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SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZO INVERNO

Quel giorno pioveva a dirotto e arrivare al negozio di Daisy, per Hazel fu una vera impresa. Quella mattina si era alzata tardi, aveva pensato di meritarsi un po' di riposo in più, soprattutto dopo aver rivisto Luke e ancor di più dopo essersi fatta insultare da Charlotte nel bagno delle signore. Che stupida era stata, aveva una risposta perfetta ma non era riuscita a pensarci. Quando Victor gliel'aveva servita su un piatto d'argento, per un attimo aveva pensato di tornare indietro, raggiungere il tavolo di quella stronza e dirgliela, anche se a scoppio ritardato. Poi però aveva riflettuto e deciso che non ne valeva la pena. Oltretutto ritornare lì avrebbe significato vedere di nuovo Luke e ne aveva abbastanza. Non poteva ancora credere che si fosse comportato da amicone, dopo tutto quello che avevano vissuto. E poi, che cavolo ci faceva lì, lui che di beneficienza non voleva neppure sentire parlare alla tv.

Le stavano succedendo un sacco di cose strane da quando si era ficcata in quella folle situazione: era stata colpita da una pallina da tennis dopo aver conosciuto un probabile iettatore, aveva consolato una coreana troppo sensibile, assecondato le folli manie di protagonismo di un'aspirante modella e si era ritrovata al tavolo con l'unico uomo che avesse mai amato e anche odiato.

E quella sera, le sarebbe toccato sedersi a teatro, lei che il sabato sera amava mangiare cibo spazzatura davanti ai suoi programmi televisivi preferiti.

Tutto per Victor.

Doveva ammettere, però, che la sua reazione l'aveva colpita in positivo; non solo l'aveva raggiunta, correndo, ma non si era neppure arrabbiato perché se ne era andata via, né le aveva chiesto di tornare al museo. Avevano invece passeggiato per una buona ora, avevano mangiato una fetta di torta in una piccola pasticceria aperta fino a tardi e poi erano tornati all'auto per andare a casa. Non avevano parlato di Charlotte, né di quanto quella serata fosse stata un mezzo fallimento ai fini del loro piano. Hazel ci aveva fatto caso solo una volta a letto, dopo una lunga doccia calda.

Victor era diverso rispetto alle loro prime due uscite, ma non sapeva perché.

«Sei qui, finalmente» sbraitò Daisy comparendo dal retro del negozio. «Ce ne hai messo di tempo ad arrivare.»

Hazel scosse i capelli umidi di pioggia. «Mi hai telefonato meno di un'ora fa. Io non ho un'auto, ho dovuto prendere la metro.»

Daisy la guardò perplessa: «Pioveva dentro la metro?» le domandò indicandola con un dito.

«No, ma pioveva nel tragitto dalla stazione a qui, e visto che c'è vento il mio ombrello si è rotto» Hazel rabbrividì per il freddo. «Qual è l'emergenza?»

«Emergenza?»

«Sì, quando hai telefonato hai detto che era un'emergenza, che dovevo assolutamente venire qui, ricordi?»

La sua amica sembrò perdersi nei suoi pensieri per un istante, poi mosse la mano andando alla cassa. «Ah, quella. È tutto risolto adesso, emergenza rientrata.»

«Perché ho la sensazione che non ci sia stata nessuna emergenza?»

«Perché sei paranoica» scattò Daisy, salvo poi respirare a fondo e confessare. «Okay, è vero, non c'era nessuna emergenza. Volevo solo che venissi così da raccontarmi tutti i dettagli di ieri sera. E prima che tu dica che potevamo farlo al telefono, no, non potevamo. Qui c'è un via vai di gente, avremmo dovuto riattaccare ogni dieci minuti, ti immagini che noia dover riattaccare e richiamare continuamente? Essendo qui invece, quando qualcuno entrerà tu dovrai solo smettere di parlare per i pochi minuti che serviranno a servirli e poi potrai riprendere.»

Insieme... ma non troppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora