12. 'Cause we're young, and we're reckless

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ARABELLA

La codardia è simbolo dei deboli, di tutti coloro che si fanno ispiratori di rivoluzione, ma finiscono per nascondersi da ogni singola intemperia.

Colui che rappresenta la codardia è un vile, una persona incapace di affrontare le sfide a cui la vita lo sottopone. Si finge predatore, ma in realtà è solo una docile e fragile preda pronta ad essere attaccata, schiacciata e gustata dagli esseri che la circondano.

Non può nascondersi per sempre, prima o poi deve andare allo scoperto e il suo unico destino è quello di essere catturato.

Io sono una codarda per nascita. Cinque giorni fa mi sono atteggiata come se potessi cambiare il mio essere, ho firmato un contratto e ho creduto di potercela fare.

Ma è bastato il silenzio della notte per ricordarmi chi sono, per farmi abbassare la cresta e rammentarmi che tutto ciò che una come me può fare è tenere la testa bassa e non farsi notare. Questo è l'unico modo per poter sopravvivere in un mondo come il nostro.

Ho creduto per un po' di tempo che la speranza esistesse, che non fosse solo l'illusione di chi non vuole arrendersi, ma poi ho capito che sarei solo incappata in altre infinite sofferenze.

Ma vigliacca come sono, non ho confessato a Sebastian la mia precoce resa.

Sono riuscita ad evitarlo per tutti questi giorni, è stato facile, a lui non interessava incontrarmi perciò non si è fatto vivo. Gli è bastato avermi lontana.

Ora però è scaduto il tempo, siamo a metà febbraio e oggi si parte per il campo a cui ho accettato di partecipare come una stupida.

«Arabella, dobbiamo andare!» Cassie piena di entusiasmo entra in camera senza bussare. Sobbalzo in aria spaventata dall'improvviso rumore, ma mi calmo non appena incontro i suoi occhi puri come le stelle che abitano le oscuri notti. «Stiamo aspettando tutti te».

«S-si, sono pronta», balbetto cercando di calmare l'ansia, inizio a prendere profondi respiri per rallentare il battito del mio cuore.

«Andrà tutto bene, Arabella. Puoi farcela, hai me». La mia sorellina afferra la mia mano per tirarmi via, riesco a malapena ad agguantare la valigia e il cellulare prima che mi trascini giù dalle scale. È più piccola di me, ma non per questo meno forte.

«Eccoci, siamo pronte!» Atterro giù rischiando di inciampare diverse volte, ma quando finalmente riesco a riprendere l'equilibrio alzo lo sguardo e lo vedo.

Sebastian è lì davanti alla porta, vestito in una tuta grigia e una felpa bianca, regge la sua valigia facendo così risaltare le vene della parte del braccio scoperta.

I suoi occhi ora sono fissi nei miei. Credevo di incontrare giudizio da parte sua, invece da come mi guarda capisco che lui quel contratto non ha intenzione di romperlo, anzi userà questi giorni al massimo.

Mi sono messa in un guaio da sola, davvero intelligente da parte mia.

«Forza, altrimenti perderete l'aereo. Non è da Londra che parte e rischierete di fare veramente tardi».

Mia madre e Dave ci spingono tutti in macchina e solo quando siamo fuori città riesco a realizzare le sue parole. «Aereo? Dove ci state mandando?»

Quando ho accettato credevo fosse qui vicino, al massimo qualche ora di distanza. Mi sono fatta così distrarre dalla presenza di Sebastian da dimenticare completamente di informarmi su ogni singola cosa che faremo in questi cinque giorni di vacanza.

«Brasile».

Alzo di scatto lo sguardo verso Cairstine che mi sta evitando in qualunque modo. «Cosa! Avevi detto che saresti venuta subito in caso avessi avuto bisogno. Sai almeno quanto distano il Brasile e l'Inghilterra?» quasi urlo.

Stuck In The StarsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora