramonterà presto» disse Chernov mentre i Senza Stelle si raccoglievano, rivolgendosi verso ovest. «Sei arrivato giusto in tempo per la funzione. Parlerà il fratello Azarov.»
«No» disse Aleksander. «Parlerò io.»
Chernov sbatté gli occhi. «Io... be'... forse sarebbe meglio se ti prendessi un po' di tempo per riambientarti, riprendere familiarità con...»
Aleksander non aspettò di sentire il resto. Andò davanti alla congregazione e sentì mormorare «Yuri!» e «Fratello Vedenen!» da persone che non l'avevano ancora visto nell'accampamento. Altri erano sconosciuti, persone che si erano unite ai Senza Stelle dopo la partenza di Yuri.
«Fratello Azarov» disse Aleksander, avvicinandosi al giovane con i capelli biondi che si preparava a parlare. Aveva il pallore e il carisma di un bicchiere di latte.
«Fratello Vedenen! Mi fa piacere rivederti. I tuoi sermoni ci sono mancati molto, ma sto provando a farci la mano.»
«Chernov ha una questione urgente di cui vuole che ti occupi.»
«Davvero?»
«Sì, estremamente urgente. Vai subito da lui.» Aleksander oltrepassò il fratello Azarov e prese il posto che gli spettava, davanti alla folla.
Osservò i volti confusi ma entusiasti; attendevano che qualcuno gli desse qualcosa in cui credere, una scintilla di divino. "Vi darò una conflagrazione. Darò un nuovo nome al fuoco."
La gioia di Yuri lo percorse. Il ragazzo era stato un predicatore. Lui ne comprendeva l'esultanza.
«Alcuni di voi mi conoscono» disse, la voce che riecheggiava sopra la folla mentre la luce dorata del tramonto si riversava sui loro visi. Li sentì reagire alla sua voce estranea con sussurri ed esclamazioni soffocate. «Non sono l'uomo che ero. Ho viaggiato nella Faglia, e là sono stato visitato dal Senza Stelle in persona.»
«Una visione?» chiese Chernov tra le esclamazioni sorprese dei presenti. «Cosa hai visto?»
«Ho visto il futuro. Ho visto come possiamo meglio servire la causa del Senza Stelle. E non è vivendo da codardi.» Mormorii inquieti si sollevarono dai pellegrini. «Non andremo a sud. Non ci nasconderemo da questa guerra.»
Chernov fece un passo avanti. «Yuri, non puoi dire sul serio. Non ci siamo mai occupati dei politici e dei loro giochi.»
«Questo non è un gioco. L'Apparat ha tradito l'Oscuro. Si è opposto alla sua santificazione. Si è alleato con i nemici di Ravka. Ma voi vorreste nascondervi, tremando come animali senza denti né artigli.»
«Per poter sopravvivere!»
«Per poter tornare di corsa da un prete corrotto quando lui si unirà alla corte di Demidov? Per tornare a mendicare la sua attenzione cantando davanti ai cancelli della città? Noi siamo destinati a ben altro.» Cercò gli sguardi di quelli che si scambiavano sussurri rabbiosi. «Senza dubbio alcuni di voi sono entrati in questo gruppo al semplice scopo di evitare la guerra. Non volevate prendere il fucile, per cui avete indossato una tonaca e avete raccolto la bandiera del Senza Stelle. Vi dirò una cosa: non vi vogliamo qui.»
«Yuri!» gridò Chernov. «Questo non è il nostro modo di fare.»
Aleksander avrebbe voluto abbatterlo sul posto, ma non era ancora il momento di mostrare il suo vero potere. Aveva sopportato intere vite a nascondere la propria forza. Poteva aspettare un altro po'.
Allargò le braccia. «Voi avete paura. Questo lo comprendo. Non siete soldati. E non lo sono neanch'io. E tuttavia l'Oscuro mi ha parlato. Ha promesso che sarebbe tornato. Ma solo se noi prendiamo posizione nel suo nome.»
«Cosa suggerisci?» chiese il fratello Azarov, l'espressione spaventata.
«Marciamo verso nord. Verso il confine.»
«Verso la guerra?» balbettò un altro.
Aleksander annuì. Non intendeva perdere tempo a spostarsi di villaggio in villaggio per conquistare piccole congregazioni con trucchi da salotto. No, gli serviva un momento di spettacolarità, qualcosa di grandioso con molti testimoni. Avrebbe messo in scena il suo ritorno sul campo di battaglia, con migliaia di soldati Ravkiani e Fjerdiani come pubblico. Là, la trasformazione di Yuri da umile monaco a salvatore eletto sarebbe stata completa. Là, Aleksander avrebbe insegnato loro la soggezione.
I Fjerdiani erano meglio armati e meglio equipaggiati, e quando il giovane re Nikolai avrebbe vacillato, come era inevitabile, allora e solo allora sarebbe tornato l'Oscuro, e avrebbe mostrato a Ravka cos'era la vera forza. Li avrebbe
salvati. Avrebbe offerto loro un miracolo. E sarebbe diventato santo, padre, protettore, re.
«Yuri» disse Chernov. «Chiedi troppo.»
«Non chiedo niente» ribatté Aleksander, allargando le braccia ancora di più. «È il Senza Stelle che lo comanda.» Le ombre cominciarono a fluire dalle sue mani. La folla gridò. «Dovete decidere come volete rispondere.»
Gettò indietro la testa, lasciando che le ombre si gonfiassero spostandosi sopra la folla. Tutti caddero in ginocchio. Qualcuno singhiozzava. Era abbastanza sicuro che il fratello Azarov fosse svenuto.
«Scapperete a sud o porterete le bandiere del nostro Santo a nord?» domandò alla folla. «Come rispondete al Senza Stelle?»
«Nord!» gridarono. «Nord!»
Si aggrapparono gli uni agli altri, piangendo, mentre le ombre oscuravano il sole calante.
«Mi dispiace aver dubitato di te» disse Chernov, avvicinandosi con le lacrime agli occhi.
Aleksander sorrise, e lasciò che le ombre si ritirassero. Posò una mano sulla spalla di Chernov. «Non ti scusare, fratello. Io e te cambieremo il mondo.»
Aleksander osservava il suo esercito di fedeli, i suoi accoliti, le persone con cui avrebbe costruito una nuova era. Per la prima volta da secoli gli venne voglia di whisky.
«Sono pronti» disse il fratello Chernov, traboccante d'orgoglio, i peli della barba brizzolata quasi ritti per l'eccitazione.
"Pronti a morire, immagino" pensò Aleksander, ma non lasciò trasparire la propria frustrazione.
Diede una pacca sulla schiena a Chernov. «Avanti verso la rivelazione.»
Il grosso uomo lo seguì mentre percorrevano insieme l'accampamento. Aleksander non aveva modo di sapere dove i Fjerdiani avrebbero attaccato, per cui aveva portato i suoi seguaci – e ora erano davvero suoi – a nord di Adena ad aspettare notizie sulla battaglia. Ma loro avevano insistito per spostarsi verso la Faglia, a ovest, per passare le notti in comunione con il Senza Stelle. "Io sono qui!" avrebbe voluto gridare Aleksander, tuttavia non aveva avuto altra scelta che assecondarli nel pellegrinaggio alle sabbie sacre.
Non gli piaceva. Era in parte questione di praticità. Nella Faglia non c'erano ripari, né piante commestibili, né cacciagione. Tutto quello che avevano da mangiare erano le gallette e la carne essiccata che si erano portati dietro, e da bere alcuni fusti di birra sgasata e l'acqua delle borracce. Dormivano sul duro terreno, senza alberi o rocce a proteggerli dal vento invernale. Ciò nonostante i suoi compagni erano giubilanti. Tenevano le funzioni a ogni tramonto e durante il giorno alternavano le preghiere con l'addestramento. Stavano per andare in battaglia, dopo tutto, e anche se Aleksander non intendeva farli combattere molto, dovevano almeno dare l'impressione di sapere cosa stavano facendo.
«Da dove hai preso tutte queste conoscenze in campo militare, Yuri?» chiese il fratello Azarov mentre Aleksander faceva fare ai pellegrini un altro giro di corsa. Azarov era stato un soldato prima di disertare per unirsi ai Senza Stelle.
«Quando ero nelle guardie del prete» mentì lui.
Yuri non aveva mai neanche preso in mano un'arma. Era stato felice di restare confinato nella biblioteca.
«Ci servono altre armi» aggiunse.
Le sopracciglia folte di Chernov si sollevarono. «Perché? Quando il Senza Stelle...»
«Non decidiamo noi quando arriva il Santo senza Stelle. Dobbiamo essere pronti a difenderci.»
"Hanno tutti così tanta voglia di morire?" si domandò.
"Credono" fu la risposta di Yuri. "Credono in te."
Meglio così, ma la guerra era la guerra.
«C'è un deposito segreto nel vecchio forte a est di Ryevost» disse il fratello Azarov. «Io sono stato di stanza lì per un po'.»
«Pensi che ci sia ancora?»
«Se il Senza Stelle ci protegge, ci sarà.»
Aleksander dovette sforzarsi di non alzare gli occhi al cielo. Se ricordava correttamente, il vecchio forte era stato quasi completamente smantellato e usato come deposito di munizioni.
«Ci andremo stanotte» disse.
«Dopo la funzione.»
«Naturalmente.»
Dopo il tramonto, attaccarono un carro a due cavalli e si avviarono verso il vecchio forte. Oltrepassare le guardie fu abbastanza semplice. L'unica difficoltà fu evocare le ombre per nascondere i loro movimenti senza svelare il suo potere al fratello Azarov.
Ma la loro fortuna cambiò presto.
«Tutto qui?» disse Aleksander guardando le casse di armi decrepite. Raccolse uno dei vecchi fucili monocolpo. «Tanto vale cercare di ucciderli a sberle.»
«Il Senza Stelle ci proteggerà.»
Aleksander studiò il fratello Azarov nella stanza buia. «Tu sei un soldato...»
«Ero un soldato.»
«D'accordo. Sei stato un soldato in passato; saresti entrato in un campo di battaglia senza nient'altro che la fede a proteggerti?»
«Se è questo che chiede il nostro Santo.»
Aleksander avrebbe dovuto essere contento di quella fede, era bastato un piccolo gioco di ombre per convincere quelle persone ad andare in guerra con lui. E allora perché si sentiva a disagio?
"Li proteggerai?"
Ne era in grado. L'avrebbe fatto se fosse stato necessario. Aveva riacquistato i suoi poteri. Avrebbe potuto creare i nichevo'ya e farli combattere per lui. I suoi pellegrini potevano entrare nel campo armati di pale e picconi e ne sarebbero comunque usciti vittoriosi.
E tuttavia la sua mente era turbata.
Presero le poche armi che sembravano utilizzabili e ripartirono in silenzio verso Adena. Dal momento che avevano il carro, si sarebbero incontrati con il fratello Chernov e alcuni altri al villaggio per caricare le scorte acquistate al mercato.
Aleksander non riusciva a impedirsi di pensare al primo esercito che aveva messo in piedi. Sul trono c'era Yevgeni Lantsov, che era stato in guerra contro gli Shu per tutto il suo regno. Non riusciva a tenere il confine meridionale e le sue forze erano allo stremo. Aleksander aveva un altro nome allora. Leonid. Il primo Oscuro a mettere i suoi doni al servizio del re.
Sua madre l'aveva avvisato di non andare. Vivevano vicino a una vecchia conceria, dove l'aria era sempre appesantita dalla puzza di sostanze chimiche e di interiora.
«Una volta che ti conosceranno, non potrai tornare indietro» l'aveva avvisato.
Ma lui aspettava da tanto un sovrano come Yevgeni: pratico, lungimirante, e disperato. Era andato nella capitale e aveva chiesto udienza al re. E in sua presenza aveva lasciato uscire le sue ombre. Il Gran Palazzo non esisteva ancora, c'era solo un castello fatiscente di legno malfermo e pietre irregolari.
Il re e la sua corte si erano spaventati, alcuni l'avevano chiamato demone, altri avevano affermato che era un illusionista e un imbroglione. Ma il re era troppo pragmatico per farsi sfuggire un'opportunità come quella.
«Porterai il tuo talento al confine» gli aveva detto. «Che sia vera magia o semplice illusione, la userai contro i nostri nemici. E se il nostro esercito vincerà, sarai ricompensato.»
Aleksander aveva marciato verso sud insieme ai soldati del re e, quando avevano affrontato gli Shu sul campo, aveva sguinzagliato l'oscurità contro i loro avversari, accecandoli. L'esercito di Ravka aveva vinto la battaglia.
Ma quando Yevgeni aveva offerto ad Aleksander la sua ricompensa, lui aveva rifiutato l'oro del re. «Ci sono altri come me, Grisha, che vivono nascosti. Mi dia licenza di offrire loro rifugio qui e io costruirò un esercito quale il mondo non ha mai visto.»
Aleksander aveva viaggiato per tutta Ravka, in posti che lui e sua madre avevano visitato in precedenza, in terre lontane in cui era stato da solo a studiare. Conosceva le vie segrete e i nascondigli dei Grisha e, ovunque andava, prometteva loro una nuova vita libera dalla paura.
«Saremo rispettati» prometteva. «Onorati. Avremo finalmente una casa.»
All'inizio nessuno aveva voluto seguirlo nella capitale. Erano sicuri che fosse uno stratagemma e che, una volta che fossero stati dentro le doppie mura della città, sarebbero stati uccisi. Ma poi ne aveva trovati alcuni disposti a fare il viaggio con lui; e quelli erano diventati i primi soldati del Secondo Esercito.
Nobili e preti avevano protestato, naturalmente, accusandoli di magia nera, ma poiché continuavano a riportare vittorie militari, le obiezioni avevano perso vigore.
Solo l'Apparat del re Yevgeni continuava a fare campagna contro i Grisha. Inveiva sostenendo che i Santi avrebbero abbandonato Ravka se il re avesse continuato a dare asilo sotto il suo tetto a gente che praticava la stregoneria. Ogni giorno si presentava davanti al trono e tuonava fino a ritrovarsi senza fiato e tutto rosso in faccia. Un giorno semplicemente collassò. Se la sua morte fosse stata causata da un Corporalki appostato nell'ombra accanto a una finestra, nessuno lo seppe con certezza. Ma l'Apparat successivo era più circospetto nelle sue obiezioni. Predicava dal Primo Altare raccontando la storia di Yaromir e Sankt Feliks, una storia di soldati straordinari che avevano aiutato un re a unificare un paese e, due anni dopo, Aleksander cominciò a lavorare sul Piccolo Palazzo.
Aveva pensato di aver portato a termine il suo compito, di aver dato un rifugio sicuro alla sua gente, una casa in cui non sarebbero mai stati puniti per i loro talenti.
Cosa era cambiato? La risposta era: tutto. I re vivevano e morivano. I loro figli erano onesti o corrotti. Le guerre finivano e ricominciavano, incessantemente. I Grisha non erano accettati; erano mal tollerati a Ravka, e all'estero gli si dava la caccia. Erano stati affrontati con le spade, poi con i fucili, poi peggio. Non se ne vedeva la fine, e così lui l'aveva cercata sotto forma di un potere di cui non si potesse dubitare, una forza che non si potesse eguagliare. Il risultato era stato la Faglia.
I suoi primi soldati erano ormai morti. E così amanti, alleati, innumerevoli re e regine. Solo lui sopravviveva. L'eternità richiedeva pratica, e lui ne aveva molta. Il mondo era cambiato. La guerra era cambiata. Ma lui no. Lui aveva viaggiato, imparato, ucciso. Si era spogliato delle sue vite passate come un serpente che si liberasse della vecchia pelle, diventando più astuto e più pericoloso a ogni nuova versione di se stesso. Ma forse in ciascuna di quelle vite si era lasciato dietro un pezzo della sua identità.
Il fratello Azarov si svegliò di soprassalto quando Aleksander fermò il carro sulla strada in pendenza che portava a Adena. Il monaco sbadigliò e fece schioccare le labbra. Era mattina presto ed era giorno di mercato nella piccola città. Anche da lontano si capiva che lo stato d'animo era funereo, la minaccia della guerra si avvicinava sempre più, ma la piazza era ancora piena di gente che accumulava provviste, di bambini che giocavano o lavoravano alle bancarelle insieme ai genitori, di vicini di casa che si scambiavano saluti.
Aleksander saltò giù per sgranchirsi le gambe e controllò che le armi fossero al sicuro sul retro del carro.
«Sei mai stato a Adena?» chiese il fratello Azarov.
«Sì» rispose lui d'impulso. Yuri non ci era mai stato. «No... Ma ho sempre desiderato visitarla.»
«Ah, sì?» Azarov osservò la città come se si aspettasse di vederla trasformarsi improvvisamente in una versione più interessante di se stessa. «Perché? Ha qualcosa di speciale?»
«C'è un murale molto bello nella cattedrale.»
«Di Sankta Lizabeta?»
Era la sua città? Sì, ora ricordava. Vi aveva compiuto qualche tipo di miracolo per attirare il giovane re verso la Faglia. Ma non c'erano affreschi nella chiesa. «Intendevo la statua» disse. Lei l'aveva fatta piangere lacrime nere e l'aveva coperta di rose.
«Chi sei tu?»
Aleksander sollevò lo sguardo dalle cartucce di munizioni che stava mettendo in ordine. «Scusa?»
Il fratello Azarov era in piedi accanto al carro. I suoi capelli biondi erano scompigliati per l'avventura della notte e i suoi occhi erano socchiusi. «Chiunque tu sia, non sei Yuri Vedenen.»
Lui si costrinse a ridacchiare. «E allora chi sarei?»
«Non lo so.» La faccia di Azarov era torva e Aleksander si rese conto troppo tardi che la sua confusione su Adena era stata una recita. «Un impostore. Un agente del re Lantsov. Un uomo dell'Apparat. L'unica cosa di cui sono sicuro è che sei un ciarlatano e non un servo del Senza Stelle.»
Aleksander si voltò lentamente. «Un servo? No. Io non servirò mai più nessuno, né in questa vita né in nessun'altra.» Considerò le sue opzioni. Era in grado il fratello Azarov di comprendere cos'era, chi era? «Devi ascoltarmi con attenzione, Azarov. Sei sulla soglia di un grande...»
«Non ti avvicinare! Tu sei un pagano. Un eretico. Vuoi portarci in battaglia per guardarci morire sul campo.»
«Il Senza Stelle...»
«Non hai diritto di parlare di lui!»
Aleksander quasi scoppiò a ridere. «Nessun umano dovrebbe essere costretto a scontrarsi con un paradosso così estremo.»
«Fratello Chernov!» gridò Azarov.
Nella piazza del mercato, Chernov sollevò la testa e agitò una mano. Lui e gli altri pellegrini portavano ceste e casse piene di cibo e scorte.
Aleksander tirò il fratello Azarov dietro il carro e gli mise una mano sopra la bocca. «Hai chiesto miracoli e io ti porto miracoli. Tu non capisci le forze che sono in azione.»
Azarov si agitava nella sua presa. Aveva la forza del soldato che era stato. Riuscì a liberare una mano. «So riconoscere il male quando lo vedo.»
Ora Aleksander dovette sorridere. «Può darsi.»
Lasciò che si formasse un nichevo'ya alle spalle di Azarov, alto e alato. Richiamare il merzost era doloroso, come un respiro strappato dai polmoni, un istante di terrore mentre gli veniva sottratto un brandello di vita per formarne un'altra. Creazione. Abominio. Ma ormai ci era abituato.
Gli occhi di Azarov si spalancarono quando vide l'ombra del mostro dietro di sé. Ma non ebbe mai la possibilità di voltarsi. Un gemito gli sfuggì dalle labbra nel momento in cui la mano artigliata del nichevo'ya gli sfondò il petto. Abbassò lo sguardo – grinfie nere si chiudevano intorno al suo cuore che ancora batteva – poi crollò a terra.
"Assassino!" L'angoscia di Yuri era come un allarme che gli risuonava nel cranio. "Non avevi nessun diritto!"
Aleksander sbirciò da dietro il carro. I pellegrini si stavano avvicinando. Aveva solo pochi istanti per decidere cosa fare del corpo. Poteva portarselo via il nichevo'ya, ma l'avrebbero visto prendere il volo con Azarov. Era meglio seppellire il pellegrino sotto le armi e sperare di recuperare il corpo quando fossero tornati al campo.
Sentì gridare nella piazza del mercato. Stava arrivando un temporale, le nuvole proiettavano ombre scure sulla città.
No, non un temporale. Si muoveva troppo rapido, una macchia di tenebra che si allargava sopra le case. Tutto quello che toccava diventava ombra, conservando la forma per un istante soltanto, per poi dissolversi in fumo. Kilyklava. Il vampiro. Era stato lui ad attirare la piaga a Adena, o era una semplice coincidenza?
La gente si disperse, gridando, cercando di scappare, di lanciarsi fuori dal suo cammino.
Aleksander non riusciva a distogliere lo sguardo. L'ombra correva verso di lui. Il fratello Chernov e gli altri si tuffarono sui bordi della strada, abbandonando il pane e i cavoli.
"Scappa."
Sapeva che avrebbe dovuto. Ma era troppo tardi. Che sensazione avrebbe dato morire per la seconda volta? Il vecchio cavallo ebbe il tempo di emettere un nitrito di sorpresa prima di essere inghiottito dall'oscurità insieme al carro. L'ombra avanzò verso di lui; e poi si aprì. Gli girò intorno come acqua nera intorno a un masso. Sembrava di guardare la notte raccogliersi ai suoi piedi come un lago. E poi la piaga se ne andò. Aleksander si voltò e la vide proseguire divorando la strada e i campi, fino a fermarsi in qualche punto dell'orizzonte lontano.
Era arrivata in silenzio, rapida, una freccia scoccata da un arco invisibile, e svanì altrettanto rapidamente. Nella piazza, o quello che ne restava, la gente piangeva e gridava. Mezza città era esattamente uguale a prima – piena di colori, con le bancarelle del mercato cariche di carni essiccate, mazzi di rape, gomitoli di lana. Ma l'altra metà era semplicemente sparita, come se una mano disattenta l'avesse cancellata, lasciando solo una macchia grigia, una striscia di oblio dove pochi momenti prima c'era stata vita.
I pellegrini lo fissavano mentre strisciavano fuori dal fossato in cui si erano gettati e si rialzavano in piedi.
Aleksander guardò a terra. In mezzo ai suoi stivali c'erano fango, ciottoli, una chiazza di erba incolta. Alla sua sinistra e alla sua destra nient'altro che sabbia grigia. Il carro era sparito, con tutte le armi. E il fratello Azarov.
Chernov si avvicinò con la faccia rotonda piena di stupore. «Ti ha risparmiato.»
«Non capisco» disse Aleksander, facendo del suo meglio per mostrarsi costernato. «Il fratello Azarov non è stato altrettanto fortunato.»
Ai pellegrini non sembrava importare. Lo stavano fissando con timore reverenziale negli occhi.
«Sei davvero benedetto dal Senza Stelle.»
Un giovane pellegrino ossuto si voltò verso la città. «Ma perché il Senza Stelle ha salvato il fratello Vedenen dalla piaga e non quelle persone innocenti?»
«Non sta a noi discutere i suoi sistemi» rispose Chernov mentre cominciavano la lunga camminata verso l'accampamento. «Quando l'Oscuro tornerà e sarà santificato, la piaga non ci disturberà più.»
Un'altra cosa su cui Chernov si sbagliava.
Aleksander lanciò un'occhiata indietro alla città. Lui aveva fatto peggio a Novokribirsk, all'inizio della guerra civile, però aveva il controllo. Il vampiro non aveva padrone. Non ci si poteva ragionare e non lo si poteva persuadere. Perché l'aveva risparmiato? Forse riconosceva il potere che aveva creato la Faglia. O forse la piaga era attirata dalla vita e aveva percepito qualcosa di innaturale in lui, qualcosa di cui non aveva sete.
Passarono il resto della giornata nella Faglia, a studiare un nuovo piano per andare a nord e per acquistare armi e provviste. Si esercitarono, pregarono, mangiarono la loro scarsa razione di gallette e maiale sotto sale, e si misero a dormire.
«Riposate» disse lui. «Riposate e aspetteremo il segno.» Quando fosse arrivato il momento giusto, lui avrebbe liberato i suoi nichevo'ya sul campo di battaglia e tutti avrebbero saputo che il Senza Stelle era tornato.
Quelle persone erano reietti, si rese conto mentre camminava tra i pellegrini addormentati. Proprio com'erano stati i Grisha in passato.
"Non è troppo tardi." Così aveva detto Alina. O era stata sua madre? O il moscerino? Non importava. Per tutta la sua lunga vita era stato guidato dalla chiarezza del suo scopo. Gli aveva permesso di uccidere senza rimorso e gli aveva infuso l'audacia per prendersi un potere che avrebbe dovuto essere fuori dalla sua portata. Lo aveva riportato indietro dalla morte. Di quella chiarezza aveva bisogno ora.
Si sdraiò sulle coperte che erano state preparate per lui. Puzzavano di cavallo. Raccolse una manciata di sabbia morta della Faglia e se la fece scorrere tra le dita. Era questa l'eredità che avrebbe lasciato? Una ferita in cui niente sarebbe mai più cresciuto? Una piaga che colpiva perfino mentre la sua nazione marciava verso la guerra?
Sollevò lo sguardo verso le stelle disseminate come un tesoro rovesciato per tutto il cielo notturno. Il Senza Stelle. I suoi seguaci pronunciavano il suo nome con reverenza, e nei giorni a venire i loro numeri sarebbero cresciuti. Ma la gente non volgeva gli occhi al cielo in cerca del buio. Era la luce che voleva.
"Tutto questo cambierà" giurò. "Darò loro la salvezza finché non mi imploreranno di smettere."
E così il ragazzino stava per morire. Forse tutti stavano per morire.
Se il suo cranio non avesse riverberato come la campana di una chiesa, Aleksander avrebbe potuto ridere, invece cadde in ginocchio insieme al resto dei Senza Stelle, le mani sulle orecchie, cercando di trovare un modo per uscirne. Gli occhiali che aveva usato come arredo di scena gli erano scivolati dalla faccia e giacevano rotti a terra. "Aspetteremo il segno" aveva detto loro. "Il Senza Stelle ci mostrerà la strada."
Aveva avuto intenzione di evocare una grande macchia d'ombra, oscurare il sole, riempirli di meraviglia e soggezione.
Invece non ci sarebbe stato nessun segno. Non aveva previsto un'arma come quella.
Di nuovo cercò di evocare i suoi nichevo'ya, ma non riuscivano a prendere forma. I Chiamatempeste drogati di Fjerda stavano amplificando le vibrazioni di quelle campane, impedendo alle sue ombre di addensarsi.
Non riusciva a sentire le grida dei Senza Stelle intorno a sé, ma vedeva le loro bocche aperte e piangenti, gli occhi spalancati per la sofferenza e lo smarrimento. Lungo le linee Fjerdiane, scorse i Chiamatempeste emaciati costretti a servire Fjerda, i loro corpi fragili e tremanti, le loro facce vacue e tormentate. Era la parem. Non ne aveva mai visto gli effetti prima di quel momento, e non aveva compreso cosa poteva fare alla sua gente; Grisha trasformati in armi rivolte contro altri Grisha. Fjerda alla fine aveva realizzato il suo sogno di dominio. E avrebbe potuto realizzare anche il suo sogno di conquista.
Doveva andarsene da quel posto, allontanarsi da quel suono.
Si alzò in piedi e attraversò barcollando i ranghi dei Senza Stelle, tutti troppo presi dal dolore per prestargli attenzione.
Poi lo sentì, come un uncino nello stomaco. Si voltò e vide il demone del giovane re sfrecciare nel cielo, l'incarnazione del proprio potere che aveva intravisto l'ultima volta durante l'obisbaya, quando aveva cercato di rivendicarlo a sé.
Il ragazzino l'aveva liberato. Gli sarebbe costato il trono. Gli sarebbe costato tutto. Perché? Per morire eroicamente per un paese che gli avrebbe voltato le spalle? Non avrebbe mai imparato il ragazzino?
"Sacrificio." Il sussurro di Yuri, pieno di reverenza.
"È uno stupido. La tua reverenza appartiene a me."
Che bene avrebbe fatto al re quel grande gesto? Aleksander sentì il demone smembrarsi, com'era già successo ai suoi nichevo'ya. Lui era più forte di loro, forse perché era emerso già intero da Nikolai invece di doversi comporre con le ombre tutto intorno, o forse perché era legato alla coscienza del re. Ma anche così, non era in grado di fermare le campane.
"Però potrebbe esserlo. Con il tuo aiuto."
Ovviamente a Yuri niente sarebbe piaciuto di più che vedere Aleksander sacrificarsi per quella causa. "Ti hanno seguito. Hanno creduto in te."
Aleksander doveva scappare. Si sarebbe salvato come aveva sempre fatto, si sarebbe ripreso e avrebbe escogitato un altro piano. I Fjerdiani stavano sfondando i ranghi Ravkiani e se avessero raggiunto i Senza Stelle, Aleksander si sarebbe trovato impotente. Doveva andare via da lì. Aveva l'eternità per lanciare una nuova strategia, per riprendersi Ravka dai Fjerdiani, per costruirsi un seguito e aprirsi una nuova strada verso la vittoria. Aveva combattuto troppo duramente per tornare alla vita, per metterla in pericolo adesso.
Tuttavia non poteva negare quello che sarebbe successo ai Grisha se i Fjerdiani avessero vinto la battaglia. E non ci sarebbe stato nessun miracolo, nessuna resurrezione grandiosa per lui, se non ci fosse stato nessuno a vederla.
Forse non era troppo tardi per salvare la situazione. Aleksander piantò i piedi a terra e aprì le mani, chiamando le ombre. Questa volta non tentò di dar loro la forma di soldati. Invece le mandò sopra il campo, fragili filamenti di oscurità che ciecamente cercavano il potere che riconoscevano. "I simili si attraggono."
Esplose in un grido quando le ombre incontrarono il demone e gli si aggrapparono.
"Ancora." Il corpo di Aleksander si scuoteva mentre la vibrazione assordante, straziante, gli riverberava dentro il cranio e lui lottava per non impazzire. I fili di ombra si unirono tra loro e si avvolsero intorno al corpo del demone, rafforzandone gli arti, compattandone la forma.
La creatura gridò. Aleksander sentì la mente del demone, la mente di Nikolai.
"Il mostro è me... "
Il fantasma di un pensiero.
Il demone sbatté le ali nel cielo invernale e si lanciò verso le campane. Si gettò contro la prima, poi contro un'altra, mandandole a schiantarsi a terra in un mucchio di metallo e vetro. Un soldato cercò di sparargli addosso, ma lui gli strappò il casco dalla testa e con gli artigli gli squarciò la faccia, mettendolo a tacere, il sangue caldo come un balsamo.
I Fjerdiani si dispersero, terrorizzati dal mostro che aveva preso vita davanti a loro. I Grisha drogati guardavano senza interesse, le menti vuote di ogni pensiero che non fosse la parem.
Con un ruggito di trionfo, il re demone si gettò contro l'ultima campana. Il muro di suono collassò in un silenzio benedetto. Grida si levarono dai soldati di Ravka mentre si rialzavano barcollando. Sanguinavano. Erano distrutti, ma non finiti. Ripresero i fucili, i Grisha di Ravka sollevarono le mani, e tutti si gettarono di nuovo nella battaglia.
«Cos'è successo?» gridò il fratello Chernov.
Aleksander riuscì a malapena a sentirlo. Nelle sue orecchie ancora riecheggiava quel suono violento, e rafforzare il demone gli era costato. Guardò il mostro ricongiungersi al re, una macchia scura che scivolava sopra il campo per tornare al suo vero padrone. I Senza Stelle, schiacciati a terra dal suono delle campane, non avevano visto cosa aveva fatto o non avevano capito.
«Cosa facciamo?» chiese il fratello Chernov.
Aleksander non lo sapeva. Le campane non c'erano più, ma Fjerda aveva preso vantaggio. Le sue truppe si stavano riorganizzando, si spingevano avanti e il re era circondato.
«Ci sono demoni nel cielo!»
All'inizio pensò che il monaco si riferisse alla creatura d'ombra di Nikolai, ma lui stava indicando a sud-est.
«Chi ha un cannocchiale?» domandò, e il fratello Chernov gliene passò uno.
Qualcosa si muoveva verso il campo di battaglia, anche se non riusciva a capire cosa. Sapeva solo che portava nuovi problemi per il re. Nikolai non aveva alleati a sud.
«Dov'è il segno?» chiedeva supplicando il fratello Chernov. «Perché il Senza Stelle ci ha abbandonati? Cosa facciamo?»
Aleksander guardò i Fjerdiani accerchiare il re e le sue truppe. Le campane gli avevano dato il tempo per chiudere a Nikolai la strada della ritirata. Aleksander avrebbe potuto mandare i nichevo'ya ad aiutarlo. Avrebbe potuto tentare di liberare il re di Ravka una seconda volta.
Oppure poteva lasciarlo morire per poi prendere il controllo delle forze di Ravka e guidare lui stesso la carica.
Il ragazzino era stato coraggioso, aveva spaccato le campane giocandosi la vita e la lealtà del suo paese. Ma questo non significava che dovesse vincere la battaglia.
"Scusa, Nikolai, ma un uomo non può sperare in due miracoli nella stessa mattina."
«Cosa facciamo?» ripeté disperato Chernov.
Aleksander voltò le spalle all'ultimo re Lantsov. Che morisse da martire.
«Tutto quello che possiamo fare» disse, rivolgendosi al suo gregge «è pregare.»Zoya
«Com'è che Zoya Nazyalensky, una comune Grisha, è arrivata a possedere tali capacità? Ha preso la forma di un rettile perché è un rettile. Conosco questa ragazza. Ero il consigliere spirituale del re. Ha un cuore crudele e freddo e non potrebbe mai essere la madre di cui ha bisogno Ravka.»
"Decidi tu quali Santi dobbiamo adorare ora?»
Quella voce. Fredda come acqua di pozzo. L'Oscuro emerse dal fondo delle gradinate. Indossava ancora la veste nera del Senza Stelle. Come aveva avuto accesso al summit?
L'Apparat lo sbeffeggiò. «Che diritto hai tu di essere qui? Un monaco senza nome che segue la bandiera di un pazzo.»
«Non preoccupiamoci dei nomi» rispose l'Oscuro, fermandosi sotto la luce. «Ne ho avuti tanti.»
L'Apparat trasalì.
«Abbiamo sofferto tutti insieme nel corso di questi lunghi anni di guerra e di conflitti» disse l'Oscuro con voce pacata. «Ma tra le molte persone che potrebbero parlare di re e regine, quest'uomo non ci dovrebbe essere. Mettiamo da parte per un istante il fatto che si è alleato con i nemici di Ravka in tempo di guerra...»
«La mia unica alleanza è con i Santi!»
L'Oscuro lo ignorò, ma sembrò scivolargli più vicino. «Quest'uomo ha aiutato l'Oscuro a deporre un re Lantsov. È stato strumentale nel far scoppiare una guerra civile che ha quasi distrutto questo paese, e ora osa sfidare una donna che il popolo venera come Santa vivente?»
«Siamo sicuri che vogliamo lasciarlo parlare?» mormorò Zoya a Nikolai.
«Per niente.»
«Tutti sanno che il vecchio re era malato» disse l'Apparat, ma i suoi occhi schizzavano freneticamente per la stanza come in cerca di una via di fuga. «Queste accuse non sono altro che bugie.»
«Il re è stato vittima di avvelenamento, non è vero?» chiese l'Oscuro.
«Proprio così» confermò Nikolai.
«Veleno somministratogli lentamente, nel tempo, da una persona a lui vicina, una persona che godeva della sua fiducia. Quante persone così potevano esserci? A me ne viene in mente una sola.»
"Bugie!» gridò l'Apparat. «Bugie di un eretico!»
Ma mentre parlava, cominciarono a uscirgli ombre dalla bocca. Tutti gli astanti trasalirono, indietreggiando, per allontanarsi dal prete.
"Prendetelo."Nikolai
Dopo la battaglia per Os Kervo i suoi tracciatori non erano riusciti a trovare l'Oscuro. I suoi seguaci tenevano ancora le loro funzioni, e alcuni si erano accampati davanti alle mura del palazzo per chiedere alla nuova regina la sua santificazione. Ma il Senza Stelle era sparito.
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The Immortal Darkness
FantasiPrima di essere generale del secondo esercito di Ravka, prima di dare origine alla faglia, e molto prima di diventare l'oscuro e Re delle Ombre, essere un ragazzo con un ritratto dannato e un ex marine. Era solo un ragazzo in fuga con la madre, con...