Jeongguk e gli Antichisti

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Una brezza soffiò sopra la vita movimentata di Busan.

Jeongguk sbatté le ciglia più volte e si abituò alla luce naturale dopo aver passato gli ultimi due giorni chiuso nella sua camera da letto.

I suoi nervi erano instabili, urtato dalle parole sullo schermo del suo computer continuò a far scorrere le notizie che più lo avevano interessato nell'ultimo periodo.

Vi erano articoli contraddittori in cui si descriveva la presenza di un gruppo di ragazzi piuttosto giovani che apparivano in soccorso delle persone e sparivano come il vento.

Alcuni avevano pensato che si trattasse di una particolare setta oppure di semplici curiosi, ma nessuno era riuscito a risalire alla loro vera identità quasi come fossero dei fantasmi.

Gli occhi di Jeongguk si spalancarono nel vedere una foto in rete di quei ragazzi che l'avevano salvato dalla possessione del Celadon di Goryeo.

Si intravedeva chiaramente un ragazzo con un impermeabile beige lungo e liscio in compagnia di altri due giovani e lui li aveva riconosciuti.

«Non è possibile.» sussurrò mentre si avvicinava ancora di più allo schermo.

La foto era recente e parlava dei suicidi in serie in un conservatorio di Seoul.

Ovunque vi fossero casi particolari, i tre ragazzi erano presenti.

Come sempre, invece, la sua vita scorreva nell'anonimato e nella noia: ogni giorno seguiva le lezioni a scuola con costanza e a casa continuava a studiare, alternando momenti in cui navigava nel web per scoprire le identità dei tre ragazzi che si erano presentati come agenti.

I suoi piedi lo portarono davanti alla porta della presidenza e le sue nocche batterono un paio di colpi, o forse tre, prima che gli fosse dato il permesso di varcare; a quel punto intravide da dietro la scrivania la preside e lui non poté voltare i tacchi e tornare indietro.

«Dimmi ragazzo: ti è successo qualcosa? Posso aiutarti?» chiese perplessa Kim Eunbi.

Jeongguk si schiarì la voce e annuì.

«Veramente sì, preside Kim.»

La donna allungò la mano e gli fece cenno di occupare una delle due poltrone di finta pelle nera davanti alla sua scrivania.

Sebbene fosse rimasta un attimo confusa, si riprese quasi immediatamente.

«Prego, siediti. Ho dieci minuti a disposizione.»

«Mi scusi, non ci impiegherò molto. Volevo solo sapere chi erano quegli agenti che poco tempo fa sono venuti nella nostra scuola.»

Chiaro e diretto.

Non voleva perdere molto tempo perciò sperò che la preside Kim Eunbi rispondesse con altrettanta franchezza.

«Indagavano sulle aggressioni, pensavo che ti avessero parlato.» rispose la donna.

«Sì, lo so... ma pensavo potesse dirmi di più su di loro.»

Si sarebbe insospettita?

Jeongguk si sentì preso da una sorta di malessere generale: il dover vivere nell'ignoranza lo lasciò con un vuoto a suo dire incolmabile e non sapeva come descrivere quelle emozioni che per lui parevano confuse o inesistenti.

Il mondo per Jeongguk cominciò a muoversi fuori dal suo tempo e ogni cosa gli parve di vederla con un'altra prospettiva.

Il Celadon di Goryeo lo aveva lasciato privo di sicurezze e la colpa non era solo di quell'oggetto dal potere diabolico, ma anche dell'uomo che glielo aveva consegnato con quel sorriso subdolo.

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