Capitolo 10: Benvenuti all'inferno

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Jason POV's

Detroit.

La città con il tasso di criminalità più elevato. La gente non la visita mai, hanno paura suppongo. Ma come può questa città non essere quella dove sono cresciuto?

Non mi ricordo molto del luogo dove sono nato, e forse è meglio così. Sono cresciuto in questa città di merda e di conseguenza ho vissuto in compagnia ad assassini, ladri, truffatori, spacciatori e molto altro. Facendo parte di un buon partito, se così posso definirlo, mi hanno sempre rispettato fin da piccolo. Gli altri bambini però non parlavano con me, i loro genitori non glielo permettevano. Per questo motivo da piccolo stavo sempre da solo e per quanto mi piaccia essere il tipo solitario forse all'epoca degli amici mi sarebbero stati di aiuto.
Forse non sarei diventato come sono ora.

Dicevano che ero figlio di un mafioso e io non capivo mai cosa volessero dire, finché un giorno non ho incontrato Gabriel. Lui era come me, viveva nel mio stesso modo, subiva l'ira del padre come accadeva a me. Conoscendolo, per la prima volta mi sono sentito capito e compreso. Insieme abbiamo scoperto cosa facevano i nostri genitori e ci siamo promessi che non saremmo mai diventati come loro, ma eravamo solo bambini. E le promesse fatte da bambini non si rispettano mai.

Ogni giorno alle cinque del pomeriggio ci ritrovavamo li, sotto quell'albero, parlando di cose stupide, ma mai nominando i nostri genitori. Era un argomento proibito. In quei momenti c'eravamo solo noi, nessun altro. Niente Charles, niente Bruno. Solo noi, Jason e Gabriel.

Avevamo la stessa idea, lo stesso desiderio dal primo giorno che ci siamo visti. Lo avevo capito il giorno in cui l'ho guardato dritto negli occhi la prima volta. Scappare da i nostri padri e vivere come volevamo noi. Senza regole, senza fare del male. Soprattutto non diventare come loro. Inutile dire che non si siamo riusciti.

Tutto iniziò da una semplice chiamata, sei anni fa. In quel momento capii che è impossibile liberarsi della propria famiglia e del proprio passato e che se si vuole il bene della persona che si ama allora uno dei due deve per forza soffrire.

6 anni prima

Gabriel è appena uscito e io sto fissando la mia figura allo specchio da più o meno venti minuti.

<<Questo vestito mi stringe troppo cazzo.>> sbotto, già tutto sudato.

<<sembro un fottuto pinguino, chi cazzo si veste così per il proprio matrimonio?>> chiedo alzando la voce nella casa vuota

<<oh merda, il papillon!>> urlo accorgendomi di averlo dimenticato. Scatto verso il letto e inizio a cercare. Apro tutti i cassetti. Nulla.

<<cazzo, ora Alya mi uccide>> realizzo sedendomi rassegnato sul letto. Da quando sono diventato così ansioso? Non ho mai avuto ansia in tutta la mia vita a quanto ricordo. Sto decisamente impazzendo.

Mi alzo e vado in cucina, ho bisogno di bere. Apro lo sportello degli alcolici e fisso le varie bottiglie.

<<sei un coglione Jason!>> sbotto chiudendo l'anta.

<<merda, sono finito. Farò tardi e Alya non vorrà più sposarmi>> dico portandomi le mani sul volto, quando sento il telefono squillare. Mi precipito su di esso con un sorriso stampato sul volto, pensando che sia Alya.

Mi blocco quando noto il nome di mio padre sullo schermo. Lo prendo e faccio per rispondere, ma poi ci ripenso. E' il mio giorno. Il mio matrimonio. Il giorno in qui sposerò la donna della mia vita. La più bella del mondo.

Chissà come sarà il suo vestito. Penso. Sicuramente sarà stupenda, come sempre. Non vedo l'ora di ammirarla e dirle quanto io la ami.

Spengo il cellulare e lo butto sul materasso. Faccio per tornare in cucina ma squilla di nuovo.

Noi siamo destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora