18. Albicocche

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I ragazzi non avevano molte informazioni su queste misteriose costruzioni; sapevano soltanto che erano molto vecchie e che risalivano agli antichi romani. Il nome glielo avevano dato i più grandi quando, in passato, le avevano esplorate. Inoltre, le grotte romane non erano considerate un luogo sicuro dove giocare e, per questa ragione, era proibito ai più piccoli di andarci.

Erano posizionate a nord, subito dopo il confine del rione, nel mezzo della campagna di Don Paolo. Il famigerato contadino non era l'unico ostacolo da evitare per poterle raggiungere; bisognava anche attraversare una radura sulla quale affacciavano due edifici dove vivevano molti pensionati. Questi erano dei terribili guardiani e se vedevano qualche ragazzino aggirarsi in quella radura facevano i diavoli a quattro ed erano capaci di chiamare addirittura i pompieri.

Ettore camminava a passo svelto e ripensava alle parole di Armando: il nonno, il pavone, le grotte romane; gli sembrava tutto così strano, così difficile da credere... eppure lo aveva osservato con attenzione mentre parlava e gli era parso sincero.

Rimuginando sul da farsi, si affrettò a raggiungere gli amici lasciati sulle montagnelle, ma una volta arrivato incontrò soltanto Imma ed Eleonora. Le due amiche se ne stavano sedute sulla molazza a chiacchierare e, non appena si accorsero di lui, si scambiarono uno strano sorriso. Imma, diversamente dal solito, portava i capelli sciolti, tenuti a bada soltanto da un cerchietto rosa. Eleonora, invece, indossava un elegante abito color menta pastello con una fascia di satin che le cingeva la vita. Ettore la trovò molto carina ed elegante.

– Ciao. – salutò – Dove sono finiti tutti gli altri?

– Erano qui fino a dieci minuti fa. – rispose Imma. – Poi sono andati a raccogliere albicocche nella campagna di Don Paolo.

– Pensi di raggiungerli? – domandò Eleonora.

Eleonora Basile era la migliore amica di Imma. Qualcuno la riteneva una chiattilla, ma in realtà era una ragazza simpatica. I suoi occhi, del colore dell'autunno, erano incorniciati da lunghe e folte ciglia che le conferivano un'espressione dolce. Le due amiche passavano assieme la maggior parte del tempo a giocare con le bambole o a saltare con l'elastico assieme ad altre ragazzine.

– Certo. – disse Ettore.

Eleonora, dopo aver detto qualcosa a Imma, saltó giù dalla molazza e, con uno sguardo languido, si avvicinò a Ettore.

– Dovrei chiederti una cosa. – gli sussurrò all'orecchio.

Ettore avvertì uno strano brivido quando il suo alito profumato gli solleticò la pelle. "Cosa vorrà da me?" pensò, mentre il suo cuore ingranava la quinta.

Eleonora sbatté le ciglia, poi gli porse un fiorellino appena reciso. – Potresti dare questa margherita a Fabio quando lo vedrai?

Ettore basito, fissò quel fiore per alcuni secondi poi, con grande fatica, annuì.

– Grazie. Sei davvero un tesoro. – miagolò e tornò soddisfatta dall'amica.

Senza proferir parola, Ettore si allontanò stringendo quel fiore nel palmo della mano. Quando fu abbastanza lontano lo guardò ancora ed ebbe la tentazione di farlo in mille pezzi.

– Le odio le femmine. Sdolcinate e sfruttatrici. – borbottò.

La campagna di Don Paolo era circondata da una recinzione che, in alcuni punti, aveva delle aperture attraverso le quali i ragazzi potevano entrare. Il contadino aveva ormai rinunciato a chiuderle perché ogni volta che l'aveva fatto ne erano subito apparse altre. Questa recinzione costeggiava una strada sterrata che conduceva fino alla sua casa. Ai lati di questa strada crescevano soprattutto rovi che, nella stagione calda, offrivano grosse e profumate more. I ragazzi del rione la chiamavano la stradetta.

La banda degli americani in pigiamaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora