Capitolo V

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«Alcune cose non le vediamo subito, solo col tempo ci accorgiamo che in realtà sono sempre state sotto i nostri occhi» sento dire da una voce maschile che ormai conosco bene.

Mi volto e c'è il bellissimo ragazzo dagli occhi azzurri che mi sorride, mentre con un dito sta indicando il grande vaso di frangipani all'angolo del corridoio che conduce all'interno del bar.

Fisso per qualche istante i fiori, ricordando come, passando di qui poco fa, li avessi completamente ignorati.

Inizio a sorridere guardando il ragazzo negli occhi, confortata per averlo ritrovato. Credevo che non lo avrei più rivisto, invece lui è di nuovo qui di fronte a me, a guardarmi e a parlarmi ancora.

«Prendiamo qualcos'altro da bere» propongo sperando così di allungare il nostro tempo insieme. Lui annuisce e stende un braccio ad indicarmi l'ingresso del bar. Mentre lo precedo verso gli sgabelli mi accorgo che la musica di sottofondo è sparita.

Ci accomodiamo agli stessi posti di prima.
«Che fine hai fatto poco fa?»
Lui non risponde, alimentando così la mia convinzione che ci si sia un mistero che lo avvolge, probabilmente legato ad una fidanzata, come avevo immaginato prima.

«Oppure le vediamo, le abbiamo sempre avute davanti, ma pensiamo di essere troppo deboli per affrontarle» dice invece.

Lo guardo e non potrei essere più confusa.
«Non ti seguo più» dico in risposta sollevando anche un po' le spalle a rafforzare il fatto che non capisco a cosa si stia riferendo.

«È il destino, che agisce in modi che ci sembrano incomprensibili, ma esiste una ragione per tutto.»

Fisso il barman in piedi di fronte a noi, ci sta guardando in attesa di sapere cosa prendiamo da bere.

«Io non ho mai pensato seriamente al destino, credo che siano le nostre scelte a determinare quello che ci accade.»

«Tutte le nostre scelte sono guidate dall'invisibile forza del destino» spiega fissandomi, se possibile, con maggiore intensità.

«Non devi sentirti in colpa per non aver colto i segnali che ti mandava» aggiunge poi, «il tempo che impieghiamo dedicandoci all'amore non è mai tempo speso inutilmente.»

Scuoto ancora il capo, di nuovo non capisco di cosa stia parlando. «Davvero, io non...»
«Ci ho creduto anche io, in modo del tutto illogico, ecco perché ho rimandato tutto, volevo incontrarti ancora.»

«Ci siamo già incontrati?»

Mi guarda come se avessi fatto una domanda ovvia, anzi, sembra quasi risentito per il fatto che non mi ricordi di lui.

Annuisce piano, «e da quella volta continuo ad incontrarti ancora, ogni notte, nei miei sogni.»

Sgrano gli occhi e inizio ad arrossire, mentre lui mi guarda con un'intensità tale che, un istante dopo, sposto lo sguardo altrove, incapace di reggere il suo.

Quando trovo di nuovo il coraggio di guardarlo, la sua espressione sembra di nuovo distesa e più leggera.
«Se ci fossimo incontrati in aeroporto anziché qui, mi avresti sentito suonare il pianoforte.»

Sbatto una volta di troppo le palpebre guardandolo.
«E cosa suonavi?»
«Suonavo Don't stop me now
«La canzone dei Queen?» Chiedo meravigliata.
«Troppo ambiziosa?» Domanda lui sorridendo.
«Non intendevo dire questo. È che mi sarebbe piaciuto ascoltarti suonare» ammetto mentre sento le guance accaldarsi.

Lui mi sorride.
«Rispecchiava il mio stato d'animo» spiega, e io inizio subito ad intonare la canzone nella mia mente, nel tentativo di intuire quale sia lo stato di cui parla.

«È una specie di rituale, si ripete da quando sono piccolo. Ricordo che ogni successo lavorativo di mio padre era accompagnato da quella canzone, lui la intonava sempre quando raggiungeva qualche risultato importante, e ho nitida nella mente l'immagine di mia madre che balla piano sorridendo, accanto a lui, mentre gli sistema il nodo alla cravatta. Ho iniziato a fare lo stesso quando ho cominciato l'università, dopo ogni esame andato bene, e da allora i miei genitori hanno iniziato ad intonarla con me, assicurandomi che un giorno anche io avrei avuto qualcuno che mi avrebbe aiutato con la cravatta, ballando felice per i miei successi.»

Fa una piccola pausa e un profondo respiro prima di continuare.
«Credevo di essere all'apice della mia carriera, ecco perché stavo suonando quella canzone. Sorridevo al pensiero dei miei genitori, intenti a fare lo stesso quando mi sarei imbarcato sull'aereo che, pensavo, avrebbe cambiato per sempre la mia vita.»

Si ferma un attimo e rivolge lo sguardo altrove, sembra improvvisamente malinconico. Mi guardo intorno anche io, disorientata per questo suo racconto.

Poi il ragazzo torna a fissarmi con maggiore intensità.
«Comunque, se tu fossi stata lì ad ascoltarmi non avrei suonato quella canzone» dice tornando improvvisamente allegro.

Lo guardo per l'ennesima volta con aria interrogativa. Vorrei sapere il motivo della improvvisa tristezza di poco fa, ma sono più curiosa di aver sentito che mi avrebbe dedicato una canzone.
«Quale avresti scelto?» Chiedo a voce bassa, iniziando di nuovo ad arrossire.

Lui inizia a guardare in alto e resta di nuovo in silenzio, stavolta con aria pensierosa.

«I've got a pocket full of keys that have no bounds but when it comes to loving I just can't get you off of my mind...» Canta e io sorrido mentre arrossisco di più.

«Dimmi il tuo nome.»

Lui improvvisamente inizia a puntare lo sguardo verso l'alto, adesso ha un'aria diversa, sembra pensieroso. Si alza di nuovo in piedi, gira la testa prima da un lato e poi dall'altro.

«Resta con me!» Mi intima improvvisamente stendendomi una mano per invitarmi a raggiungerlo, quasi come se le sue braccia fossero l'unico posto sicuro al mondo in questo momento. Mi alzo anche io e faccio un passo in avanti. Guardo allora a mia volta in alto, ma non mi sembra ci sia qualcosa che non vada.

Poi prendo nuovamente a fissare lui.
«A proposito il mio nome è...»

Intorno a noi tutto inizia a tremare. L'espressione del ragazzo si fa ancora più seria. Le lampade che puntano il bancone iniziano a spegnersi e accendersi ad intermittenza. L'aereo inizia a piegarsi in avanti, mentre alcune file di bicchieri posizionate sugli scaffali cadono producendo un fastidioso e acuto rumore e riducendosi in mille piccoli pezzi.
La luce salta definitivamente e adesso l'ambiente è illuminato solo dai pochi raggi che filtrano dai finestrini dell'aereo.

Guardo il barman dietro il bancone, lui è del tutto impassibile e immobile al suo posto, prende anche lui a fissarmi ma nel suo sguardo non c'è un minimo di preoccupazione.

Guardo ancora il ragazzo negli occhi, lui tiene i suoi fissi nei miei, continuando a guardarmi con aria sicura, un attimo dopo si allunga a prendermi una mano per stringerla forte, mentre intorno a noi diventa tutto definitivamente buio e avvertiamo un potente boato.

Il ragazzo allora mi stringe forte a sé, come per proteggermi da quanto sta per accadere. Non ho paura, eppure è evidente che sta per succedere qualcosa di brutto e nonostante questo io provo un profondo senso di sicurezza, come se qui, fra le braccia di questo sconosciuto di cui non conosco nemmeno il nome, avessi l'assoluta certezza che non potrebbe accadermi nulla.

Un secondo dopo vengo come strappata via da lui, sento che tutto il mio corpo sta congelando, l'acqua invade i miei occhi, le narici, la bocca fin dentro ai polmoni, impedendomi di respirare. D'istinto inizio a tossire violentemente nel vano tentativo di fare un respiro.

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