PROLOGO

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COME TUTTO EBBE INIZIO...


Era il 14 febbraio e, nonostante il rigido inverno, Boston non aveva visto un solo giorno di pioggia dall'inizio del nuovo anno. Gennaio era passato tra giornate colorate da un timido sole e febbraio aveva fatto il suo ingresso in un mercoledì dalla temperatura mite, quasi autunnale. Quel giorno, però, il cielo doveva essere single, perché alle sei di sera, mentre le coppiette si preparavano ad affollare i ristoranti, pronti a consumare romantiche cenette a due, aveva iniziato a piovere e ben presto alla pioggia si era aggiunto il vento e infine, i fulmini avevano sferzato di flash azzurri il cielo scuro.

Per Hazel Law in realtà, il giorno dell'amore era un giorno come un altro e, da quell'anno, sarebbe diventato il giorno più terribile della sua vita: era stata licenziata in tronco e, raccolte le sue cose, se ne era tornata a casa priva di ogni energia. Lì aveva trovato ad aspettarla sua sorella Vivian, con cui condivideva l'appartamento, con addosso un elegante abito rosso, i capelli raccolti in una morbida treccia e quel bell'anello di diamanti al dito.

«Cavolo che faccia» le disse non appena la vide. «Cos'è quella scatola?»

Hazel si lasciò cadere sul divano con un sospiro stanco. «I miei effetti personali. Sono stata licenziata.»

«Licenziata?» Vivian la raggiunse facendo rumore con i tacchi sul parquet. «Perché? Cos'è successo?»

«Tagli al personale. A quanto pare, la Global si trova a corto di denaro per colpa di alcuni investimenti sbagliati, così hanno mozzato le teste di metà reparto. Compresa la mia.»

Sua sorella si mise a sedere sul tavolino di fronte. «Cavolo, Hazel, mi dispiace. Cosa farai adesso?»

«Adesso» l'altra mise via la scatola, sistemò gli occhiali che le erano scivolati poco giù sul naso e spostò indietro i capelli umidi di pioggia sospirando, «farò una doccia calda e poi mi ingozzerò di gelato. Domani penserò a tutto il resto.»

Con gli occhi scorse la figura di Vivian, la pelle leggermente olivastra, il viso dai tratti decisi ma armoniosi, gli occhi azzurri con qualche spruzzo di verde dentro. Provò una lieve fitta d'invidia nei confronti di sua sorella; era bellissima, era in gamba, aveva un lavoro rispettabile da infermiera e un fidanzato perfetto. Era tutto quello che lei non sarebbe stata mai.

«Sai cosa facciamo?» le disse proprio lei distogliendola dai suoi pensieri. «Adesso telefono ad Adrian e gli dico che non posso andare a cena. Io, comunque, odio la festa di San Valentino, è lui che è fissato con queste romanticherie.»

Hazel scosse il capo: «Adrian ti ama e visto che è un medico super impegnato avrà sicuramente fatto i salti mortali per liberarsi stasera, solo perché vuole stare con te. Andrai a quella cena e ti divertirai. O fingerai di farlo. Intese?»

«Ma non voglio lasciarti sola, hai un aspetto terribile. Sembra quasi che tu stia per morire da un momento all'altro.»

«Grazie, sei veramente gentile» scherzò l'altra mettendosi in piedi, provando a ridarsi un contegno. «Io starò benissimo, ho solo bisogno di una doccia e di cibo spazzatura.»

Vivian la abbracciò stringendola forte. Era emotiva, lo erano entrambe a dire il vero, Hazel parecchio di più; una caratteristica che aveva preso dalla madre. Non tutti gradivano gli abbracci improvvisi o gli slanci affettuosi, ma chi la conosceva ci si era abituato, oramai. Ricambiò la stretta sentendo il suo corpo rilassarsi.

Sua sorella iniziò a elencarle i motivi per i quali tutto sarebbe andato per il meglio, sosteneva che la Global si sarebbe presto pentita di aver licenziato un'assistente brava e precisa come lei, provò più volte a convincerla che doveva decisamente rimanere a casa quella sera, per farle compagnia e infine, mentre Hazel la spingeva fuori di casa dopo l'arrivo di Adrian, le raccomandò di telefonarle se avesse avuto bisogno di qualsiasi cosa.

«Sarò a casa prestissimo» urlò sul pianerottolo. Hazel non le rispose e stancamente si trascinò in bagno. Decise che un bagno caldo sarebbe stato meglio della doccia e così riempì la vasca e si immerse nel tepore tra le bolle di sapone. Solo allora si accorse che l'accappatoio era rimasto in corridoio, appeso al calorifero ad asciugare.

«Fantastico» mormorò amareggiata. «Veramente fantastico!»

◊◊◊◊

La donna urlò contorcendosi tra le lenzuola calde e sgualcite. Victor Kinney si lasciò cadere sulla sua parte di letto cercando di riprendere il controllo del suo respiro. Era stato un pomeriggio decisamente interessante, un San Valentino che difficilmente avrebbe dimenticato. Pieno di amore, se così poteva definirsi quella partita amorosa fatta di gemiti e sospiri. Con un sorriso si voltò a guardare Charlotte, la trovò a ridere ancora in preda al piacere, i capelli biondi appiccicati al viso madido di sudore, il corpo nudo e perfetto. Si era invaghito di quella donna, andando contro ognuna delle sue personali regole.

Era successo, e non sapeva come tornare indietro. Quando lo aveva capito, durante il loro ultimo incontro un paio di settimane prima, aveva visto in quella presa di coscienza un segno; di Dio, del destino, della vita... non sapeva chi glielo avesse mandato, ma il messaggio gli era sembrato subito chiaro: hai trentanove anni, è ora di appendere il preservativo al chiodo e trovarti una donna che sia per sempre.

Quella donna, per lui era Charlotte Webber, trentacinquenne Wedding Planner che gli faceva girare la testa. Ora che lo aveva capito, doveva semplicemente giocare bene le sue carte.

«Dio, Victor» mormorò proprio lei mordicchiandosi l'unghia dell'indice sinistro. «Non sono sorpresa che il tuo soprannome sia The Master. Sei il sesso più sconvolgente che abbia mai sperimentato.»

Victor respirò a fondo. «Ho un dono» disse scherzosamente e lei scoppiò di nuovo a ridere.

«Anche i tuoi colleghi hanno dei soprannomi?» gli domandò.

«Colleghi? Io non ho colleghi, lavoro da solo.»

«Sì, questo lo so. Ma non sarai di certo l'unico gigolò di Boston.»

L'uomo si strinse nelle spalle. «Non credo, ma non ho nessun amico che faccia il mio stesso lavoro quindi non posso rispondere alla tua domanda. Perché ti interessa, comunque? Stai forse pensando di tradirmi?»

Il suo tono era divertito, ma sapeva quasi di sfida. Lavorava in quel campo da quando aveva venticinque anni e mai nessuna donna si era ritrovata insoddisfatta o desiderosa di provare altro. Lui era il massimo che quel raro mercato potesse offrire, era il migliore, era The Master.

Il silenzio di Charlotte lo mise un po' in allarme.

«Non si tratterebbe di un tradimento» replicò lei, quando vide che la fissava. «Non siamo una coppia ed io sono una donna estremamente curiosa.»

«E se ti dicessi che vorrei l'esclusiva?»

La donna lo guardò per un lungo istante, poi rise di gusto e si allungò per baciargli il collo. «Direi che siamo su due pagine diverse della storia, Vic. Io non sto cercando una relazione, ma un po' di sano divertimento, senza impegno. Quando avrò voglia di impegnarmi troverò un uomo per bene, con un bel lavoro e metterò su famiglia, magari.»

«Io sono un uomo per bene.»

«Sei un brav'uomo, è vero. Ma sei un puttano, e nessuno vuole un puttano come compagno di vita. Di certo non io.»

Victor la guardò alzarsi e rivestirsi. Scosse il capo con la sua migliore espressione d'indifferenza quando lei gli chiese se per caso si era offeso. Offendersi? Perché avrebbe dovuto? Un puttano era esattamente ciò che era e non provava vergogna. Non era solo quello però, e decise che lo avrebbe provato a Charlotte. L'avrebbe conquistata e sarebbe stata sua, per sempre. Per riuscirci era necessario farle capire che non poteva stare senza di lui e che quel sentimento non aveva niente a che vedere col sesso. Non soltanto, almeno. Mentre lei improvvisava un balletto sensuale sulle note di una canzone che proveniva dalla tv, lui decise cosa fare. E come farlo.

Insieme... ma non troppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora