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IL POZZO DEI DESIDERI


Il giorno prima, quando era andato a prendere Patricia alla clinica, Victor si era accertato di riuscire ad arrivare con almeno quindici minuti di anticipo, e in quel lasso di tempo che la donna occupò facendo una breve lista di quali libri portare la settimana successiva, lui provò a mettere in atto una piccola corruzione. Partì da un'infermiera, ma il suo fascino sembrò non funzionare, così passò all'inserviente e tirò fuori dalla tasca cento dollari che gli mise nel taschino della divisa.

La richiesta che gli fece era semplice e il giorno dopo, mentre si chiedeva se avesse perso il suo denaro, ingannandolo, quel tizio aveva telefonato. Victor aveva preso l'auto e si era precipitato alla clinica, si era accertato di essere arrivato in tempo e poi aveva atteso.

Era lì da quasi venti minuti quando il suo cellulare aveva preso a squillare, sullo schermo aveva lampeggiato il nome di Charlotte, lui lo aveva fatto squillare più a lungo possibile, onestamente non perché volessi farsi desiderare, ma perché non era sicuro di volerle rispondere.

Era impegnato in quel momento, con una cosa ben più importante. Però anche quello che lei aveva dirgli forse era importante; forse aveva finalmente capito di amarlo e voleva confessarglielo. «Ho capito che voglio essere felice e che voglio esserlo con te», magari era questo che voleva comunicargli.

Pigiò il tasto rispondi, con gli occhi puntati sulla porta della clinica, chiedendosi che costa stesse facendo, perché aveva la sensazione di non saperlo più.

«Pronto?» disse con tono tranquillo.

«Victor, sono io.»

«Charlotte?» lui finse di riconoscerla soltanto in quel momento. «Sei tu?»

«Sì», la sua voce venne spezzata da un accenno di risata. «Per un attimo ho pensato che non mi avresti riconosciuta.»

Victor trattenne un sorriso: «Charlotte, non ho molto tempo» mentì, ma solo a metà. «Cosa posso fare per te?»

«Sì, certo, scusa se mi sono persa in chiacchiere. Mi chiedevo se potessimo parlare. Lunedì a pranzo magari o a colazione. Tornerò domani pomeriggio da Miami.»

Lui fece qualche passo fino all'aiuola, e temporeggiò qualche secondo prima di rispondere. «Credo che si possa fare. Facciamo a pranzo a casa mia?»

«Sì, mi sembra perfetto. Questo pranzo non ti creerà problemi con Hazel, vero?»

«No», l'uomo diede un'occhiata in direzione della clinica, vide di dover fare in fretta. «Si tratta di un pranzo tra amici, non ci vedo niente di male e sono sicuro che Hazel la penserà come me.»

«Bene» il tono di Charlotte iniziò a somigliare di più alla donna che conosceva; sicura di sé, consapevole del suo ascendente. «A lunedì, allora. Poterò il dessert.»

Victor la salutò, riattaccò e mise il cellulare in tasca. Fu in quel preciso istante che Hazel uscì dalla clinica con il viso stanco, i capelli mossi e un po' spettinati. Glielo si leggeva negli occhi che era triste; gli piaceva di più nei suoi momenti di follia, quelli in cui iniziava a fare discorsi insensati ad alta voce, quelli in cui si entusiasmava così tanto da fare arrossare le guance.

«Victor» gli disse sorpresa quando lo vide. «Che ci fai qui? Hai accompagnato Patricia? Non l'ho vista.»

Lui scosse il capo con un sorriso. «No, Patricia non c'è. So che dopo le tue visite qui sei sempre un po' giù di corda, per questo sono venuto a prenderti, per portarti in un posto. C'è una cosa che devi assolutamente vedere.»

Insieme... ma non troppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora