Capitolo VI

127 46 123
                                    


Quando ritorno a vedere qualcosa mi rendo conto di essere nel mio letto, in ospedale, mentre sto ancora tossendo mi passo una mano sulla fronte madida di sudore.

Il cuore mi martella violentemente nel petto. Di nuovo, realizzo che il bel ragazzo dell'aereo fa parte di un sogno. Un sogno che questa volta però ha avuto dei risvolti terrificanti.

Mi sollevo con il busto per mettermi seduta, sto respirando ancora a fatica e ho assolutamente bisogno di ritrovare la calma. Fisso un punto nella stanza e continuo a guardarlo mente inizio a contare i respiri, fino a quando sento di essere più tranquilla e avere un battito più regolare.

Bevo un generoso sorso d'acqua dal bicchiere appoggiato sul mio comodino, non ricordo chi l'abbia messo qui ma si rivela una piccola ancora di salvezza. Qualche istante dopo la porta della camera si apre e Roberta entra nella stanza.

«Buongiorno» dice salutandomi con aria allegra, «come ti senti, Giulia?»
Sprofondo di nuovo con la testa sul cuscino: «ho appena fatto un incubo.»
«Mi dispiace» dice, «sembra essere una cosa comune, dopo aver vissuto un trauma.»

Annuisco, nel frattempo Roberta deposita un piccolo vassoio sul tavolino vicino il mio letto.
«Ti va di fare colazione?» Domanda, «magari ti tirerà su di morale.»

Quasi non presto attenzione a quello che sta dicendo, ancora scossa per quello che ho sognato. La mia mente mi porta ad un ricordo di quando ero una bambina piccola.

Mi trovavo con i miei fratelli alla festa di compleanno di una delle nostre cugine. Era estate e noi bambini giocavamo in una splendida piscina. C'era tra gli invitati questo bambino più grande di me, nemmeno mi ricordo il suo aspetto. – È solo uno scherzo – continuava a dire. E iniziò infatti scherzando a schizzarmi, insistentemente, io cercavo in tutti i modi di ignorarlo e di allontanarmi fino a quando sentii la sua mano sulla mia testa che mi spingeva sott'acqua. Mi sentivo impotente, cercavo con tutte le mie forze di riemergere, di respingere quella mano che sembrava voler dimostrare che io non esistevo. Fu Andrea ad accorgersi di quello che stava accadendo e, per fortuna, intervenne immediatamente. – È solo uno scherzo – si giustificò il bambino. Da allora il mio rapporto con l'acqua non fu più lo stesso. Sognare di affogare... Mi chiedo se il mio incidente abbia avuto a che fare con l'acqua.

«Giulia?» La voce di Roberta mi riporta al presente.
«È tutto ok, cara? Ti va di fare colazione?» Domanda ancora.

Mi do una scrollata di spalle veloce, «questo dipende da quello che c'è in quel vassoio!» Rispondo cercando di non far trasparire le mie preoccupazioni.
Roberta sorride.
«Non c'è un cornetto, vero?»
Lei scuote il capo.
«Un cappuccino pieno di schiuma e cacao?» Domando più per scherzare che perché ci speri sul serio.
Di nuovo Roberta scuote il capo, «sono cose fuori dalla nostra portata, dovrai chiedere a qualcuno di portartele.»

Si avvicina poi alla finestra e la apre, «dovremo fare un prelievo di sangue prima che tu possa mangiare,» dice.
Annuisco, poi mi spiega che dovrò fare anche altri esami in giornata, ma se i risultati saranno buoni presto potrò essere dimessa.
«La dottoressa Martelli passerà a breve a parlare con te» dice poi, «c'è qualcosa di cui hai bisogno?»
Mi fermo un attimo a riflettere, «il mio telefono, mi farebbe comodo avere quello.»
Roberta sorride ma non risponde nulla, piuttosto inizia a preparare l'occorrente per il prelievo.
«Hai paura del sangue?»
Scuoto il capo, quindi lei procede e in pochi istanti ottiene la sua boccettina di liquido rosso.
«Ti sei guadagnata un thè e delle fette biscottate» scherza subito dopo indicando il vassoio sul mio comodino con un cenno del capo.
«Evviva» commento con tono ironico, quindi l'infermiera si congeda ed esce dalla stanza.

Sprofondo ancora con la testa sul cuscino, non posso fare a meno di tornare con la mente al sogno appena fatto.

Sembrava proprio che qualcosa di spaventoso stesse per accadere all'aereo su cui mi trovavo, eppure, non so perché, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era il senso di pace che mi trasmettevano gli occhi del misterioso ragazzo, quando mi fissavano con tanta intensità... E la sua mano, nuovamente intrecciata alla mia, proprio come avevo desiderato. Era come se fosse lì per aiutarmi, si è accorto prima di me che c'era un pericolo in corso e mi ha intimato di stargli vicino.
Che cosa è successo esattamente?

Raccontami di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora