21. We gonna let it burn

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SEBASTIAN


Spesso i miei genitori mi dicevano che avrei avuto tutto nella mia vita: una famiglia, successo e avrei quindi raggiunto la felicità.
Quelle parole non si erano ancora realizzate e dubitavo che lo avrebbero fatto.

Non avevo una famiglia, loro non c'erano più e sì, Cairstine e Dave facevano del loro meglio, ma io continuavo a sentirmi di troppo in quella casa.

Il successo, invece, era solo un inganno. Ogni volta che si sta per raggiungerlo, è inevitabile volerne sempre di più, per cui non si arriva mai ad ottenerlo.
Per me era così, non appena mi sentivo di aver raggiunto il massimo, quello mi appariva come il minimo.

Era un fottuto serpente che si mangiava la sua coda. Non vi era via di fuga, prima o poi avrebbe raggiunto il limite e si sarebbe autodistrutto.

E la felicità. Non vi era nulla di più sopravvalutato. Certo, esisteva, ma era così effimera da diventare pura droga e anche nei momenti di assoluta tristezza, i ricordi di integerrima felicità arrivavano a rendere quel frangente ancora peggiore.

Era successo di nuovo. Ero di nuovo solo nella mia stanza e avevo saltato scuola. Non riuscivo ad uscire da letto e mentre pensavo a tutto ciò, mi rendevo conto di star ricadendo in quel loop infinito di sofferenza e malinconia.

Un circolo vizioso in cui non potevo fare altro che nutrirmi della mia solitudine, abbuffarmi di desolazione e vomitare ogni traccia di felicità.

Ero sdraiato con la testa sotto le coperte. Sentivo le lacrime premere per uscire, ma non le lasciavo andare, volevo tenere quei sentimenti negativi per me ancora per un po'.

Però arrivavano sempre quei piccoli ricordi felici e purtroppo riguardavano tutti la stessa persona.

Il sorriso di Arabella, così raro, ma capace di uccidermi se solo avesse voluto.

I suoi gemiti delicati, una pura droga.

La sua pelle liscia e morbida che ancora non avevo potuto assaggiare.

E quelle labbra, quelle cazzo di labbra. Così piene e invitanti. Ogni volta che parlava, loro mi urlavano di prenderle, unirle alle mie, morderle e leccarle.

Io però non potevo, se l'avessi fatto, non mi sarebbe più rimasto nulla, perché Arabella Lane era una fottuta sanguisuga. Con la sua aria innocente succhiava via ogni straccio di anima che avevo. Voleva aggiustare la sua, troppo rotta per essere guarita. E io non potevo che lasciarglielo fare, seppur fingevo odio nei suoi confronti.

Arabella Lane era l'unico ricordo felice che mi distraeva, mentre lasciavo che la musica mi cullasse in una melodia colma di angoscia, così simile al mio umore.

Avevo la serranda alzata e tutto ciò che volevo fare era chiuderla, rimanere al buio. Ordinavo al mio corpo di alzarsi, ma non ci riuscivo. Rimanevo immobile nel mio letto a chiedermi cosa ci facessi ancora in vita.

Qual era la mia vera utilità?

Ero a conoscenza del fatto che le persone non necessitavano veramente della mia presenza, io stesso non tenevo alla mia vita.
Ogni volta, però, non mi lasciavo andare alla morte. Mi davo nuove possibilità ogni giorno nella speranza che qualcosa potesse cambiare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 16 ⏰

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