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MIA DOLCE HAZEL


Hazel guardò sua sorella e respirò a fondo. Non l'aveva mai vista in quello stato; aveva gli occhi terrorizzati, occhiaie accentuate dalla stanchezza, l'aria di una che aveva bisogno di una bella dormita ma che, anche se avesse provato, non sarebbe riuscita a prendere sonno. Teneva lo sguardo basso, fisso sulle mani incrociate sulle gambe. Di tanto in tanto mormorava qualcosa, ma lo faceva così a bassa voce che nessuno riusciva a sentire cosa stesse dicendo. Hazel però lo sapeva; stava pregando.

Non erano mai state delle assidue praticanti della chiesa, ma erano cresciute in una famiglia cattolica e credente, e entrambe, nei portafogli avevano un santino del patrono della città: San Patrizio. Quando erano piccole, ogni diciassette di marzo andavano a fare un pic-nic tutti insieme. La loro mamma preparava due grandi cestini, il loro papà caricava in auto coperte a quadrotti e tutto l'occorrente.

Chiudeva la drogheria qualche ora prima del solito e partivano alla volta della spiaggia, quando non pioveva, oppure alla volta di qualche posto coperto, che trovavano lungo la strada e che cambiava ogni volta. Era il loro giorno preferito, tutti insieme a ridere e a scherzare, senza pensieri, solo gioia.

Incredibile come le cose cambiassero; a partire dalla morte del padre, per Hazel, Vivian e Maria le cose erano precipitate, e per un lungo periodo c'era stato il buio. Quando la luce sembrava pronta a rischiarare il tutto e il dolore per quella perdita era rimasto presente ma non opprimente, la malattia era arrivata a sconvolgerle di nuovo.

Per tanto tempo Hazel aveva smesso di credere a qualunque cosa: a San Patrizio, a Dio, alla speranza, alla felicità. Poi un giorno aveva trovato sua madre inginocchiata sul balcone, in un momento di tregua dai suoi vuoti di memoria, stava parlando con il cielo scuro della notte, chiedeva agli angeli in paradiso di prendersi cura del suo amato marito. Quando l'aveva vista sulla soglia le aveva sorriso, si era rialzata e stringendole le mani le aveva detto: «Mia dolce Hazel, non devi mai smettere di credere che dal cielo qualcuno ci guarda, veglia su di noi e al momento giusto, e solo allora, aprirà per noi le porte di una stanza piena di luce e felicità, e ci indicherà la via. Promettimi che non smetterai mai di crederci. Mai e poi mai.»

Lei non ci credeva, ma lo aveva comunque promesso a sua madre e, in fondo, aveva sperato che avesse ragione. Si era aggrappata a quella promessa nei momenti di grande sconforto, mentre la malattia della madre peggiorava, mentre Vivian raggiungeva i suoi obiettivi e lei rimaneva indietro. Ci si era aggrappata con le unghie e con i denti ed era andata avanti.

La fede era tornata da sola, così come se ne era andata, e un giorno si era ritrovata in una chiesa a pregare. Il silenzio lì dentro le aveva ridato pace.

Funzionava in modo strano la vita, con i suoi alti e bassi. Aggiustava ciò che rompeva, e se il danno era troppo, forniva l'energia giusta per affrontare la perdita e imparare ad andare avanti.

«Ho bisogno di un caffè!» esclamò Daisy di improvviso, alzandosi. «Qualcun altro ne vuole?» Hazel scosse il capo, vide Victor fare lo stesso. Vivian invece si alzò.

«Io sì. Vengo con te, divento pazza a stare seduta qui senza fare nulla» si allontanarono, Daisy le strinse la mano in segno di supporto mentre camminavano lungo il corridoio. Hazel e Victor rimasero seduti lì.

Erano in quella stessa posizione da ore, almeno tre, anche se nessuno dei due aveva tenuto il conto. L'uomo non si era mosso, l'aveva seguita ovunque potesse, le aveva arrotolato le maniche della camicia quando aveva capito che quella macchia la infastidiva, le aveva tenuto la mano quando il pianto l'aveva scossa. Era stato perfetto pur non essendo tenuto ad esserlo.

Insieme... ma non troppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora