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VICTOR KINNEY

Victor arrivò a casa all'una passata, si fece una doccia calda e, con un sorriso stampato sulle labbra, si lasciò cadere sul letto. La sua bocca sembrava, in qualche modo, avere intrappolato il sapore di Hazel, quel leggero gusto di vaniglia che aveva sentito entrambe le volte che si erano baciati.

Quei baci... erano stati solo due, in due momenti tanto diversi quanto profondi. Con lei si era aperto più di quanto avesse mai fatto in vita sua, le aveva parlato del suo passato, delle sue paure e lei lo aveva capito. Gli aveva letto la tristezza negli occhi e lui non sapeva neppure di averla. Fece un grosso respiro e si alzò, aprì le ante dell'armadio e ne tirò fuori una scatola che portò fino in cucina, per poggiarla sull'isola. La guardò per alcuni minuti, poi si decise e la aprì: dentro c'erano i suoi portfolio fotografici, l'ultimo risaliva a poco prima che quella lettera di valutazione lo convincesse che era il caso di trovarsi qualcos'altro da fare.

Che stupido era stato, a lasciare che il giudizio di uno soltanto lo allontanasse da ciò che amava; si rendeva conto ora che era stato un errore madornale, ma ad essere onesti, credeva che tornando indietro probabilmente avrebbe rifatto lo stesso sbaglio.

Perché aveva paura, perché il fallimento lo terrorizzava, perché era un idiota. Decise di smettere di pensare e iniziò a sfogliare uno di quegli album, il primo in assoluto. La foto che gli balzò subito agli occhi era di sua madre che sorrideva gioiosa davanti a una grande torta di compleanno rossa e gialla. Tutto intorno l'immagine era sfocata, di chiaro e nitido c'era solo il viso di sua madre e il fuoco delle candeline e non era stato un malfunzionamento della fotocamera, Victor l'aveva scattata in quella maniera di proposito, affinché risaltassero solo i dettagli importanti, come sua madre e il simbolo di un altro anno passato.

Continuò a sfogliare, quasi alla fine trovò una foto di Patricia e Robert, la donna stava dando un morso a un hamburger preparato proprio da Rob, aveva lo sguardo triste sotto la facciata felice. Come avrebbe detto Hazel, indossava una maschera di felicità ma aveva la tristezza dentro.

L'uomo si rese conto che era da tanto tempo che lui e Patricia non parlavano, non davvero perlomeno. Negli ultimi anni, troppo preso dalle sue cose, si era limitato ad accompagnarla in clinica ma non si era mai preoccupato di chiederle come stava. Aveva pensato che, visto che tutto era stabile allora quel tutto andava bene, solo in quel momento si accorse che forse non era esattamente così.

E i suoi genitori? Non li vedeva da due mesi e cioè da quando erano andati a trovarlo a Natale.

«Se non venissimo noi a trovarti di tanto in tanto, non ti vedremmo mai» lo aveva rimproverato sua madre. Victor aveva sorriso dandole un abbraccio, le aveva detto che non era vero, che era la solita esagerata, ma aveva torto.

Aveva dato la priorità a una marea di cose che non meritavano neppure il fondo della lista e aveva perso di vista quelle che invece stavano di diritto in cima. Da quanto non faceva qualcosa con il suo migliore amico? Un tempo andavano a pescare una volta al mese, parlavano di affari, parlavano di tante cose. Ora non lo facevano più. In pratica era diventato l'autista di Patricia, la donna che lo amava come una seconda madre, un'ombra sbiadita per i suoi genitori che abitavano lontano, e una specie di conoscente per l'uomo che era, teoricamente, il suo migliore amico.

Quelle consapevolezze lo stavano soffocando, erano arrivate tutte insieme e forse era stato perché aveva visto quanto Hazel, Vivian, Daisy e Adrian fossero uniti, forse era stato per quella giovane donna che aveva visto attaccata ad una dose di chemio mentre andava a prendere una bottiglia di acqua al distributore. Forse erano state le parole di Hazel quando gli aveva detto che la vita è breve, forse era stato quel bacio che si erano dati fuori dall'ospedale. Quel calore e quella dolcezza che gli avevano fatto capire di volere di più, di meritare di più.

Insieme... ma non troppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora